La fede degli albanesi
Quarant’anni di ateismo di stato. Poi l’Albania è stata terra di conquista di vari movimenti religiosi ma non senza reagire contrapponendo una propria identità culturale. L’analisi di Miranda Vickers, nota studiosa di questioni albanesi. Nostra traduzione
Di Miranda Vickers, Bota Shqiptare, 21 ottobre – 3 novembre 2006 (tit. orig. Feja ne Shqiperine paskmuniste)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Marjola Rukaj
Uno degli aspetti più importanti del periodo della transizione post-comunista in Albania è la ricomparsa delle fedi religiose dopo l’abolizione della norma emanata nel 1967 che vietava tutte le forme di pratiche religiose. La moderazione con cui gli albanesi hanno riabbracciato le religioni rispecchia l’atteggiamento cauto che si è tradizionalmente avuto verso il benessere spirituale. Nell’arco della loro storia movimentata gli albanesi sono passati facilmente da una religione all’altra, diventando così cattolici, ortodossi o musulmani a seconda degli interessi del momento storico. Molto nota poi l’espressione coniata nel XIX secolo da Pashko Vasa: "Feja e shqiptarit eshte shqiptaria", "La fede dell’albanese è l’albanesità".
Nel tardo Medioevo le terre albanesi erano diventate campo di battaglia tra l’occidente cattolico e l’oriente ortodosso. Ogni volta che l’Occidente aumentava i territori controllati i feudatari albanesi – imitati poi dai rispettivi sudditi – si convertivano al cattolicesimo, ogni volta che ad avere la meglio era Bisanzio e l’Occidente si ritirava, essi riabbracciavano l’ortodossia.
Dopo il disfacimento dell’Impero Ottomano e la formazione dello Stato indipendente albanese nel 1912, il governo si proclamò laico. Le esperienze delle Guerre Balcaniche e della Prima Guerra Mondiale, hanno comportato l’esigenza di accantonare ogni distinzione religiosa in nome dell’etnia comune a tutti. Per questo motivo nel periodo tra le due guerre mondiali in Albania non si conosce una religione ufficiale di stato, veniva però garantita la piena libertà di culto a tutte le confessioni religiose. Dopo la vittoria del comunismo nel 1945, gli albanesi inizialmente erano teoricamente liberi di professare la propria fede. Però la forte spinta ad educarli ad accettare e a capire l’ideologia socialista mirava alla distruzione degli usi e delle vecchie tradizioni patriarcali e conservatrici. Fu così che la religione ebbe un ultimo colpo nel 1967 con l’interdizione di tutte le pratiche religiose, cosa che fece dell’Albania il primo stato totalmente ateo nel mondo.
Dopo il crollo del regime monopartitico nel 1991, fu abolita l’interdizione delle pratiche religiose e ci fu una rinascita graduale della religiosità, che comportò il restauro e la ricostruzione di chiese e moschee. La ricomparsa della religione nella città musulmana di Scutari è un esempio dell’armonia tradizionale delle religioni in Albania: Scutari è anche la culla spirituale dei cattolici albanesi. Nel 1992 quando fu riaperta la chiesa cattolica della città, musulmani e cattolici diedero un notevole contributo, 5 giorni dopo a loro volta i cattolici aiutarono l’apertura della seconda moschea di Scutari. In tutta l’Albania, gli emigrati ricchi della diaspora incominciarono a finanziare la costruzione di nuove moschee nei propri villaggi d’origine, inoltre molti stati stranieri hanno versato aiuti e hanno mandato esperti per la costruzione e il restauro di edifici religiosi.
L’Arabia Saudita finanziò l’importazione di più di mezzo milione di copie del Corano, cifra che ha superato la domanda effettiva, tanto che nelle moschee si potevano vedere nei primi anni ’90 innumerevoli pacchi mai scartati di questi volumi. Un portavoce dell’agenzia dell’aiuto islamico impegnato nella distribuzione degli aiuti ha affermato che gli albanesi musulmani erano come spugne asciutte, disposti ad assorbire qualsiasi cosa venisse loro offerta. Verso la metà degli anni ’90, furono costruite scuole islamiche e bambini e giovani furono mandati in Turchia, Siria, Malaysia, Arabia Saudita ed Egitto per potervi studiare teologia islamica. Varie organizzazioni islamiche straniere hanno finanziato le spese degli albanesi che hanno espresso la volontà di recarsi alla Mecca al pellegrinaggio del Haxhi.
