La Grecia di Petros Markaris
Lo scrittore Petros Markaris guarda alle radici, greche ed europee, alla base della crisi che ha fortemente colpito il suo paese. Un’intervista
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 23 giugno 2015)
Uomo dai molteplici talenti Petros Markaris è traduttore, drammaturgo e romanziere. E’ stato sceneggiatore di Theo Angelopoulos per una decina di film. 78 anni – e noto soprattutto per essere l’autore di romanzi polizieschi dal successo mondiale – è osservatore inquieto della vita politica e della società greca, che descrive attraverso le inchieste poliziesche del suo personaggio feticcio, l’ispettore Charitos.
Nello scrivere “Prestiti scaduti”, il primo romanzo della vostra trilogia dedicata alla crisi, ci si rende conto che lo scenario peggiore che i greci si immaginavano nel 2010 è di fatto molto migliore di quanto avvenuto nella realtà…
Assolutamente sì. All’epoca, dopo le prime misure di austerità, la gente temeva di perdere la tredicesima. Alla fine hanno perso molto di più. E’ proprio questa la mia grande critica ai governi di allora: la loro retorica ottimista voleva far credere che sarebbe bastato serrare un po’ la cinghia affinché tutto andasse bene.
Per me era però già evidente all’epoca che questa crisi sarebbe durata ed è per questo che ho iniziato a scrivere in merito una trilogia. Per paesi dalle economie deboli come la Grecia, una volta che la crisi colpisce, è dura uscirne.
Siete un uomo di sinistra. Come vedete la situazione politica attuale in Grecia? Avete votato per Syriza? Sostenete l’attuale governo?
Sono di sinistra ma non ho votato per Syriza. La sinistra della mia generazione, orientata verso l’utopia socialista, è riuscita ad ottenere risultati intermedi: migliori condizioni di lavoro, pensioni migliori, ecc. Quello che oggi vedo però attraverso l’Europa è una sinistra alla ricerca di se stessa. E’ ormai appiattita sulla logica del centro-destra come lo sono i socialdemocratici tedeschi.
A mio avviso Syriza non è di sinistra. E’ un partito euro-scettico e anti-memorandum. O perlomeno, è presentandosi così che ha vinto le elezioni. D’altronde la sua alleanza con gli euroscettici di estrema destra del partito Greci Indipendenti non si può che spiegare così. Come potrebbe essere di sinistra un partito che aspira, da programma, a ritornare al passato?
Prendete ad esempio la televisione pubblica: non promettono di costruire una televisione pubblica degna di questo nome ma solo di ritornare a ERT com’era prima del 2013. Le forze progressiste non possono avere come obiettivo un ritorno al passato. Lo stesso è vero per le riforme nel campo dell’educazione: il loro progetto di legge si limita ad abolire i cambiamenti che sono stati fatti negli ultimi cinque anni e non porta alcun elemento nuovo. Ritornare a cinque anni fa non è un programma di sinistra.
Pensiamoci un po’. Cinque anni fa i greci erano di sinistra? Le situazioni a cui ora si vuole tornare erano state create dalla sinistra? No. Ecco il problema con Syriza. Detto questo è poi evidente che il loro successo è il risultato degli errori mostruosi commessi dai governi precedenti. Occorre essere chiari: la situazione attuale non è frutto delle politiche di Syriza. Non hanno fatto che ereditare una situazione estremamente difficile, ma non l’hanno certo creata.
Io ho votato per To Potami (Il fiume). Non ho alcuna simpatia per nessuno dei partiti presenti in parlamento. Io “voto utile” o, se volete, a volte in modo “strategico”. Quindi il mio voto non è certo frutto di un’infatuazione per To Potami, ma una reazione alla radicalizzazione della destra classica, Nuova Democrazia, e all’emergere di Syriza, un partito del quale un buon numero di quadri sono dei comunisti “classici” e se preferite “storici”, come se ne possono trovare all’interno del KKE.
Ed ora non fraintendetemi: ho sperato di tutto cuore che Syriza vincesse. Altrimenti avremmo assistito ad un rafforzamento di Alba Dorata e questo mi faceva tremare. E attenzione, non sto dicendo che nel caso di fallimento di Syriza Alba Dorata sarebbe arrivata al governo. Ma dal 6% passano al 10%, al 12%… Come tutti i popoli del Mediterraneo,anche i greci quando si sentono alle strette si rivolgono verso chi ritengono sia anti-sistema. I dirigenti europei attuali non riflettono in modo politico, perché se lo facessero questa sarebbe la loro prima preoccupazione.
Ma l’Unione europea non ha più una voce politica, è guidata solo da un discorso economico. Questa, a mio avviso, è una colpa molto grave.
Questa “fine della politica” in seno all’Unione europea è arrivata quando una generazione di leader che avevano avuto esperienza della Seconda guerra mondiale, tra cui François Mitterrand o Helmut Kohl, hanno lasciato il potere?
E’ assolutamente così ma non è la sola ragione della crisi attuale. Vi è anche l’aspetto economico. I grossi problemi di coesione in seno all’UE sono incominciati con la moneta unica. I soldi distruggono le amicizie e le famiglie e hanno distrutto anche l’UE: senza la moneta unica, non avremmo avuto le tensioni attuali.
