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La guerra di Tuzla

Ritorniamo sulla questione della cosiddetta “Brćanska Malta”, il sanguinoso scontro tra milizie territoriali e esercito jugoslavo avvenuto a Tuzla il 15 maggio 1992, con il racconto di Selim Bešlagić, ex sindaco della città accusato dalla Procura serba per quei fatti insieme ad altri 5 funzionari ed ufficiali

08/01/2008, -

La-guerra-di-Tuzla

Di Mirha Dedić, per Slobodna Bosna , 22 novembre 2007

Traduzione di Nihad Hasanović per Le Courrier des Balkans , e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani

All’inizio del novembre 2007, la Corte serba per i crimini di guerra ha incriminato Ilija Jurišić. E’ accusato di «utilizzo di mezzi illeciti di combattimento nel corso dell’attacco ad una colonna di soldati dell’Esercito popolare jugoslavo (JNA), il 15 maggio 1992». Si tratta del primo atto d’accusa riguardante presunti crimini di guerra commessi contro membri della JNA sul territorio della Federazione di Bosnia-Erzegovina.
Secondo l’atto di accusa, Ilija Jurišić è accusato di aver ordinato, in qualità di membro delle truppe di polizia della riserva del ministero dell’Interno di Bosnia-Erzegovina e di ufficiale dei Servizi di sicurezza dello Stato, di aprire il fuoco sul convoglio della 92ma brigata motorizzata della JNA, dopo di che «dei cecchini hanno sparato uccidendo alcuni conducenti dei veicoli militari, bloccando loro il passaggio, per poi sparare su altri soldati». L’atto d’accusa sostiene che in quell’occasione almeno 92 soldati sono stati uccisi, mentre almeno 33 sono rimasti feriti.
La Corte serba per i crimini di guerra ha ricevuto questo dossier dalla Procura militare di Belgrado nel 2004. Lavora in cooperazione con la Procura della Bosnia-Erzegovina.
Ilija Jurišić, sospettato dalle autorità serbe del crimine commesso contro soldati della JNA, è stato arrestato l’11 maggio 2007 all’aeroporto di Belgrado. Malgrado l’offerta di una cauzione di 25.000 euro, la Corte serba ha rifiutato di rimetterlo in libertà. Il ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina ha richiesto la sua estradizione, dato che Jurišić è cittadino bosniaco ed i crimini di cui è accusato sono stati commessi sul territorio della Bosnia-Erzegovina. Per di più la Procura della Bosnia-Erzegovina sta conducendo un’inchiesta sull’episodio, noto col nome di «colonna di Tuzla». Ciò nonostante, il Consiglio per i crimini di guerra del Tribunale dipartimentale di Belgrado respinge questa richiesta, perché la pena per un tale crimine potrebbe ammontare a dieci anni di prigione.

Come è stata attaccata la JNA?