In quel periodo, in Albania si trovavano rappresentanti di tutti i culti, ma la manifestazione più ardente del credo religioso fu quella degli evangelisti cristiani. A causa del proclamato ateismo del Paese, questi sostenitori molto motivati, ritenevano cruciale l’enorme bisogno di insegnamenti cristiani in Albania, più che in ogni altro paese ex-comunista. Gli albanesi considerarono l’arrivo di questi gruppi come qualcosa di molto curioso, anche perché molti di loro provenivano da sette poco conosciute nell’infinità delle confessioni religiose. Ricordo che nel luglio 1991 mi sedetti sulla spiaggia di Durazzo con un gruppo di giovani missionari olandesi che suonando la chitarra cantavano davanti a un gruppo di albanesi stupefatti: Zoti e do Shqiperine Dio ama l’Albania – uno slogan che decorava anche le loro macchine.
Battisti, mormoni, testimoni di Geova e avventisti del settimo giorno, tutti erano in competizione tra di loro per offrire il più possibile uno stimolo materiale, in alimentari, vestiario e lattine di Coca Cola per invogliare la gente a convertirsi. I missionari cristiani si sono sentiti come l’avanguardia di una nuova crociata cristiana. Di conseguenza, centinaia di migliaia di Bibbie furono stampate per raggiungere il numero dei Corani arrivati dal mondo islamico. Comunque a metà degli anni ’90 molti albanesi si sono sentiti infastiditi dalla presenza di questi missionari ostinati e dogmatici – chiamati compratori di anime. L’adesione alla chiesa protestante in tutto il paese è stata stimata come non superiore a 3.500 persone. A mio avviso questi cristiani ardenti vennero eclissati dalle altre grandi religioni poiché non avevano niente di tangibile da offrire ad un popolo che in quegli anni era disperato e mirava a ben altro. Potevano promettere solo visti per il paradiso dell’aldilà e non per allontanarsi dalla povertà di questo mondo con qualche visto per la Grecia o l’Italia, facilitato a volte dalla conversione al cattolicesimo o all’ortodossia.
Tra le quattro religioni principali in Albania, la Chiesa ortodossa è strettamente legata alla minoranza greca nel sud del paese. La Chiesa ortodossa albanese è stata fondata nel 1908 a Boston dal vescovo Fan Noli, ed è stata riconosciuta autocefala dal Patriarca Ecumenico nel 1937. Nei primi anni ’90, la Chiesa ortodossa greca guidata dal metropolita nazionalista ed estremista Sevastianos Drinoupolis, aveva cominciato a sfruttare la neonata Chiesa ortodossa albanese, per fini di propaganda greco-massimalista tramite la sua associazione panellenica dell’Epiro del Nord. L’arcivescovo era a capo di una diocesi molto estesa con sede a Konica, nell’Epiro, nella Grecia settentrionale. Questa diocesi comprendeva altresì buona parte dell’Albania meridionale – conosciuta dai greci come Epiro del Nord – patria della minoranza greca in Albania. Deciso nel far arrivare il suo messaggio ai seguaci albanesi, Sevastianos organizzava cerimonie nel villaggio di confine di Mavropulo utilizzando gli oratori più potenti in Grecia, che riportavano il messaggio spirituale presso ogni albanese che poteva ascoltare. Nonostante l’associazione panellenica dell’Epiro del Nord fosse al margine della politica contemporanea greca, i suoi sostenitori erano tra i primi ad intraprendere la distribuzione di aiuti nell’Albania meridionale nel 1991. In questo periodo molti albanesi hanno cambiato il proprio nome con uno greco, facendosi battezzare nella fede ortodossa, non solo per ottenere aiuti ma anche per un visto di lavoro in Grecia.
