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La “famiglia naturale” va in franchising

I movimenti e le tendenze in atto in molti paesi dell’est Europa volte a limitare le libertà civili, soprattutto sul fronte dei diritti delle donne e delle persone LGBT, sono frutto di un fenomeno globale? Un’inchiesta di Balkan Insight

03/12/2018, Claudia Ciobanu -

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(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 21 novembre 2018)

Nella Nuova Chiesa di San Spiridione, la più grande chiesa ortodossa di Bucarest, il sacerdote ha inviato un importante messaggio ai fedeli radunati.

“Questo è uno di quei momenti storici in cui i veri cristiani vengono separati dalla pula”, ha detto il sacerdote rivolgendosi ai fedeli durante la liturgia di due ore, mentre i bambini giocavano sul pavimento davanti all’altare. “Quelli che si considerano cristiani oggi devono far sentire la propria voce”.

Era domenica, la seconda giornata di voto nel referendum organizzato ad ottobre per modificare la costituzione romena e restringere la definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna. Data la bassa affluenza alle urne nella prima giornata di voto, i sacerdoti in tutto il paese hanno cercato di motivare i fedeli ad andare a votare.

Davanti a uno dei seggi elettorali nel frenetico centro di Bucarest c’erano alcune persone che evidentemente hanno accolto l’invito. “Sono sicuro che ci riusciremo”, ha detto Damian Joita, 20 anni, studente di giurisprudenza, dopo aver votato per la modifica della costituzione. “Non sono mai stato così orgoglioso di essere romeno come oggi”.

Madalin Costache, 24 anni, padre di due figli, ha detto di aver votato per proteggere i suoi figli. “Se gli omosessuali ottengono il diritto all’adozione, i loro figli cresceranno con la convinzione che essere gay sia una cosa normale. E questo non va bene. Non è ciò che Dio ha voluto”.

L’affluenza finale è stata molto inferiore al quorum del 30%, necessario per la validità del referendum, per cui il voto del 6 e 7 ottobre non è finito nel nulla. La definizione gender-neutral di matrimonio come unione tra coniugi, contenuta nella costituzione, è rimasta invariata.

Tuttavia, la campagna per il referendum ha messo in evidenza quanto si siano approfondite le linee di frattura nella società romena dal 2016, quando un’associazione poco conosciuta, denominata "Coalizione per la famiglia", aveva raccolto tre milioni di firme a sostegno dell’iniziativa referendaria.

I matrimoni tra persone dello stesso sesso sono già vietati dal codice civile romeno, ma la "Coalizione per la famiglia" è riuscita a convincere molti cittadini che la legislazione in materia a breve sarebbe stata modificata, sostenendo che, una volta che le coppie omosessuali avranno ottenuto il diritto a contrarre matrimonio, nulla avrebbe potuto impedire loro di adottare bambini e “convertirli” all’omosessualità.

Formata da più di 40 associazioni locali, la "Coalizione per la famiglia" si è presentata come un’iniziativa nata dal basso con lo scopo di difendere i valori tradizionali romeni. Nel suo materiale promozionale ha usato immagini di persone in costumi tradizionali romeni e colori della bandiera romena.

Tuttavia, secondo molti gruppi e attivisti per i diritti umani, questa iniziativa è lungi dall’essere circoscritta a livello locale, in quanto fa parte di un movimento ultraconservatore globale il cui bersaglio non sono solo i matrimoni omosessuali.

Dalle unioni civili e l’aborto, alla fecondazione assistita e l’educazione sessuale nelle scuole, il movimento sta spingendo affinché vengano cambiate leggi e politiche che, stando ai suoi sostenitori, mettono a rischio quella che definiscono “la famiglia naturale”. E sta diventando un fenomeno organizzato.

L’inchiesta di Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) rivela come i membri di una rete sempre più ampia di attivisti, avvocati e consulenti ultraconservatori condividano strategie e risorse al di là dei confini nazionali.

Il movimento trae ispirazione e conoscenze da fonti situate ben lontano dai seggi elettorali e dalle bacheche delle chiese dei Balcani. Stando ad alcuni documenti interni e alle informazioni diffuse dai media, il movimento gode del sostegno dei gruppi evangelici statunitensi vicini all’amministrazione Trump, nonché di alcuni oligarchi russi con forti legami con il Cremlino.

