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Area: Kosovo

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La fragilità economica del Kosovo

A cinque anni dalla dichiarazione di indipendenza il Kosovo presenta una drammatica situazione economica. Disoccupazione, scarsi investimenti esteri, assenza di pmi e alto tasso di corruzione. Un’analisi

15/02/2013, Matteo Tacconi -

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Livelli altissimi di disoccupazione, assenza di un apparato di piccole e medie imprese, carenza di investimenti dall’estero e corruzione. Nei mesi precedenti e nel periodo successivo alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del Parlamento di Pristina, sancita il 17 febbraio 2008, gli osservatori mettevano in luce l’insostenibile leggerezza dell’economia del Kosovo. A cinque anni di distanza la situazione è tendenzialmente la stessa. L’ultimo degli stati sorti sulle ceneri della Jugoslavia continua a scontare i problemi di ieri. È come se l’ascissa del tempo fosse rimasta ferma al 2008. Certo, la crisi mondiale ha frenato la crescita e il progresso. Ma non può costituire un alibi, né oscurare il fatto che il Kosovo, economicamente, non funziona.

L’esercito dei senza lavoro

Le cifre mettono a nudo tutti i problemi del paese. A partire dalla disoccupazione. Gli ultimi dati ufficiali diffusi dall’Agenzia statistica del Kosovo sono quelli del 2009. Allora il numero dei senza lavoro era pari al 45,4% e nella fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni la percentuale saliva fino al 68,5%. Dato allarmante, considerando che i giovani rappresentano il segmento più robusto della popolazione. Il quadro risultava inoltre aggravato dal fatto che l’81,7% del numero complessivo dei senza lavoro rientrava nella categoria della disoccupazione di lungo termine.  

Ora, è difficile immaginare che nel corso di questi ultimi tre anni ci sia stata una variazione positiva sul fronte del mercato del lavoro. Se l’Agenzia statistica diffondesse domani gli indici sull’occupazione avremmo più o meno la stessa identica fotografia del 2009. Vuoi perché c’è una congiuntura di crisi globale e regionale; vuoi perché i numeri relativi all’impalcatura economica del paese – questi sono più aggiornati – ribadiscono che la creazione di posti di lavoro resta strutturalmente difficile.

Pmi assenti

Nel 2011, stando all’Agenzia statistica, 924 imprese hanno fallito. Nel 2010 addirittura 1561. Nel primo semestre del 2012 siamo già a quota 500, hanno riferito i media locali in agosto, riportando anche il numero complessivo delle aziende – 55mila – che hanno chiuso i battenti dal 1999, l’anno della fine del conflitto serbo-kosovaro.

Certo, il saldo tra le nuove aziende (7879 nel 2011) e quelle che escono dal mercato è positivo. Tuttavia non deve illudere. Se si va a guardare la fisionomia delle imprese kosovare si comprende benissimo che il sistema è fragilissimo. Il 37,5% – il dato è sempre quello del 2011 – opera nei comparti del commercio al dettaglio e della riparazione di veicoli a motore. Mentre il settore manifatturiero, quello che fa sempre la differenza e garantisce esportazioni, rappresenta solo il 10,2%.

Non è solo questo. Il problema è che quelle kosovare sono in larghissima misura delle micro-imprese, che al massimo danno lavoro a quattro dipendenti. In diversi casi sono aziende individuali. Questo universo copre il 96,4% del totale degli esercizi economici del paese. Le imprese da quattro a nove dipendenti (2,6%), da dieci a 19 (0,8%) e da venti a 49 (0,2%) sono praticamente ininfluenti. Non esistono Pmi, volendo tagliare corto.

Giù gli investimenti

Il Kosovo, così, non può riuscire a reggersi sulle proprie gambe. Deve dunque necessariamente attirare capitali dall’estero. Che però non arrivano in misura sufficiente.

Una delle ultime istantanee disponibili è quella effettuata dalla sede albanese di Kpmg, uno dei quattro colossi mondiale della consulenza d’impresa insieme a Ernst & Young, Pricewaterhouse Coopers e Deloitte & Touche. Dalla ricerca risulta che il picco degli investimenti diretti dall’estero (sui 450 milioni di euro) c’è stato nel 2007, alla vigilia dell’indipendenza. Nel 2008 e nel 2009 s’è registrata una drastica contrazione, rispettivamente del 17 e del 20%. Nel 2010 s’è vista una ripresa, anche se il flusso degli investimenti è rimasto lontano da quello del 2007, fermandosi a 315 milioni. Di questi, il 52% è stato spalmato tra servizi finanziari, costruzioni e immobiliare. Al manifatturiero è andato il 22%. Di questo passo, viene da dire, c’è il rischio che il mattone generi una speculazione ancora maggiore di quella attualmente in corso.

Sprechi e corruzione

Accanto agli investimenti dall’estero, ci sono i finanziamenti delle organizzazioni governative e regionali. Per esempio l’UE, dal 2008, ha destinato al Kosovo 700 milioni di euro.

Non è raro che questo volume di denaro, ingente, venga trattenuto nelle stanze del palazzo. È che Pristina deve fare i conti con livelli di corruzione giganteschi. Il Corruption Perceptions Index del 2012, elaborato da Transparency International, rivela che il Kosovo è insieme all’Albania lo stato in assoluto più corrotto dei Balcani. Le cronache recenti lo ribadiscono. Negli ultimi mesi i magistrati di Eulex, la missione civile europea (smobiliterà nel 2014), hanno indagato o formalmente incriminato pezzi grossi della classe dirigente in odore di tangenti. È il caso di Fatmir Limaj, ex uomo di punta dell’Uck, vicino al primo ministro Hashim Thaci. Secondo Eulex, che a novembre lo ha accusato di corruzione, all’epoca in cui era ministro dei Trasporti ci sarebbe stato un significativo giro di mazzette nel suo dicastero.

Un altro personaggio di spessore finito nel mirino dei pm europei è Nazmi Mustafi, arrestato lo scorso aprile con l’accusa di abuso d’ufficio. Era a capo della task force governativa sulla lotta alla corruzione. Tramite due collaboratori avrebbe estorto soldi a persone che la struttura da lui stesso diretta aveva chiamato in causa in merito a presenti situazioni di corruzione, ha riferito a suo tempo Balkan Insight .

Il malcostume imperversa, in Kosovo. Lo ha esplicitato anche la Corte dei conti dell’UE, con sede a Lussemburgo. Qualche mese fa ha diffuso un rapporto in cui si precisava che le cattive abitudini politico-amministrative sono un grosso bubbone, segnalando che se da una parte Eulex non è riuscita a imporre una cultura dello stato di diritto, dall’altra l’establishment kosovaro non si è mostrato così interessato a estirparlo. Intanto, mentre il denaro dei donatori viene sprecato, il paese se la passa male. Come nel 2008. Forse peggio.

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