La Georgia, la Nato e la lunga attesa
Manovre militari congiunte e Consiglio nord atlantico. La Georgia è stata al centro di vari eventi legati alla difesa e targati Nato. Tbilisi però resta ancora fuori dall’Alleanza
Si è placato il cigolio dei mezzi pesanti e il frastuono dell’artiglieria che per due settimane hanno risuonato in una vasta area militare tra le colline di Akhalsitkhe, Georgia meridionale. Le manovre, nome in codice Agile Spirit, sono state il culmine operativo di un inizio settembre tutto all’insegna di apparato militare e difesa. Mentre oltre un migliaio di soldati tra georgiani, americani e altri cinque paesi muovevano veicoli blindati, anfibi d’assalto, e cannoni, Tbilisi ospitava il Consiglio Nord Atlantico (North Atlantic Council, NAC) presieduto dal Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
Esercitazioni e vertice diplomatico seguono di poche settimane il summit di Varsavia di luglio che ha ufficializzato l’entrata del Montenegro tra i ranghi dell’Alleanza atlantica (il protocollo di accesso è stato firmato lo scorso 19 maggio, ora deve essere ratificato da tutti gli stati membri), lasciando però la Georgia ancora in anticamera. La visita dell’esecutivo dell’Alleanza non è la prima – Tbilisi ha ospitato il NAC in altre tre occasioni dal 2008, anno della formazione della commissione Georgia-Nato – ma la coincidenza con le simulazioni multinazionali sembrano voler mandare un messaggio sulla repubblica caucasica nella lista delle priorità dell’Alleanza.
“Gli alleati sono determinati ad aumentare e intensificare il livello di supporto della NATO per la Georgia”, ha detto Stoltenberg durante una conferenza stampa a Tbilisi, aggiungendo che “come paese aspirante, ha tutti gli strumenti pratici per preparare l’adesione (…) e la Nato è impegnata ad aiutare la Georgia su questa strada.”
Gli elogi per il contributo georgiano alla sicurezza internazionale con l’impegno in missioni internazionali hanno fatto eco a quelli di Varsavia, così come l’impegno per le riforme. “Non state marciando da soli sul vostro cammino riformatore,” ha aggiunto in conferenza stampa il diplomatico norvegese. “La Georgia ha tutti i requisiti necessari per procedere verso l’adesione alla Nato. Continueremo a contare sulla Georgia e a sostenervi”.
Partito Stoltenberg e il gruppo di ambasciatori del consiglio, il tappeto rosso è rimasto per accogliere il ministro della Difesa francese Jean-Yves de Drian che ha incontrato la sua controparte georgiana, il fresco di nomina Levan Izoria. La Francia ha un legame forte con la Georgia, anche sul fronte dell’industria della difesa, e la prima visita di un ministro della Difesa francese non è casuale. Alla fine dell’anno scorso Tbilisi ha firmato un contratto di finanziamento con la banca francese Société Générale del valore di oltre 77 milioni di euro per l’acquisto di attrezzature e sistemi di difesa aerea. I contratti sono stati stipulati con la ThalesRaytheonSystems, che produce radar terrestri di sorveglianza e sistemi di comando e controllo della difesa aerea, e il produttore di missili MBDA Francia. I dettagli delle attrezzature commissionate non sono stati resi pubblici.
Il no di Mosca
Sul quando e come però nessun accenno, né del resto Stoltenberg avrebbe potuto. Nonostante l’ufficiale politica “della porta aperta”, a microfoni spenti, l’alleanza rimane spaccata con gli Stati Uniti pronti a spalancarla e vari membri europei, Germania in testa, che la tengono socchiusa guardando Mosca dalla finestra. L’opposizione del Cremlino a una Georgia nella Nato rimane un deterrente. E i tempi dilatati dell’attesa ne sono una conferma.
Nel lontano 2007, l’allora Segretario generale dell’alleanza Jaap de Hoop Scheffer dichiarò che da lì a due anni, nel 2009, avrebbe voluto “vedere più paesi nella Nato”, indicando che era “importante avvicinarsi ad onorare le ambizioni” della Georgia e della spinta riformatrice innescata dalla “rivoluzione delle rose” del 2003.