Nel frattempo, anche alcuni leader populisti europei hanno deciso di cavalcare l’onda del movimento. Nel tentativo di conquistare gli elettori e consolidare il proprio potere, ricorrono a una retorica imperniata sulla difesa della cosiddetta famiglia naturale e promuovono politiche presumibilmente favorevoli ad essa.

E il risultato, stando agli analisti politici, è l’erosione delle libertà politiche e civili nei paesi democratici che assomigliano sempre di più ai regimi autoritari.

La storica Andrea Pető, docente presso la Central European University di Budapest, definisce l’ascesa dei gruppi come la "Coalizione per la famiglia" come “una risposta nazionalista e neoconservatrice alla crisi dell’ordine mondiale neoliberista”.

”Si tratta di un fenomeno sostanzialmente nuovo che mira alla creazione di un nuovo ordine mondiale, per cui tutti coloro che hanno a cuore la democrazia e i diritti umani dovrebbero prenderne atto”, afferma la Pető.

Vlad Viski, presidente dell’associazione romena per la difesa dei diritti umani MozaiQ, è ancora più esplicito: “Il corpo omosessuale è diventato un campo di battaglia”.

“Ideologia gender”

In un’intervista rilasciata a BIRN prima del referendum, Mihai Gheorghiu, leader della "Coalizione per la famiglia", ha cercato di chiarire gli obiettivi della sua organizzazione.

“Abbiamo il diritto di difendere i nostri valori e il nostro modo di vivere”, ha dichiarato Gheorghiu, aggiungendo che “la famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra uomo e donna, è l’essenza antropologica di quello che siamo e la precondizione per la nascita dei bambini”.

Con Gheorghiu, 51 anni, filologo di formazione, abbiamo parlato nella caffetteria del Museo del contadino romeno di Bucarest. Mentre il nostro interlocutore parlava del suo argomento preferito, alcuni giovani romeni si stavano rilassando seduti su sedie in legno intarsiato con motivi tradizionali.

“Sapevamo che la rivoluzione culturale e sessuale che attraversava l’Occidente prima o poi sarebbe arrivata anche in Romania, e dovevamo essere pronti”, ha detto Gheorghiu, precisando che la decadenza contro cui combatte si chiama ideologia gender.

Questa espressione, che non deve essere confusa con gli studi di genere né con alcuna altra disciplina accademica, è stata inventata dagli ultraconservatori per descrivere una concezione del mondo in contrasto con il concetto di famiglia naturale.

Secondo questa linea di pensiero, l’ideologia di genere ha preso piede tra gli intellettuali occidentali negli anni Sessanta, per poi diffondersi intossicando università, aule di tribunale, parlamenti e istituzioni internazionali con quello che i conservatori considerano un pericoloso relativismo morale.

Gli attivisti “anti-gender” percepiscono i progressi sul fronte dei diritti delle persone omosessuali e delle politiche abortiste come sintomi di una sorta di aggressione neocoloniale all’ordine sociale prestabilito da Dio.

“I romeni hanno già vissuto sotto un regime comunista, in cui la minoranza pretendeva di possedere la verità assoluta e la imponeva agli altri. Non possiamo permettere che una cosa simile accada di nuovo”, ha spiegato Gheorghiu.

La "Coalizione per la famiglia" non è l’unica a evocare il presunto fantasma dell’ideologia gender.

Nel periodo compreso tra il 2012 e il 2015, attivisti in Croazia, Slovenia e Slovacchia sono riusciti a raccogliere firme necessarie per indire referendum volti a restringere la definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna.

Hanno avuto successo solo in Croazia. Gli sloveni hanno detto no al matrimonio gay, che però è stato legalizzato due anni più tardi. In Slovacchia invece non è stato raggiunto il quorum del 50% degli aventi diritto al voto, necessario per la validità del referendum.

Nel 2016 in Polonia è stata lanciata una petizione per inasprire la legge sull’aborto, già molto restrittiva, costringendo il parlamento a prendere in esame la questione, ma sotto la pressione delle proteste la proposta è stata respinta. Quest’anno il governo bulgaro ha deciso di non ratificare la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne a causa delle proteste di diversi gruppi conservatori secondo cui la definizione di genere contenuta nella Convenzione relativizzerebbe il confine tra i sessi.

Non si tratta però di un fenomeno circoscritto all’Europa dell’est.