Oltre a Ilija Jurišić, la Procura serba per i crimini di guerra ha incriminato altre cinque persone, considerate responsabili dell’attacco contro il convoglio della JNA. L’atto d’accusa menziona cinque alti funzionari della Tuzla dell’epoca: Selim Bešlagić, allora sindaco della città, Enver Delibegović, comandante di Stato maggiore dalla TO [Difesa territoriale della JNA] di Tuzla, Meho Bajrić, comandante del Posto di pubblica sicurezza di Tuzla, Budimir Nikolić, comandante del Centro servizi di sicurezza, e infine Muhamed Brkić, comandante del Dipartimento di polizia presso il Posto di pubblica sicurezza di Tuzla, recentemente deceduto.
Sono accusati di aver attaccato il convoglio disarmato della JNA che si stava ritirando, e di aver violato la Convenzione di Ginevra relativamente al comportamento verso i feriti. Dal mese di marzo 2007 figurano su un avviso di ricerca dell’Interpol. Su questa base, la Procura di Belgrado per i crimini di guerra ha domandato alla Corte di Bosnia-Erzegovina che queste persone siano arrestate e trasferite nella capitale serba. Ciò nonostante, dato che la Costituzione bosniaca non consente l’estradizione dei propri cittadini verso altri Paesi, sono stati interrogati di fronte alla Corte di Bosnia-Erzegovina, per poi essere rimessi in libertà.
Selim Bešlagić, a quell’epoca sindaco di Tuzla, spiega con precisione ciò che accadde il 15 maggio all’incrocio Brćanska Malta a Tuzla, chiarendo quali furono le responsabilità di Ilija Jurišić.
«Dal 15 al 19 maggio [1992], una unità della JNA si doveva ritirare da Tuzla. Tutte le [altre] unità si erano già ritirate prima del 15 maggio, salvo questa. Era composta da riservisti e da arruolati volontari. Non comprendeva che quattro soldati regolari della JNA. Noi comunque non lo sapevamo: per noi era solo una unità della JNA. Di mattino presto, il 15 maggio, si sono messi a requisire le armi della Difesa territoriale [TO]. Noi gli abbiamo detto: «Non potete portare via le armi della TO, perché queste armi appartengono agli abitanti di Tuzla». Dopo di che abbiamo mandato via il convoglio.
Poi inizia a prender forma un altro scenario: arriva il tenente colonnello Mile Dubajić che chiede una riunione urgente con i membri della Cellula di crisi di Tuzla. In questo incontro voleva riconsegnarci la sua caserma. Poiché tutti i membri della Cellula di crisi erano allora sul campo, io ho autorizzato Jasmin Imamović, allora segretario comunale di Tuzla, ed Enver Delibegović ad andare alla caserma per seguirne la riconsegna. Mile Dubajić li ha [invece] catturati. In seguito ha ordinato al convoglio di mettersi in marcia. È in quel momento che Meša Bajrić, all’epoca comandante del Posto di Pubblica sicurezza di Tuzla, mi ha chiamato dicendomi: «Partono alle sei. Cosa si fa?». Io gli ho risposto: «Lasciali passare, cos’altro si può fare?!». Ho dato quest’ordine perché un centinaio di convogli erano già passati da Tuzla e noi li avevamo tutti lasciati passare senza alcun problema. Tuttavia, oltre al fatto che avevano preso una parte delle armi della TO, avevano anche piazzato degli uomini su una scorta di esplosivi e mine. Noi non ne sapevamo niente. A parte questo, per essere sicuri di passare, hanno messo uno dei nostri uomini in testa, uno in mezzo e uno alla fine del convoglio. Arrivati all’incrocio della Brćanska Malta, hanno cominciato a sparare su dei civili di Tuzla.
La polizia era incaricata di accompagnare ogni convoglio e di assicurarne la sicurezza. Se uno di questi si metteva in strada in anticipo o senza annunciarlo, la nostra polizia aveva il compito di impedire dei possibili incidenti. Se si sparava dal convoglio e se dei cittadini erano in pericolo, la polizia doveva comportarsi secondo le sue regole e i suoi obblighi. Quindi, la polizia a più riprese ci ha chiesto cosa bisognava fare. Al momento dei fatti, il comandante del Servizio di pubblica sicurezza Bajrić, il comandante del Centro servizi di sicurezza Budimir Nikolić e l’impiegato Ilija Jurišić si trovavano nello Stato maggiore operativo di polizia di Tuzla. Meša Bajrić ha detto che si doveva rispondere al fuoco. Ilija Jurišić, che quel giorno era di servizio, ha trasmesso l’ordine di Bajrić.
Così abbiamo risposto al fuoco con il fuoco. A peggiorare le cose, una cisterna piena d’olio si è infiammata. Il fuoco ha invaso gli esplosivi e questo ha provocato l’esplosione di un camion dove c’erano dei soldati. 49 uomini hanno così trovato la morte, come anche alcuni cittadini di Tuzla. Alcuni abitanti della città sono usciti dalle loro case ed hanno aiutato i loro soldati. Sono loro che li hanno soccorsi prima che questi fossero portati all’ospedale. Gli inquirenti del Tribunale municipale e della Procura hanno immediatamente ispezionato la scena. Hanno interrogato tutti i feriti e tutti quelli che erano stati arrestati. L’indomani, aiutati dal colonnello Ugo Novković, abbiamo riorganizzato e riunito tutti i soldati con le loro armi. Abbiamo accompagnato circa trecento soldati agli autobus diretti verso la città di Bijeljina. Per concludere, noi non abbiamo trattenuto nessuno, non abbiamo messo nessuno né in prigione, né in un campo di prigionia. L’atto d’accusa denuncia anche il comportamento disumano che certi medici avrebbero avuto verso i feriti del convoglio. È scandaloso! A quell’epoca il capo del Dipartimento di chirurgia era Božidar Radević, che ora è il direttore del Programma nazionale dei trapianti in Serbia. Un atto d’accusa di questo tenore non può essere accettato!», sottolinea Selim Bešlagić.

Giudicare il crimine a Sarajevo o a Belgrado?

