La fucina della rivolta
Sono trascorsi dieci anni dalla rivolta studentesca dell’inverno 1996-97, uno dei momenti più limpidi dell’oscura storia della Serbia degli anni novanta. I ricordi e la Serbia di oggi nelle parole di Danijela Nenadic
Di Danijela Nenadic, Politika, 22 novembre 2006 (tit. orig. Расадник побуне )
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni
Belgrado è il mondo (Beograd je svet), è lo slogan degli studenti dell’università di Belgrado – che diedero il via alle proteste durate alcuni mesi in reazione a pesanti brogli elettorali – e che ha fatto il giro del mondo diventando il simbolo della rivolta contro il regime autoritario.
I media di tutto il mondo in quei mesi da Belgrado, Nis, Kragujevac, Novi Sad inviavano notizie sull’ottimismo, sulla forza, sullo spirito, sulla serenità e sull’inventiva degli studenti che ogni giorno deridevano il regime e promuovevano la non violenza come modalità per opporsi al non senso imperante.
Lo slogan Belgrado è il mondo era la voce contro la politica che ha spinto il paese nell’isolamento, ma era anche un chiaro messaggio rivolto all’opinione pubblica internazionale che la Serbia è parte dell’Europa. Dieci anni dopo, la Serbia, almeno formalmente, non è molto più vicina alla famiglia degli stati europei, e i processi democratici non avanzano con la dovuta velocità, cosa che sfocia in un alto tasso di disinteresse dei cittadini non solo per ciò che riguarda le elezioni ma anche per la maggior parte degli avvenimenti sociali.
L’università al tempo di Milosevic era la fucina della rivolta e del pensiero critico. Era pure il luogo in cui si formavano i nuovi valori e si dava il via ai cambiamenti sociali.
Nella storia delle rivolte studentesche dall’inizio degli anni novanta, la protesta studentesca del 96/97 senza dubbio rappresenta il passo più significativo nell’organizzazione politica del mondo accademico.
Questa protesta sarà ricordata come uno specifico movimento sociale che contribuì in modo cruciale alla creazione di spazi d’azione alternativa, alla diffusione delle azioni, così come alla democratizzazione della società. Oltre ad aver risvegliato l’energia e infuso la speranza in molti cittadini, la protesta viene considerata importante anche perché cercò di mantenere una certa distanza non solo rispetto al regime ma anche rispetto ai partiti di opposizione, fondando i propri obiettivi su valori sociali fondamentali, come la giustizia, l’equità, la non violenza, la solidarietà. La protesta studentesca fu soprattutto la credenza in una Serbia diversa: perché la sua energia era enorme e perché riuscì a raggiungere anche coloro i quali non potevano o non desideravano identificarsi con gli allora partiti di opposizione.
Oggi sono trascorsi dieci anni dall’inizio della protesta. Un vero e proprio giubileo. Alcuni di quelli che a quel tempo trascorrevano ogni giornata sulla strada celebreranno in vario modo l’anniversario. Alcuni giorni fa è stata inaugurata una mostra fotografica al SCK Centro culturale studentesco, ndt., e forse qualcuno si ricorderà di passeggiare, ancora una volta, per Belgrado con la ben nota scenografia e l’inconfondibile suono dei fischietti. Ma sarà più un raduno di vecchi amici, un ricordo di quei giorni, una storia quasi comica di persone la cui gioventù è stata segnata da quella lotta contro il regime.
Probabilmente nello stesso luogo si ritroveranno gli allora leader della protesta, e oggi rivali politici, i quali non di rado si colpevolizzano per le aspettative disattese. Due tra i più noti, Ceda Jovanovic e Ceda Antic subito dopo le proteste sono diventati tra i leader del DS Partito democratico, ndt., per poi lasciare entrambi questo partito, l’uno fondandone uno tutto suo, l’altro aderendo alla cerchia di coloro per i quali la professionalità è al primo posto. Molti altri hanno seguito le loro tracce, entrando nel mondo della politica istituzionale attraverso alcuni dei partiti dell’allora opposizione. Ci sono anche quelli che sono rimati fuori dalla politica e che hanno più tardi partecipato alla creazione di Otpor e alla continuazione dell’opposizione al regime, ma la maggior parte dei leader studenteschi di allora è diventato parte dell’establishment politico e sociale, così come molti tra i "semplici passeggiatori".
La protesta studentesca rappresenta uno dei momenti più limpidi dell’oscura storia della Serbia degli anni novanta, soprattutto per l’energia che l’ha caratterizzata. Oggi di quell’energia non c’è nemmeno la traccia. Oggi si parla del disinteresse, dell’apatia, della delusione, dell’incapacità di influire in modo simile sul futuro del paese. Indubbiamente per tale situazione esistono molti motivi. Non c’è dubbio che i litigi, lo sfruttamento della politica e la lenta (e contesa) democratizzazione hanno contribuito a dissipare quell’energia. È chiaro anche che le circostanze sono differenti, che non esiste più un "nemico evidente", e poi che è sempre più difficile mobilitare i cittadini in qualsivoglia impegno politico. I numerosi problemi coi quali la Serbia tuttora si confronta hanno contribuito alla passività dei cittadini e all’aumento dell’apatia.
Ma ritorniamo alla constatazione dell’inizio di questo testo. Gli studenti odierni non mostrano un grande interesse nel prendere parte a qualche nuovo movimento che potrebbe essere l’espressione dei loro bisogni. Ma anche se la situazione è cambiata, esiste un ambito quasi illimitato di possibilità all’interno del quale trovare obiettivi comuni della popolazione studentesca e giovanile. Per far sì che ciò accada serve una visione simile a quella del 1996, la visione di una Serbia democratica, sviluppata e aperta. La verità è che un paese in cui i giovani non vedono motivo di essere gli iniziatori del cambiamento e della costruzione di un nuovo sistema di valori non offre molti motivi per essere ottimisti.
La responsabilità di ciò, certamente, risiede nei rappresentanti delle élite politiche e sociali che dovrebbero farsi carico del rendere possibile ai giovani lo spazio e l’occasione per l’impegno, ma cade anche sugli studenti e sui giovani che dovrebbero trovare il modo di organizzarsi e di perseguire propri obiettivi.
Non ci si può aspettare dall’élite politica che da sola riconosca questi interessi e cambi rapidamente la sua posizione rispetto ai giovani. Al contrario, la strada che si dovrebbe seguire è proprio quella in cui i giovani da soli fanno emergere tematiche nuove e le pongono come prioritarie. L’attività dei giovani che è necessaria alla Serbia non è necessariamente la stessa degli anni novanta e non deve essere letta ad ogni costo attraverso la negazione delle proteste di massa, ma può certamente contribuire parecchio alla realizzazione di un differente sistema di valori. Attraverso la creazione di un pensiero critico dei giovani, e soprattutto degli studenti, si può influire sul cambiamento dell’approccio dell’élite politica attuale la cui ideologia spesso non segue l’attualità del mondo.
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