La frontiera turca
La Turchia è divenuta paese di partenza, di arrivo e di transito per migliaia di migranti. Le condizioni di rifugiati e richiedenti asilo, i centri di detenzione, il lavoro delle associazioni. La pratica delle deportazioni forzate e il lavoro della società civile
Sono migliaia i migranti che cercano di raggiungere l’Europa attraversando la Turchia. Negli anni novanta l’atteggiamento delle autorità era di maggiore flessibilità, ma ora l’Unione Europea ha blindato le frontiere, e molti immigrati sono costretti a fermarsi in Turchia. Se non riescono a ottenere lo status di rifugiato, le possibilità di mettersi in regola sono poche e chi non ce la fa viene rinchiuso nei centri di detenzione.
I dati relativi al numero di migranti che vivono in Turchia non sono per nulla univoci. C’è chi parla di 1.500.000 persone e chi invece solo di 500.000. Non è facile censire gli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno, che sono in maggioranza, soprattutto tra coloro che arrivano nel paese attraversando la frontiera meridionale con l’idea di raggiungere la Grecia via terra o imbarcarsi per arrivare in Europa via mare.
La frontiera tra Grecia e Turchia, sia terrestre che marittima, a partire dagli anni duemila è diventata sempre più invalicabile visto che l’Unione Europea ha richiesto alla Turchia un controllo più stretto delle frontiere come precondizione per proseguire il processo di adesione iniziato nel 2001.
La frontiera greco-turca non è solo difficile da valicare, ma è diventata anche molto pericolosa. Sono frequenti le violazioni dei diritti umani da parte della guardia costiera come avvenuto ad esempio la scorsa estate, quando un ragazzo afgano di diciassette anni, fermato con altre tre persone nei pressi dell’Isola di Lesbo, vicino alla costa turca, è stato ricondotto in mare aperto e abbandonato a bordo della sua imbarcazione di fortuna. Soccorso quattro ore dopo dai guardacoste turchi è stato consegnato alla polizia di Ayvacik, che lo ha arrestato. Trasferito in un’altra prigione a Istanbul gli è stato proposto di firmare una dichiarazione secondo la quale avrebbe accettato di tornare volontariamente in Afghanistan.
Gli immigrati regolari, invece, vengono soprattutto dall’ex-URSS. Sono per la maggior parte donne che lavorano come collaboratrici domestiche nelle grandi città o come operaie nell’industria tessile. Una parte di loro entra nel circuito della prostituzione.
Il numero dei rifugiati è più facile da censire grazie ai dati dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Secondo l’UNHCR i richiedenti asilo residenti in Turchia sono circa 25.000, per la maggior parte iraniani e afgani. La Turchia ha ratificato la convenzione di Ginevra del 1951, ma con una riserva di tipo geografico. Il governo turco si occupa infatti della selezione delle domande per ottenere lo status di rifugiato solo se presentate da cittadini europei. Degli altri si occupa l’UNHCR, che può concedere solo un asilo temporaneo in attesa che i rifugiati raggiungano il Canada, gli Stati Uniti o l’Australia, paesi che hanno sottoscritto un accordo particolare con l’Agenzia per i Rifugiati.
Secondo Clèmence Durand, dell’Helsinki Citizens Assembly – Turchia (HCA), associazione con sede ad Istanbul che si occupa di assistenza legale ai rifugiati, la maggior parte dei potenziali richiedenti asilo pensa alla Turchia solo come paese di transito e, quindi, non registra il proprio indirizzo di residenza temporanea al posto di polizia più vicino al luogo di entrata, come prevederebbe la legge turca. In questo modo l’immigrato diventa "irregolare", e in qualsiasi momento può essere arrestato e rinchiuso in uno delle decine di centri di detenzione per immigrati sparsi per il paese.
Secondo l’HCA, che ha redatto il primo rapporto su questi centri basandosi su testimonianze di ex-detenuti, le condizioni di reclusione degli immigrati sono molto dure e vengono commesse le più svariate violazioni dei diritti dei rifugiati, che vanno dalla difficoltà a ottenere acqua potabile e una generale situazione di sovraffollamento, a casi di vera e propria violenza fisica da parte della polizia che è arrivata a praticare persino la felaqa, forma di tortura che consiste nel percuotere con un bastone le piante dei piedi del detenuto. Alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani inoltre non è permesso entrare nei centri per monitorare la situazione.
Sono molto frequenti le rivolte per protestare contro il duro regime di detenzione e i lunghi periodi di permanenza dentro al centro. A volte, infatti, i richiedenti asilo vengono illegalmente trattenuti per mesi in attesa che l’UNHCR prenda in considerazione la loro richiesta d’asilo.
Le associazioni per la difesa dei diritti degli immigrati in Turchia hanno denunciato anche altri tipi di violazione dei diritti umani a danno degli immigrati, come la pratica delle deportazioni forzate alla frontiera, deportazioni che avvengono senza che gli immigrati abbiano la possibilità di fare domanda di asilo o godere di assistenza medica. Queste deportazioni possono anche causare la morte, come avvenuto il 23 aprile quando, come denunciato dall’UNHCR, quindici uomini di nazionalità siriana e iraniana sono stati costretti dalla polizia turca ad attraversare a nuoto un fiume in piena vicino al confine tra Turchia e Iraq. Quattro di loro tra cui un rifugiato iraniano sono annegati e i loro corpi non sono più stati trovati.
L’HCA non è l’unica organizzazione in Turchia che si occupa di immigrati e richiedenti asilo. A Istanbul sono attivi anche programmi assistenziali organizzati di associazioni cattoliche come la Caritas, il protestante Istanbul Inter-Parish Migrants Program (IIMP), la musulmana Mazlumder o la laica Human Resource Development Foundation (HRDF). Al di là delle differenti appartenenze, queste organizzazioni lavorano assieme coordinandosi mensilmente per fornire assistenza agli immigrati.
Nonostante il fenomeno sia in aumento, l’opinione pubblica turca fa ancora molta fatica a comprendere come il paese stia cambiando divenendo allo stesso tempo luogo di partenza e di arrivo per gli immigrati. Negli ultimi anni, però, le associazioni per i diritti degli immigrati e per la difesa dei diritti umani hanno cominciando a promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione, a fare assistenza legale e a monitorare il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo. Anche il mondo accademico ha iniziato un lavoro di ricerca sul tema immigrazione, e da qualche mese a Istanbul viene pubblicato un periodico scritto dai rifugiati, Mültecilerin Sesi, La Voce del Rifugiato. Qualcosa, lentamente, sta cambiando. Europa permettendo.
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