Dal 1992, nell’Albania meridionale, le chiese ortodosse sono state riconsacrate e restaurate con zelo, da artigiani finanziati dalla Grecia e dalla comunità greco-americana. Tuttavia, molte di esse oggi non hanno fedeli a causa dell’esodo massiccio verso la Grecia di buona parte della popolazione greca e ortodossa. Il conflitto tra i governi greco e albanese sulla questione del numero, dello status, dei diritti della minoranza greca nell’Albania meridionale, ha comportato inevitabilmente che il risveglio della religione ortodossa in questa regione diventasse una questione molto più discussa che in altre regioni.
Attualmente in Albania vi sono relativamente pochi segni dell’Islam conservatore. Al di là dell’aumento graduale delle donne con il velo, e la questione recente del foulard a scuola, la stragrande maggioranza dei musulmani albanesi sono fieri della propria tradizione di tolleranza e maturità religiosa. Molti si stupiscono dello zelo islamico così evidente nelle zone albanofone della Macedonia occidentale, dove le giovani sempre più spesso tendono a coprirsi con il velo, e dove è veramente difficile trovare un bar o un ristorante dove bere bevande alcoliche. Ad ogni modo negli anni passati la comunità islamica albanese si è trovata alle prese con il conflitto tra gli anziani, sostenitori dell’interpretazione liberale e tradizionale dell’Islam, noto come Hanefita, e i giovani che appena rientrati dall’educazione religiosa nei paesi arabi optano per la scuola Salafita dell’Islam che è meno tollerante, e più radicale. Questo fenomeno ha preoccupato i membri della comunità bektashi in Albania, la forma più liberale dell’Islam che si trova in evidente contrasto con i salafiti.
I bektashi sono molto diffidenti nei confronti degli islamici conservatori all’interno del Centro Arabo dell’Informazione, che essi accusano di cercare in modo aggressivo di sottoporre il mondo musulmano albanese sotto il controllo della setta estremista wahabita, reclamando sotto il proprio controllo il campo appena legalizzato dei bektashi. I bektashi sono una "setta" islamica panteista – trovano dio tra la natura, gli animali e gli uomini. Storicamente essi invocavano alla vendetta sciita contro il potere ottomano sunnita, e predicavano la tolleranza di tutte le religioni non islamiche. Provocano l’ira dei musulmani conservatori deviando alle regole convenzionali islamiche come l’interdizione dell’alcol, il velo delle donne, e il rivolgersi verso la Mecca durante la preghiera. Momentaneamente i bektashi sono la tradizione religiosa meno protetta, poiché la loro guida religiosa manca di sufficente formazione e i seguaci si recano alle Teqé con la stessa frequenza con cui un cristiano occidentale si reca in chiesa: principalmente per i battesimi, i matrimoni, e i funerali.
Nonostante ciò, mentre pochi albanesi sono andati a studiare teologia islamica nel mondo arabo, la stragrande maggioranza degli albanesi non ha alcun contatto culturale con il mondo islamico. L’influenza degli aiuti da parte di varie organizzazioni straniere islamiche ha contribuito a modificare di poco quest’aspetto. Vi sta sorgendo in tal modo una contraddizione rispetto alle organizzazioni locali che mirano a instaurare la tradizione islamica dalle caratteristiche che ha sempre avuto in Albania a scapito di elementi importati da tradizioni straniere. Le organizzazioni locali non hanno però risorse finanziarie per riuscire a fare fronte ai bisogni materiali e alle esigenze spirituali dei membri. Di conseguenza vi è il rischio che gli anziani albanesi e la loro tradizione di tolleranza siano messi da parte nello sviluppo quotidiano del mondo spirituale albanese, mentre gli stranieri cerchino di fare leva sui giovani che sono facilmente influenzabili spiritualmente parlando.
Dal 1998 quando venne scoperto a Tirana e ad Elbasan, una cellula della Jihad radicale egiziana islamica, tutte le associazioni e fondazioni islamiche in Albania, sono state sottoposte a un severo e continuo controllo. Alcuni membri della comunità musulmana sembrano piuttosto infastiditi di fronte a quest’ultimo mentre molti gruppi cristiani sembrano passare inosservati a qualsiasi forma di controllo. Molti albanesi pensano che una delle ragioni per cui l’Europa non ha fretta nell’accogliere l’Albania sia il fatto che la maggioranza degli albanesi sia di origine musulmana diventando così oggetto della diffusa islamofobia. Però dopo le proteste in tutto il mondo contro le caricature danesi, è da sottolineare il fatto che in Albania non abbia avuto luogo alcuna protesta pubblica da parte dei musulmani albanesi.