Molta acqua è passata sotto i ponti da allora. Mancato per un soffio l’obiettivo al summit di Bucarest dell’aprile 2008, il conflitto con la Russia per le regioni separatiste di Ossezia del sud e Abkhazia ha allontanato ulteriormente i paletti. Così lontani che non si vedono.
Per Ghia Nodia, direttore della scuola di studi internazionali dell’Ilia Chavchavadze State University, l’ingresso è un’incognita, ma Tbilisi rimane un partner affidabile per il club atlantico.
“La prospettiva di adesione in questa fase rimane vaga”, spiega l’accademico che dirige l’Istituto caucasico per la pace, la democrazia e lo sviluppo. “Il legame con l’alleanza atlantica non è una garanzia assoluta per il paese, ma allo stesso tempo esercitazioni militari e attenzione diplomatica servono ad accrescere il livello di sicurezza per la Georgia”. Inevitabilmente le manovre militari irritano il Cremlino che ritiene che i paesi post-sovietici debbano rimanere nella propria sfera d’influenza, conclude.
Mosca non ha voce nel processo decisionale dell’alleanza ha spiegato il Segretario generale, sta solo ai membri della NATO e alla Georgia decidere e “nessun altro ha il diritto di interferire o cercare di porre il veto su quel processo.”
Un pacchetto sostanzioso
Eppure il bicchiere non è totalmente vuoto. “Tra il nulla e il pass di membro esiste un ventaglio di opportunità accordate alla Georgia e sta al paese utilizzare al meglio”, spiega una fonte diplomatica a OBC Transeuropa. “Il pacchetto di supporto concordato al vertice in Galles del 2014 offre un aiuto concreto che le autorità non devono sottovalutare”.
Il fiore all’occhiello degli aiuti è il centro di formazione Nato diventato operativo nella primavera di quest’anno. La struttura alle porte della capitale integra un supporto che mira a perfezionare da un lato la compatibilità delle forze armate georgiane con gli standard dell’Alleanza, dall’altro la capacità di difesa del paese in caso di necessità potenziando cyber-defense, sicurezza via terra, aria e mare, servizi d’intelligence ed esercitazioni militari congiunte.
L’attesa però logora – sigillare l’integrazione euro-atlantica rimane il cuore della politica estera del paese, al di là degli schieramenti politici, e la richiesta di accesso è a tratti diventata un vero e proprio appello. Del resto, la piccola repubblica con poco più di 3 milioni e 700mila abitanti è il più grande contribuente non-Nato in Afghanistan e soldati georgiani hanno partecipato attivamente alle missioni di pace in Kosovo, Repubblica centro-africana e missioni di anti-terrorismo nel Mediterraneo.
Lo scorso luglio a Roma nel corso di una visita ufficiale per corteggiare l’Italia in vista del vertice di Varsavia, l’allora ministro della Difesa Tinatin Khidasheli (dimissionaria all’indomani del summit per concentrasi sul voto parlamentare del prossimo 8 ottobre) è stata chiara: se la Nato e l’Unione europea non mantengono le promesse fatte a Tbilisi, da Mosca arriverà un messaggio destinato a provocare altri disastri, come la crisi in Ucraina. “La Russia ha un’agenda molto chiara e definita, con obiettivi altrettanto chiari” e la Georgia è nel mirino, come del resto l’Ucraina.
Per Khidasheli la decisione sull’ammissione deve essere presa sulla sola verifica dei parametri richiesti dal Trattato euro-atlantico, “non sulla base del veto espresso da un paese terzo”, perché se così fosse “è come se si dicesse alla Russia, ‘se annetti territori, la storia finisce qui, non ci sono conseguenze’”.
L’andamento lento del processo ha creato frustrazione tra la popolazione che rischia di riflettersi sul voto parlamentare di ottobre – i georgiani favorevoli all’Unione euroasiatica guidata dalla Russia sono passati dall’11% nel 2013 al 31% dell’agosto del 2015, una tendenza che preoccupa le forze moderate ed europeiste.
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