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Tag: Rifugiati

Area: Georgia

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La Georgia degli sfollati

I numeri per la Georgia parlano di 304.000 sfollati che vi vivono, principalmente riconducibili alle guerre secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud dei primi anni ’90 e del 2008. Nuovi sfollamenti, registrati del 2020, sono stati la conseguenza di due inondazioni

22/02/2022, Marilisa Lorusso -

La-Georgia-degli-sfollati

L’Internal Displacement Monitoring Center pubblica dal 2020 un indice annuale con i dati relativi agli sfollati nel mondo . Nell’indice vengono prese in considerazioni varie cause di sfollamento fra cui guerre e disastri naturali. Tra i paesi esaminati vi è la Georgia.

I numeri per la Georgia parlano di 304.000 sfollati, principalmente riconducibili alle guerre secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud dei primi anni ’90 e del 2008. Nuovi sfollamenti, registrati del 2020, sono stati la conseguenza di due inondazioni che hanno costretto 160 persone ad abbandonare le proprie case. Il numero totale, 304.000, include gli sfollati che oggi vivono in Abkhazia e Ossezia del sud, per esempio i georgiani che hanno lasciato Sukhumi e si sono trasferiti a Gali, più vicini alla vecchia linea amministrativa fra Abkhazia e Georgia, e che percepiscono il sussidio da Tbilisi attraversandola. Nelle aree controllate da Tbilisi si parla in genere di 270.000 sfollati, di cui 240.000 fuggiti dall’Abkhazia e 30.000 circa fuggiti dall’Ossezia del Sud.

La Georgia ha adottato una Legge sugli sfollati nel 1996, una Strategia per gli sfollati e i perseguitati nel 2007, ed ha poi emendato la Legge nel 2014. L’iter normativo è stato accompagnato dalla creazione di un ministero per gli Sfollati dai Territori Occupati, il Lavoro, la Salute e gli Affari Sociali e una Agenzia per gli sfollati, gli eco-migranti e il sostentamento.

C’è un registro che raccoglie i dati su tutti gli sfollati, divisi per area, età e sesso. Gli sfollati hanno diritto a un supporto economico e ad una ricollocazione all’interno del paese. La stima dei costi è di 371 dollari all’anno a sfollato, stando ai dati del 2020, il che significa 112 milioni di dollari l’anno. Questo dato corrisponde a circa il 0.65% del PIL.

Le persone oltre i dati

Quello che è successo in Georgia è quello che succede sempre con le guerre. Una fuga caotica e disperata di civili verso un territorio più sicuro ma – come spesso accade – totalmente incapace di accogliere un alto numero di sfollati in condizioni decorose e sicure. Questo si è ripetuto quando prima l’Ossezia del Sud e poi l’Abkhazia hanno dichiarato l’indipendenza negli anni del collasso sovietico così come nella guerra russo-georgiana del 2008 che ha portato al riconoscimento da parte della Russia della loro indipendenza. Migliaia di persone si sono riversate nelle aree controllate da Tbilisi trovando alloggio temporaneo in sanatori per le vacanze, colonie estive, asili, scuole, ospedali. Spesso quelle soluzioni d’emergenza si sono trasformate in domicilio permanente, nell’eterna speranza di poter tornare un giorno nelle proprie case.

Un tempo sospeso che però intanto scorre e durante il quale gli edifici già inadatti ad accomodare trent’anni fa si sono fatti sempre più fatiscenti. È quello che è accaduto al sanatorio Kartli, a Tbilisi. Il sanatorio ha ospitato per tre decadi più di 120-130 famiglie di sfollati. A dicembre 2021 il soffitto di una delle entrate è crollato. I domiciliati lì hanno manifestato affinché si trovasse un’altra soluzione abitativa. Stando all’ufficio dell’Ombudsperson della Georgia il sanatorio Kartli sarebbe uno dei 90 edifici nel paese che mettono a rischio la salute e la sicurezza degli sfollati che vi risiedono.

La vicenda ha preso una svolta ancora più tragica a gennaio. Il 16 gennaio Zurab Chichoshvili, 52enne sfollato d’Abkhazia che risiedeva nel sanatorio Kartli, ha deciso di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra. Il gesto sarebbe stato motivato dalla volontà di attirare l’attenzione sulle condizioni di vita nel sanatorio, con la speranza che un evento così drammatico avrebbe contribuito a sbloccare la situazione.

Un sacrificio insomma perché almeno gli altri sfollati venissero tirati fuori da un edificio sempre più fatiscente e si trovasse per loro una collocazione più dignitosa.

Svuotamento

Dopo la morte di Zurab Chichoshvili il ministero degli Interni ha aperto un’indagine per istigazione al suicidio.

Un gesto così estremo ha portato allo sblocco della situazione e all’inizio dello svuotamento del Sanatorio Kartli . Il 27 gennaio per nove famiglie che vivevano nel sanatorio sono state trovate nuove case. Altre sette hanno optato per trovarsele da soli, ma lo stato pagherà l’affitto. L’Agenzia per gli sfollati, gli eco-migranti e il sostentamento si è impegnata a completare lo svuotamento del sanatorio entro il 2022.

Il disperato gesto di protesta ha raggiunto lo scopo che si era prefissato il suo autore, ma non ha disperso le nubi sul capo degli sfollati del Kartli come delle altre strutture fatiscenti nel paese. Sia chi sta abbandonando il sanatorio di Kartli che gli altri che continuano nel loro tempo sospeso in container e soluzioni abitative d’emergenza permane un problema economico di non facile soluzione. Lo stato fatica a trovare nuove ubicazioni, e chi se la trova per conto proprio deve fare i conti con quanto viene stanziato e il carovita nel paese. La Georgia dà 550 dollari al metro quadro per l’acquisto di una casa, ma il mercato immobiliare di Tbilisi non conosce tariffe così basse. Gli sfollati chiedono che siano previsti almeno 650 dollari al metro quadro. L’alternativa è andare in affitto in attesa che vengano create nuove unità abitative per gli sfollati. Ma in questo caso la paura è che i tempi di costruzione e ricollocamento si protraggano così a lungo che il sussidio per l’affitto decada.

Il limbo esistenziale in cui fluttuano le vite degli sfollati, spesso disconnessi dal tessuto sociale e produttivo in cui la storia li ha catapultati, sembra un infinito rimandare di date.

Non sono chiari i tempi in cui il governo georgiano prevede di aver risolto la crisi di alloggi per gli sfollati con nuove strutture. Ma è soprattutto proiettata in un eterno futuro l’ipotesi di un rientro nella propria di casa, nel posto da cui si è dovuti fuggire e nel ricordo di cui molti ancora continuano a vivere, più appesi al passato che al nebbioso futuro.

Quella del ritorno è una speranza frustrata ad ogni Discussione di Ginevra, il format nato dopo la guerra del 2008, e che ha superato più di 50 incontri. I rappresentanti di Abkhazia, Ossezia del Sud e Russia sistematicamente, ad ogni sessione ormai da anni, lasciano il tavolo al momento in cui nel gruppo sulla soluzione della crisi umanitaria si affronta il tema del rientro degli sfollati.

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