Il nostro interlocutore ci spiega come l’atto d’accusa contro i sei funzionari di Tuzla che parteciparono alla difesa della città sia stato predisposto a Belgrado.
Secondo le sue informazioni, nel 1994, la Procura militare della Repubblica federale jugoslava, su iniziativa del KOS (Servizio di informazioni), ha incriminato i comandanti della JNA che avevano condotto il convoglio attraverso Tuzla. L’esercito ha accusato il sotto-colonnello Mile Dubajić come anche i suoi superiori di non aver adeguatamente organizzato lo spostamento del convoglio. Eppure, a causa degli stretti rapporti tra la JNA e i quadri dell’esercito della Republika Srpska, questo caso è stato insabbiato al Tribunale militare di Belgrado, per poi trasformarlo in atto d’accusa contro le autorità civili di Tuzla. Dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, l’atto d’accusa è stato trasmesso al Tribunale dell’Aja, che lo ha reinviato alla Procura bosniaca. A metà del 2002 anche le famiglie delle vittime del convoglio della JNA a Tuzla hanno sporto denuncia in Republika Srpska. Questo procedimento è ugualmente partito per l’Aja, da dove è stato reinviato agli organi competenti in Bosnia-Erzegovina. Nello stesso tempo a Belgrado, la Procura per i crimini di guerra ha ripresentato la denuncia che già era stata presentata alla Procura militare jugoslava. Questo atto d’accusa riguarda i sei cittadini di Tuzla.
I cittadini di Tuzla messi sotto accusa ritengono che l’attacco del convoglio della JNA avrebbe potuto essere stato sottoposto a giudizio, negli ultimi dodici anni, dalla Corte di Bosnia-Erzegovina. Essi ritengono il Procuratore di Bosnia-Erzegovina colpevole di non aver agito al momento opportuno.
«Il Tribunale dell’Aja ha detto che bisognava che questo caso venisse giudicato davanti alla Corte di Bosnia-Erzegovina. Dal 1995 al 2007, si sarebbe potuto facilmente giudicare questo caso. Dal 1995 io andavo ripetendo che era un processo che si doveva aprire, perché è difficile vivere per dodici anni col fardello di poter essere considerato come un assassino. Questo processo dev’essere condotto davanti alla Corte di Bosnia-Erzegovina. Se no, il dilemma persisterà e si crederà che noi abbiamo attaccato la colonna, che noi eravamo gli aggressori. Bisogna giudicare per sapere se noi ci stavamo difendendo o se invece attaccavamo. Quello che è certo è che in quell’occasione a Tuzla noi ci difendevamo», sottolinea Selim Bešlagić.
Nessuno degli accusati sapeva di figurare sull’avviso di ricerca dell’Interpol. È una mancanza delle istituzioni competenti di Bosnia-Erzegovina, che avrebbero dovuto saperlo.
«La stessa cosa può accadere alle persone che in Serbia saranno accusate del caso di via Dobrovoljačka. A causa del mandato, noi non possiamo viaggiare da nessuna parte perché ovunque, all’infuori del nostro Paese, potrebbero arrestarci per estradarci a Belgrado. Il ministero degli Affari esteri di Bosnia-Erzegovina deve inviare una lettera di protesta all’Interpol, precisando che gli individui ricercati si trovano in Bosnia-Erzegovina. Non è logico che l’Interpol ci ricerchi mentre noi in Bosnia-Erzegovina ci muoviamo tranquillamente, a disposizione dei tribunali bosniaci. Io potrei appoggiarmi alla mia immunità parlamentare, ma non voglio farlo. Voglio avere lo stesso trattamento degli altri accusati di Tuzla», dice Selim Bešlagić.
Oltre ai sei cittadini di Tuzla citati nel documento della Procura serba, quella di Bosnia-Erzegovina, nel corso della sua inchiesta preliminare concernente l’attacco contro il convoglio della JNA, ha citato il caso di quattro altri cittadini di Tuzla: Jasmin Imamović, all’epoca segretario comunale di Tuzla, Željko Knez, primo comandante del Secondo corpo dell’Esercito di Bosnia-Erzegovina, Mehmed Žilić, del Segretariato per la difesa popolare, Sead Avdić, presidente del Comitato esecutivo del Consiglio municipale di Tuzla, ed infine Faruk Prcić, che ha negoziato la partenza della JNA da Tuzla.
Il documento che apre l’inchiesta della Procura di Bosnia-Erzegovina, firmato dalla procuratrice Božidarka Dodik, menziona dei crimini molto più gravi di quelli riportati dal documento serbo. A titolo di esempio, certi individui sono incolpati di «aver messo del sale sulle ferite dei membri della JNA e di avergli colpito la testa con dei martelli, lungo il tragitto per l’ospedale».

 

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