In Francia, un’organizzazione denominata “La Manif pour tous” [La protesta per tutti] dal 2012 sta portando avanti una campagna contro i matrimoni gay e la fecondazione assistita, ispirando movimenti simili in Italia, Germania e Finlandia.

Dal 2013 in Spagna è attiva un’associazione denominata “HazteOir” [Fai sentire la tua voce] che si batte contro l’aborto, i matrimoni gay e l’educazione sessuale nelle scuole.

“Agenda Europa”

Gli esperti dicono che non è una coincidenza che queste iniziative si siano diffuse contemporaneamente.

Nel gennaio 2013, una ventina di attivisti anti-aborto provenienti da tutta Europa e dagli Stati Uniti si sono riuniti a Londra, nel quartiere di Belgravia, per un conferenza di due giorni che, come si legge nel programma dell’evento di cui BIRN è venuto in possesso, è stata pensata come un forum per “sviluppare strategie di un movimento pro-life in Europa”.

I partecipanti al forum hanno riservato tempo anche alle sessioni di “riflessione spirituale”, sono andati a messa nella cattedrale di Westminster e poi a cena nell’esclusivo Royal Automobile Club.

I programmi dei tre incontri successivi – segnati come “strettamente confidenziali” – dimostrano che l’incontro di Londra si è trasformato in un appuntamento annuale denominato “Agenda Europa”. Nel 2014 il summit ha avuto luogo a Monaco di Baviera, nel 2015 a Dublino e nel 2016 a Varsavia.

“Fin dalla sua fondazione, l’Agenda Europa è molto cresciuta e oggi conta tra i propri membri i principali leader dei movimenti pro life e pro family di tutta l’Europa”, si legge in una nota degli organizzatori che accompagna il programma del summit del 2015.

Alcuni noti attivisti antiabortisti statunitensi sono stati annunciati come principali relatori ai summit di Agenda Europa.

Nessuno dei partecipanti ai summit contattati da BIRN ha voluto rilasciare dichiarazioni.

“I soggetti statunitensi portano il know how”, dice Neil Datta, segretario del Forum parlamentare europeo sulla popolazione e lo sviluppo (EPF), una rete che riunisce parlamentari provenienti da tutta Europa impegnati a promuovere i diritti riproduttivi.

“Il movimento statunitense vanta 30 anni di esperienza in più [rispetto a quello europeo]. Hanno già sperimentato tutto questo. Dispongono delle legislazioni che possono essere adattate ai contesti locali e rivelarsi utili in contenziosi strategici”, spiega Neil Datta.

Nei primi anni Novanta, alcuni grandi gruppi di cristiani conservatori statunitensi, molti dei quali fondati da evangelici, sono saliti alla ribalta dell’opinione pubblica per il loro impegno a cancellare quelle che consideravano conquiste dannose delle organizzazioni a tutela delle libertà civili, soprattutto sul fronte dei diritti delle donne e delle persone LGBT.

“Durante l’amministrazione Obama, la destra cristiana statunitense si è accorta che stava perdendo la battaglia in casa, per cui ha esteso il suo impegno nelle ‘guerre culturali’ anche oltreoceano”, dice Peter Montgomery, rappresentante dell’iniziativa Right Wing Watch, finalizzata al monitoraggio dell’attività della destra religiosa statunitense.

“I tribunali statunitensi a volte ricorrono ad argomentazioni prese in prestito da quelli europei. In un primo momento ai conservatori dava fastidio che si facesse riferimento ai precedenti delle corti internazionali, ma poi si sono resi conto di poter sfruttare a proprio vantaggio le sentenze di stampo conservatore emanate dai tribunali di altri paesi”, spiega Montogomery.

Nel 2010, uno dei più grandi gruppi conservatori cristiani attivi negli Stati Uniti, l’Alliance Defending Freedom (ADF), ha ampliato la sua rete di avvocati all’Europa. Stando alle relazioni finanziarie revisionate e dichiarazioni dei redditi di ADF, negli ultimi tre anni l’organizzazione ha superato i 48 milioni di dollari di entrate annuali.

Le dichiarazioni annuali presentate alle autorità fiscali statunitensi, e disponibili online, dimostrano inoltre che l’organizzazione ha aumentato le risorse destinate alle sue filiali in Europa da circa 800.000 dollari nel 2013 a 2.5 milioni di dollari nel 2016. Durante questo periodo, l’ADF ha fondato ADF International, aprendo uffici in Belgio, Austria, Francia, Gran Bretagna e Svizzera.