Recentemente la massima autorità musulmana in Albania ha istituito un comitato ad hoc per seguire la costituzione della prima università islamica nel paese una volta ottenuta l’autorizzazione del governo di Tirana. La comunità dovrà fornire i finanziamenti volti a tale costruzione poiché la legge albanese vieta il finanziamento delle istituzioni religiose da parte dello stato. L’Università spera di accogliere studenti provenienti dal Kosovo, dalla Macedonia, Serbia e Albania. Le guide moderate islamiche del paese ritengono importante l’apertura di tale università in Albania per far sì che i giovani musulmani non debbano recarsi altrove e inculcarsi con dogmi e ideologie fanatiche che non rispecchiano la tradizione albanese. Finora tutti i tentativi per l’istituzione dell’università islamica in Albania non hanno avuto esito positivo. Gli osservatori ritengono che il governo stia procedendo secondo una logica che renderà possibile l’apertura dell’università islamica dopo l’apertura di una nuova università cattolica.
L’anno scorso il tentativo dei giovani musulmani istruiti nei paesi arabi, di presentare una proposta di modifica dei rituali religiosi all’interno della comunità musulmana, è stato rifiutato in base ad elementi ragionevoli. La proposta consisteva nella sostituzione del medh’hebi della scuola tradizionale hanefita con quello della scuola più radicale salafita. Dopo un lungo dibattito, il Consiglio Generale della comunità Islamica ha accettato unanimemente di non cambiare il rituale tradizionale a favore dei rituali importati, che alla maggioranza degli anziani musulmani sembrano estremisti e fanatici. Questa è stata una vittoria incoraggiante dei musulmani albanesi che hanno sancito in tal modo la continuità della tolleranza e dell’Islam liberale in Albania.
Sembra però che i problemi principali siano economici. Le chiese albanesi sono sostenute dal Vaticano e da Atene – sostegno molto superiore a quello ricevuto dai musulmani, sia sunnita che bektashi, che avvertono il rischio di venire accusati di percepire fondi dagli estremisti islamici per ogni eventuale aiuto straniero che possono ricevere. Ad esempio un’organizzazione islamica egiziana ha finanziato di recente la costruzione di una moschea a Peshkopi, ma anche un nuovo sistema di canalizzazioni e rifornimento d’acqua. Gli abitanti dicono che l’UE queste cose le ha promesse da tempo ma è stato solo grazie agli egiziani che tutto è stato realizzato. I bektashi hanno urgentemente bisogno di fondi per il restauro dei Teqé e la costruzione di un istituto dello studio della tradizione bektashi, però la loro scelta di essere assolutamente indipendenti implica il rifiuto di somme cospicue continuamente offerte dall’Iran. Nonostante la totale mancanza di risorse, essi rifiutano sistematicamente tutte le offerte provenienti dal governo iraniano spesso volte alla costruzione di scuole e altri progetti educativi.
In tutto il territorio albanese si vedono enormi strutture costruite da stranieri, spesso inutili e spaventose. Moschee gigantesche sono state erette in zone dove la popolazione è diminuita, e numerose chiese sono state costruite in luoghi dove i cristiani costituiscono un’esigua minoranza. Ad esempio nel piccolo villaggio settentrionale di Koplik, dove la popolazione è in maggioranza cristiana, una grande moschea gialla costruita dai sauditi nel 1992 adombra le minuscole case e le viuzze sporche della piccola e fiacca località settentrionale. Mentre nella città di Fier dove la popolazione è musulmana e ortodossa, una grande chiesa cattolica è stata costruita in una zona dove non vive quasi nessun cattolico. Nel sud del paese, quasi dovunque si vedono spesso in zone poco popolate, numerose chiese ortodosse di recente costruzione.
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