La Francia, la crisi in Ucraina e il Partenariato orientale
Si intensificano le azioni della Francia nei paesi del partenariato orientale. Parigi – anche in vista delle presidenziali di primavera – sta cercando di imprimere il proprio solco essendo anche presidente di turno dell’UE e co-presidente del Gruppo di Minsk
Il 7 febbraio scorso tutti gli occhi erano puntati sull’incontro bilaterale Emmanuel Macron-Vladimir Putin a Mosca. Il presidente russo ha accolto la controparte ricordando l’attività francese negli scenari dell’Europa dell’est: nel 2008 – quando la Francia era, come attualmente, alla presidenza dell’Unione europea, scoppiò il conflitto russo-georgiano. Allora toccò al presidente Sarkozy volare a Mosca e negoziare l’accordo che mise fine ai combattimenti. Di nuovo la Francia fu protagonista nel 2015 nel cosiddetto Formato Normandia per il conflitto in Ucraina.
Questa volta sul tavolo c’è stato in primis il rischio di invasione dell’Ucraina e l’ulteriore estensione nello spazio e nella virulenza della guerra che si sta combattendo nell’est del paese dal 2014.
Nell’entrare nei suoi sei mesi di presidenza la Francia ha presentato un programma che indica le linee guida che si pone il governo francese . Per quanto riguarda i paesi del partenariato orientale il quadro è cambiato profondamente da quando la Francia assunse la presidenza nel 2008. Allora vi erano presidi militari russi solo in Moldava, in Transnistria, e in Armenia e in Bielorussia per accordi bilaterali. Oggi i militari russi sono in tutti i sei paesi: in Georgia con un contingente di 7000 uomini fra Abkhazia e Ossezia del Sud; una parte dell’Ucraina è stata direttamente annessa. Infine dopo la guerra in Nagorno Karabakh la Russia ha incrementato la presenza militare in Armenia ed ha dei siti militari in Azerbaijan. Uno scenario che ha visto quindi la militarizzazione dell’intera area e il dispiegamento – concordato o per effetto di occupazioni – di decine di migliaia di militari russi.
Verso i paesi del partenariato orientale la Francia si ripromette di continuare nel seminato del summit di dicembre a Bruxelles del Partenariato orientale. In quella occasione Macron si era visto in prima persona esporsi in un incontro nella hall di un albergo con il presidente azerbaijano Ilham Aliev e il primo ministro Nikol Pashinyan, prova di un approccio proattivo che la Francia intendeva avere nell’area. Il paese è peraltro co-presidente del Gruppo di Minsk, terzetto diplomatico – Francia, Russia e Stati uniti – che dagli esordi della guerra in Nagorno Karabakh negli anni ’90 media fra le parti per cercare di raggiungere una soluzione politica del conflitto.
Le presidenziali durante la presidenza
La presidenza francese cade in un momento particolare per il paese: la Francia è una repubblica presidenziale e il 10 aprile si terranno le elezioni per la massima carica. Macron cercherà la rielezione, ma intanto la campagna elettorale e la feroce battaglia degli sfidanti è già entrata in conflitto con alcuni degli scopi dell’attuale presidenza anche in politica estera. Una tensione diplomatica con l’Azerbaijan è stata innescata ad esempio da un viaggio in Armenia della candidata alla presidenza Valérie Pécresse.
La repubblicana, presidentessa del Consiglio Regionale di Île-de-France, il 22 e 23 dicembre, una settimana dopo che Macron veniva fotografato con Aliyev e Pashinyan nel ruolo di mediatore imparziale, si è recata prima a Yerevan e poi a Stepanakert, capitale non riconosciuta del Nagorno-Karabakh. Nemmeno Pashinyan c’è più stato dopo la guerra, ed è chiaro che un viaggio di un politico nell’area contesa non può che irritare Baku. Ed infatti il 23 dicembre la Pécresse è finita nella lista delle personae non gratae in Azerbaijan per aver violato le leggi del paese sull’accesso al Karabakh, che deve essere secondo Baku sempre concordato con l’Azerbaijan. La Pécresse ha fatto questo viaggio in aperto sostegno dell’Armenia e sostenendo di volersi ergere a difesa dei cristiani di oriente contro gli islamisti. Da Baku hanno liquidato questa scelta come un grossolano tentativo di conquistare voti a spese dei rapporti interstatali Azerbaijan-Francia. Aliyev ha pronunciato parole dure sull’episodio a cui è seguita una levata di scudi nel partito repubblicano francese. Diversi senatori del partito hanno firmato una lettera per costringere Macron a denunciare le parole di Aliyev, il tutto mentre l’ambasciata di Francia a Baku cercava di riportare il tutto nel seminato dei buoni rapporti con un conciliante messaggio di fine d’anno.
È dovuto entrare nello scontro verbale il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian cercando di dare il proverbiale colpo al cerchio e uno alla botte: sbagliate le parole di Aliyev, inopportuno il viaggio della Pécresse. Il suo intervento non ha messo a tacere il ginepraio che si era scatenato. Il 19 gennaio il parlamento azerbaijano ha definito anche le parole di Le Drian inopportune.
Il ruolo dell’UE
Sullo sfondo di una campagna presidenziale che si è spinta ben oltre i confini nazionali, il 20 gennaio è atterrata a Baku una ricca delegazione per un viaggio a lungo pianificato. La delegazione era di peso: vi faceva parte il Rappresentante speciale dell’Unione europea per il Caucaso meridionale, Toivo Klaar, la Consigliera alla Presidenza di Francia per l’Europa continentale e la Turchia Isabelle Dumont, la Consigliera politica per la Politica estera della Presidenza del Consiglio europeo Magdalena Grono. Come ha notato lo stesso Toivo Klaar, una composizione inedita e una sorta di team Francia-Unione europea . La visita a Baku, cui ha seguito una pari visita ai massimi vertici a Yerevan, ha disinnescato la polemica Francia-Azerbaijan e riportato il confronto sugli obiettivi strategici dell’Unione europea nella regione, e della presidenza francese che si impegna a onorarli e perseguirli. Sono tornati sul tavolo quindi i temi affrontati già con il Presidente del Consiglio europeo Michel a Bruxelles nello scorso dicembre: questioni umanitarie, riduzione della tensione, delimitazione dei confini.
Il 4 febbraio c’è stato un nuovo incontro in remoto in quadrilaterale tra Pashinyan, Aliyev, Macron e Michel. La Francia ha incassato un successo, riuscendo a far rientrare 8 prigionieri di guerra armeni catturati dall’Azerbaijan, e forse finalmente il nulla osta per l’ingresso dell’Unesco nelle zone del conflitto.
Paradossalmente, a dimostrazione della complessità della situazione, questo ulteriore passo verso il miglioramento delle relazioni armene-azerbaijane ha portato ad una nuova querelle. Ora l’Azerbaijan insiste nel mettere sul tavolo le sorti di quasi 4000 salme azere mai rese ai propri cari dopo la prima guerra del Karabakh. Un nuovo tema doloroso e divisivo che sarà necessario trasformare da fonte di scontro a nuovo canale di cooperazione. Ma questo è già un altro capitolo di questa lunga storia, nella quale la Francia – presidenziali permettendo – sta cercando di imprimere un proprio tocco come stato influente, come presidente di turno dell’UE, e come co-presidente del Gruppo di Minsk.
Tutti i nostri approfondimenti nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"
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