Nel frattempo, le cose sono cambiate in meglio per l’ADF anche in casa. Un’inchiesta realizzata nel 2017 dalla giornalista Sarah Posner per The Nation magazine ha messo in luce gli stretti legami tra l’ADF e il presidente Donald Trump. Dall’inchiesta è emerso infatti che l’avvocato generale dello stato degli Stati Uniti Noel Francisco, nominato dalla Casa Bianca, era legato a questa organizzazione. Inoltre, l’ex procuratore generale degli Stati Uniti Jeff Sessions, un alleato di Trump, aveva consultato l’ADF durante l’elaborazione di linee guida del ministero della Giustizia sulla libertà religiosa. E quattro dei giudici federali nominati da Trump sono legati a questa organizzazione.

Inoltre, il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence, un cristiano evangelico, è considerato uno dei principali alleati dei gruppi che mirano a limitare i diritti delle donne e delle persone LGBT.

“Mike è un fermo credente e capisce bene queste questioni”, ha dichiarato il presidente di ADF Michael Farris in un’intervista rilasciata alla Catholic News Agency l’anno scorso.

Tra i pochi sostenitori finanziari di ADF noti all’opinione pubblica spiccano i membri della famiglia dell’attuale ministra dell’Istruzione statunitense Betsy DeVos, che sono anche tra i principali donatori del Partito Repubblicano. La maggior parte dei finanziatori di ADF resta sconosciuta.

“Tra i donatori ci sono anche alcuni soggetti statunitensi”, dice Neil Datta, aggiungendo: “Questa non è di per sé una cosa negativa. Tuttavia, i conservatori [gruppi di destra in Europa] sono molto discreti quando si tratta delle loro fonti di finanziamento. Mentre i progressisti rendono noti i nomi dei loro finanziatori, i conservatori non lo fanno, anzi si sforzano di mantenerli segreti”.

Interpellata da BIRN sulle ragioni dell’ampliamento di ADF in Europa, Adina Portaru, avvocata romena che lavora nell’ufficio di ADF International di Bruxelles, ha risposto: “ADF International è impegnata nella difesa delle minoranze religiose e nella promozione dei diritti umani attraverso la sua rete di avvocati in tutto il mondo”.

Ha inoltre aggiunto che ADF International ha organizzato, insieme alla Coalizione per la Famiglia e altri gruppi, due conferenze sulla famiglia al parlamento romeno, una nel 2017 e l’altra nel 2018.

Un’altra organizzazione statunitense che si è estesa ai paesi europei è il Centro americano per il diritto e la giustizia (American Center for Law and Justice, ACLJ), fondato dal pastore evangelico Pat Robertson.

Nel 1998 l’ACLJ, le cui entrate annuali ammontano a quasi 20 milioni di dollari, ha fondato the European Center for Law and Justice (ECLJ) con sede a Strasburgo, e pressoché nello stesso tempo, the Slavic Center for Law and Justice a Mosca.

Stando alle dichiarazioni presentate alle autorità fiscali statunitensi, disponibili online, dal 2009 l’ACLJ ha speso in Europa oltre un milione di dollari all’anno.

Jay Sekulow, capo dell’ufficio legale di ACLJ, è responsabile della squadra di avvocati del presidente Trump che si occupa dell’inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.

Sia i rappresentati di ADF sia quelli di ECLJ sono stati invitati a partecipare ai summit di Agenda Europa.

Manifesto anti-gender

Tra i relatori che partecipano regolarmente ai summit di Agenda Europa ci sono anche alcuni prominenti attivisti provenienti dai Balcani e da altri paesi dell’est Europa, come Bogdan Stancui, presidente dell’associazione “Pro Vita” con sede a Bucarest e membro della "Coalizione per la famiglia", e Željka Markić, fondatrice dell’associazione “U ime obitelji” [Nel nome della famiglia] all’origine del referendum che ha portato a restringere la definizione di matrimonio nella Costituzione croata come “unione tra uomo e donna”.

Al summit del 2016, tenutosi a Varsavia, Željka Markić ha presieduto la sessione dedicata alle “attuali iniziative volte alla promozione del matrimonio”.