Si è cercato di fare l’Europa attraverso l’unione monetaria. Prima sarebbe stato necessario fare l’Europa federale e solo poi la moneta unica. La Thatcher, che io non ho mai apprezzato, aveva ammonito Mitterrand su questo. Purtroppo aveva ragione. Oggi ogni discussione sull’Europa dimentica il suo aspetto culturale. Ciononostante ciò che fa l’Europa è la sua dimensione culturale comune.
Non è forse in parte responsabilità della Germania e della sua insistenza nel definire l’appartenenza all’Europa attraverso parametri economici?
Certo. Vi è un problema enorme in questo. Storicamente i due motori politici dell’Europa sono stati la Francia e l’Inghilterra. I tedeschi non si sono mai occupati di politica e non ne capiscono granché. Pian piano la Gran Bretagna si è sganciata dall’Unione europea e la Farcia ha perduto il suo potere, conservando solo l’aurea del passato. E’ rimasta solo la Germania, che si riconosce nell’economia ma che non capisce granché di politica.
Che consigli darebbe ai dirigenti europei?
Innanzitutto devono comprendere che questa divisione nord/sud – creata scientemente all’inizio della crisi per ragioni politiche – è catastrofica perché divide i popoli invece di unirli. In secondo luogo occorre offrire una prospettiva di futuro ai popoli europei. Infine occorre rimettere al centro delle decisioni politiche la costruzione europea e non lasciarla ai margini. Oggi le decisioni vengono prese secondo logiche nazionali ed elettorali. Non è sostenibile nel lungo termine.
Come giudicate il ruolo degli Stati Uniti nella crisi europea attuale?
Gli americani – che pensano in modo politico – sono ora la “voce della saggezza” sul continente europeo. In un contesto balcanico dove numerosi paesi sono poco stabili, non è pericoloso lasciare a se stessa la Grecia per questioni di vil denaro e vederla avvicinarsi alla Russia? Gli americani hanno capito l’importanza della questione, gli europei per nulla.
Ritenete che verrà trovato un accordo tra la Grecia e i suoi creditori?
50-50. Come diceva il grande drammaturgo tedesco, che era un dichiarato pessimista: “L’ottimismo non è altro che una insufficienza di informazioni”. Di fatto non so verso dove si sta andando. Mi aspetto che si piazzi un’orchestra in Piazza Syntagma: mentre il Titanic affondava l’orchestra suonava.
Il 5 giugno il governo greco ha scelto di sospendere la restituzione del debito con l’FMI e d’ottenere una deroga nei tempi dei pagamenti delle proprie obbligazioni. Come giudicate queste richieste?
Non è una cattiva cosa, tutt’altro. Hanno sino al 30 giugno per pagare ed è logico agire in questa maniera. Hanno il coltello puntato alla gola, l’eventualità di rottura con i creditori si sta facendo concreta, perché rimborsare 300 milioni ora quando si rischia lo stesso un domani di trovarsi fuori dall’euro?
E quale il vostro giudizio sui vostri compatrioti? Quali le responsabilità della società greca su quanto sta avvenendo?
Dalla caduta della giunta militare nel 1974 sino al 2010 il paese è stato governato da due famiglie, i Papandreou e i Karamanlis, 23 anni su 36. Questa suddivisione del potere politico ha impedito l’emergere di forze politiche nuove. E questo è avvenuto tutto attraverso le urne e il consenso del popolo. Come non sentirne la responsabilità?
Voi avete una relazione particolare con la Germania, avete anche ricevuto il premio Goethe nel 2013. Come avete vissuto le vostre relazioni in questi mesi difficili, in questi anni difficili tra Grecia e Germania?
Mi viene fatta spesso questa domanda. Tutto è cominciato nel 2010 con il primo piano di aiuti. Ho visto allora due tendenze in Germania: all’inizio un’alzata di scudi di una parte della popolazione contro i greci e poi una “seconda scuola di pensiero” che non seguiva esclusivamente quanto detto dai media e che diceva: “Non occorre mettere la Grecia in ginocchio perché non ci si guadagnerà nulla”. Nessun paese può tenere senza un’idea di futuro.
Traduttore, drammaturgo, sceneggiatore, scrittore. Cosa vi preme di più della vostra brillante carriera?
Ad ogni stadio della mia vita e della mia carriera ho fatto quel che ho fatto con voglia e piacere di farlo. Ho fatto anche tutto per esprimere a fondo il mio pensiero. Ho iniziato a scrivere romanzi a 58 anni, scoprendo così il piacere di essere romanziere un po’ tardino. E attualmente è la sola cosa che mi interessa: il romanzo. Ho smesso di tradurre dopo aver tradotto il Faust di Goethe. Cos’altro potevo tradurre dopo quello? Il mio lavoro di sceneggiatore l’ho abbandonato dopo la morte di Theo Angelopoulos. Era un lavoro intimamente legato alla mia relazione con lui. Non scriverò più alcuna sceneggiatura. Mi resta il romanzo. Sono felice perché è questo che mi ha donato un riconoscimento personale internazionale. Ma la trama rimane solo un pretesto: il mio scopo è stato sempre quello di utilizzare l’inchiesta giudiziaria per parlare della società greca.
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