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La guerra dei francobolli

Prosegue l’estenuante disputa tra Atene e Skopje sul nome "Macedonia", che assume ogni giorno di più risvolti da teatro dell’assurdo. Ormai si combatte anche a colpi di timbri e francobolli, e tra le parti diventa impossibile non solo il dialogo politico, ma anche quello epistolare

26/09/2008, Gilda Lyghounis -

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Dalle battaglie di Alessandro Magno alla guerra postale fra Atene e Skopje. Alla frontiera fra i due Paesi non si combatte con le sarisse, le lunghe lance dell’invincibile falange macedone di 2300
anni fa. Ma a colpi di timbri burocratici, che inesorabilmente rispediscono ogni lettera al mittente rendendo impossibile il dialogo: non solo quello politico fra le due capitali, che dal 1992, dopo lo sfascio dell’ex Jugoslavia, si contendono il copyright sul nome "Macedonia" e sull’eredità storica di Alessandro Magno, ma soprattutto quello epistolare fra i comuni cittadini.

Un esempio? Un avvocato di Salonicco, capoluogo della Macedonia sull’Egeo, la più grande regione nel nord della Grecia, ha spedito a una sua cliente di Skopje alcuni estratti del catasto tessalonicese che le permetterebbero di recuperare un terreno e una casa di proprietà dei suoi avi. In fondo la strada che collega i due Paesi è lunga solo 130 chilometri, e nel corso dei secoli il via vai di persone, trasferimenti (o confische) di proprietà o di prodotti commerciali fra la Macedonia dell’Egeo e quella del Vardar (come era chiamata sulle cartine ottomane la regione di Skopje) non è mai finito. Ma dopo qualche giorno, come riferisce la donna in una lettera di protesta pubblicata dal quotidiano di Skopje "Nova Makedonija", il legale le ha telefonato per avvertirla che il plico era stato rispedito al mittente, ossia al suo studio professionale a Salonicco.

Errore di indirizzo? Non esattamente. Sia i greci sia gli abitanti della "ex Repubblica socialista jugoslava di Macedonia" (Former Yugoslavian Republic of Macedonia", da cui l’appellativo Fyrom, con cui è stata riconosciuta dall’Onu) non sanno più quale recapito indicare per fare arrivare le proprie lettere a destinazione. Già, perché per scrivere dall’Ellade a Skopje bisogna tracciare, a chiare lettere, sotto la città del destinatario il nome dello stato: ovvio, direte voi, si fa così in tutto il mondo. Ma in quest’angolo dei Balcani si ragiona (o si sragiona) in altro modo. E’ proprio sull’appellativo dello stato che inizia la follia burocratica.

Quale stato? Guai a chi scrive Macedonia, nome dello scandalo: è indispensabile scrivere "Fyrom", altrimenti la lettera non raggiunge neppure la frontiera. Così ha deciso l’Elta, l’Ente postale ellenico. Ma Fyrom è toponimo "sconosciuto" agli analoghi uffici di Skopje, che a loro volta si limitano a imprimere "Greece" sulla busta e a rispedirla in Grecia. Vicende come quella del legale greco e della sua cliente riempiono i quotidiani di Skopje, da "Dnevnik" a "Vecer", bersagliati da centinaia di missive di lettori locali inferociti.

Non è finita. Secondo il giornale ateniese "Eleftherotypia" la guerra postale si estende anche ad altri servizi pubblici. A iniziare dai doganieri di Skopje, che ai propri connazionali vogliosi di fare una capatina in Grecia impongono ore di umiliante attesa e controlli sui bagagli, cosa che non avviene per i serbi o altri turisti in viaggio per l’Ellade via Skopje.

Ma una volta passato il confine, l’odissea non è finita. Subentrano le Ferrovie greche (OSE) che proibiscono 2 o 3 volte la settimana ai convogli provenienti dalla innominabile "Repubblica di Macedonia" di entrare nel Paese degli dei dell’Olimpo. Ci si è messo pure l’embargo aereo: all’inizio dell’estate le autorità ateniesi hanno negato a un aeroscalo della Mat (Macedonian Airlines) di sorvolare la Grecia, sempre per la dicitura "Macedonian". Risultato? Il primo ministro Nikola Gruevski ha annullato la propria visita già programmata ad Atene. A differenza dei propri connazionali, che per nessuna ragione hanno rinunciato a fare le vacanze sulle inospitali, per loro, spiagge elleniche: mezzo milione di turisti "macedoni" dall’inizio dell’anno, di cui 100mila solo ad agosto. "Gente senza orgoglio nazionale" li bollano gli ultraconservatori rimasti in patria "Perché non fate le vacanze in Albania?"

Intanto, così come pacchi di corrispondenza fra Atene e Skopje aleggiano come fantasmi senza mai arrivare al destinatario, anche il dialogo fra i vertici dei due Stati sembra fermo a un binario morto. Proprio questa settimana, mercoledì 24 settembre, sia la ministra degli Esteri ellenica Dora Bakojannis sia il presidente "macedone" Branko Crvenkovski sono a New York, per incontrarsi con Matthew Nimitz, il mediatore Onu sulla questione del nome.

Ma dall’ufficio del premier "macedone" è stato precisato che "i due leader non si incontreranno". Bakojannis vedrà Nimitz la mattina, Crvenkovski il pomeriggio. Pare che il mediatore delle Nazioni Unite proporrà, per l’ennesima volta, a Skopje di rinunciare all’appellativo "Repubblica di Macedonia" tout court per accettare, come già auspicato dalla controparte greca, una denominazione composta e di connotazione geografica, per esempio "Macedonia del nord" (per evitare suffissi etnici tipo Slavomacedonia, che esaspererebbero la forte minoranza albanese). Sarebbe un buon inizio per annullare il veto posto da Atene all’ingresso di Skopje nella Nato e nella Ue.

Finora le autorità di Skopje hanno risposto picche. A meno che quel nome composto sia usato solo nelle relazioni bilaterali con la Grecia mentre "Repubblica di Macedonia" sostituisca il poco onorevole "Fyrom" negli organismi internazionali.

Intanto, in una recente conferenza dell’Unesco, l’organizzazione culturale dell’Onu, la rappresentanza greca si è ritirata perché i colleghi di Skopje hanno distribuito un opuscolo in cui si menzionavano la lingua e l’etnia "macedoni".

In questo labirinto senza uscita, chissà se l’avvocato di Salonicco ha deciso di mettersi in viaggio in automobile per portare di persona alla sua cliente la lettera che non riesce a farle pervenire dalla Grecia. O se la signora si è concessa un week end sulle spiagge della Calcidica, vicino alla grande città ellenica dove abitarono i suoi avi, unendosi alla carica dei 100mila "macedoni" in vacanza nella terra degli dei.

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