Bogdan Stancui e Željka Markić non hanno voluto rilasciare dichiarazioni ai giornalisti di BIRN.

Anche il ministro degli Affari Europei polacco Konrad Szymański è stato annunciato come relatore al summit di Varsavia.

Molte delle idee propugnate da attivisti conservatori riecheggiano i concetti contenuti in un manifesto di più di 100 pagine intitolato “Restoring the Natural Order. An Agenda for Europe” [Ripristinare l’ordine naturale. Un’agenda per l’Europa].

Nella versione inglese del manifesto, di cui BIRN è venuto in possesso, l’autore, ignoto, descrive “il declino della civiltà occidentale” causato dal relativismo morale introdotto dalla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta. Il principale colpevole, secondo l’autore, è l’ideologia gender.

“Pertanto è perfettamente legittimo battersi, ad esempio, per le leggi che mirano a criminalizzare l’aborto, l’eutanasia e la sodomia, o che impediscono il riconoscimento dei ‘matrimoni tra persone dello stesso sesso’, anche se ci sono delle persone che credono che l’aborto, l’eutanasia e la sodomia siano moralmente accettabili”, si legge nel manifesto.

Nel documento sono definiti gli obiettivi concreti da raggiungere, tra cui l’abrogazione di tutte le leggi che permettono il divorzio, le unioni civili e l’adozione da parte delle coppie omosessuali; l’adozione delle ”leggi anti-sodomia”, e il taglio dei fondi alle ”lobby gay”.

Le strategie esposte nel documento includono petizioni europee e nazionali, iniziative volte a incoraggiare gli attivisti a ”deridere i matrimoni gay” e campagne di informazione sui ”rischi legati alla sodomia”.

”Quando si parla di sodomia, bisogna sempre usare questo termine”, si suggerisce nel documento.

Agenda Europa non ha portavoce ufficiali né alcun referente per le relazioni con il pubblico, ma sul suo sito web – registrato a nome di Sophia Kuby, responsabile delle relazioni internazionali di ADF International – è pubblicato un comunicato che prende le distanze dal summenzionato manifesto.

Interpellata in merito al manifesto, Sophia Kuby ha ribadito che il documento non ha nulla a che vedere con Agenda Europa, affermando che è trapelato in pubblico a causa di ”un attacco hacker illegale” al sito dell’organizzazione spagnola HazteOir. ”Il procedimento penale è in corso”, ha aggiunto Kuby.

Nel 2016, l’associazione Pro Vita Bucarest ha pubblicato la versione romena del manifesto, con il titolo ”Un’agenda per la Romania”. Così facendo – si legge in una nota che accompagna la pubblicazione – l’associazione ”si è simbolicamente appropriata” del manifesto.

Sempre nel 2016, l’associazione è stata impegnata in una raccolta fondi a favore della Coalizione per la Famiglia, ma poi è stata rimossa dall’elenco dei membri della Coalizione, pubblicato sul suo sito ufficiale.

Ampie alleanze

Gli esperti affermano che, chiunque abbia scritto il manifesto, la concezione del mondo in esso espressa ha cominciato a prendere piede in Europa ben prima della nascita di Agenda Europa, grazie tra l’altro al moltiplicarsi delle voci di condanna dell’ideologia gender provenienti dal Vaticano.

”In Europa, America, America Latina e in alcuni paesi dell’Asia si stanno verificando vere e proprie colonizzazioni ideologiche”, ha detto Papa Francesco durante un discorso tenuto davanti ai vescovi polacchi nel 2016.

”Una di queste – la chiamerò apertamente con il suo nome – è [l’ideologia] gender. Oggi ai bambini – i bambini! – viene insegnato a scuola che ognuno può scegliere il proprio genere”.

In alcuni paesi, come la Polonia e la Croazia, diversi giornalisti e studiosi hanno documentato il coinvolgimento della Chiesa cattolica nelle campagne anti-gender. Stando alle parole di Neil Datta, gli intellettuali vicini al Vaticano hanno giocato un ruolo chiave nella creazione di Agenda Europa.

Tuttavia, gli analisti sostengono che il movimento anti-gender non sia circoscritto esclusivamente ai cattolici, né tanto meno ai fedeli. Nei paesi più laici, o dove la reputazione della Chiesa è macchiata da scandali, gli attivisti anti-gender spesso cercano di sminuire i legami tra il movimento e la Chiesa.

Stando alle parole di Andrea Pető della Central European University di Budapest, l’ideologia gender è “il collante simbolico che ha contribuito a creare ampie alleanze e unire diversi soggetti che prima non hanno mai collaborato tra di loro”, comprese diverse chiese cristiane, esponenti del conservatorismo mainstream, partiti di estrema destra e gruppi fondamentalisti.

Il principale evento nell’agenda degli attivisti anti-gender di tutto il mondo è il Congresso mondiale delle famiglie (World Cogress of Families, WCF).

L’edizione 2018 di WCF si è tenuta a metà settembre a Chisinau ed è stata ospitata dal presidente moldavo Igor Dodon che ha vinto le elezioni nel 2016 con un programma filorusso, incentrato sui valori della famiglia.

L’inaugurazione del congresso ha avuto luogo nel palazzo della presidenza della Repubblica, pieno di decorazioni in marmo rosso e lampadari di cristallo. Durante gran parte della cerimonia inaugurale, trasmessa in diretta streaming, i ballerini in costumi tradizionali moldavi, o in semplici abiti bianchi, hanno portato in giro un bebè stranamente calmo.

Una volta terminato lo spettacolo, Dodon si è lanciato in un discorso sull’”erosione e distruzione della famiglia” a causa di una “ideologia anti-famiglia che sta privando madri e padri del loro ruolo tradizionale nella famiglia”.

Proclamando il 2019 Anno della famiglia in Moldavia, Dodon ha dichiarato che si impegnerà per l’introduzione di misure a sostegno della famiglia, compresa l’estensione del periodo del congedo di maternità. Ha inoltre aggiunto che “la propaganda” gay dovrebbe essere “fortemente condannata o addirittura bandita”.

Il presidente di WCF Brian Brown ha letto il messaggio di saluto inviato dal ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, noto per le sue posizioni di estrema destra.

“In un’epoca in cui assistiamo agli attacchi distruttivi e irrazionali ai valori fondanti delle nostre culture, gli sforzi che state compiendo per proteggere la famiglia naturale, come elemento vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità, sono estremamente necessari e degni di stima”.

La connessione russa

Il WCF è stato istituito nel 1997 dal noto antiabortista statunitense Allan Carlson e due studiosi russi dell’Università statale di Mosca, Anatoly Antonov e Viktor Medkov.

Gli analisti spiegano il coinvolgimento della Russia nella campagna globale pro famiglia con il fatto che i valori tradizionali sono in piena sintonia con l’euroasianismo, un’ideologia che considera la Russia come uno spazio intermedio tra Europa e Asia e secondo cui i territori ex sovietici prima o poi torneranno all’ovile russo. Per il Cremlino, l’ideologia gender è frutto della decadenza dell’Occidente.

“Si tratta di una proposta geopolitica molto interessante”, dice Neil Datta. “Ora la Russia può andare dai suoi vicini criticati dall’Occidente per le violazioni dei diritti umani e dire loro: ‘Non vi preoccupate, voi siete diversi’”.

Un’inchiesta realizzata nel 2014 dalla giornalista Hannah Levintova e pubblicata sulla rivista statunitense Mother Jones, ha dimostrato come gli evangelici statunitensi, tra cui molti legati al WCF, abbiano aiutato gli attivisti e legislatori russi a sviluppare lessico e argomenti contro il riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, contribuendo in tal modo all’elaborazione della legge contro la propaganda gay, approvata dalla Duma nel 2013.

Alexey Komov, rappresentante del WCF in Russia, è stato invitato al summit di Agenda Europa del 2014, tenutosi a Monaco di Baviera, per condividere “i risultati” ottenuti con questa legge.

Nel 2014 il WCF avrebbe dovuto svolgersi a Mosca, con il sostegno finanziario di due uomini d’affari considerati vicini al presidente russo Vladimir Putin:

Vladimir Yakunin, ex direttore delle Ferrovie russe, e Konstantin Malofeev, bancario e filantropo ortodosso.

Malofeev è anche direttore del Consiglio di amministrazione di “Tsargrad”, una corporazione dei media che funge da piattaforma per la promozione di euroasianismo, tra i cui sostenitori vi è anche il filosofo dell’estrema destra russa Aleksandr Dugin.

Alla fine il congresso non si è tenuto a Mosca perché i suoi finanziatori sono stati inclusi nella lista nera

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