La difficile intesa
Passa nel parlamento sloveno la ratifica al protocollo di adesione della Croazia nella NATO, nonostante permanga l’incognita di un possibile referendum. Nulla di nuovo invece rispetto ad un eventuale altolà di Lubiana al percorso europeo di Zagabria. Sullo sfondo l’annosa questione confinaria
La Slovenia lunedì scorso ha alla fine ratificato il protocollo di adesione della Croazia alla NATO. L’assenso è giunto dopo un vero e proprio psicodramma in parlamento dove la maggioranza alla fine ha marciato come voleva l’opposizione. Zagabria, comunque, non può dormire ancora sonni tranquilli visto che incombe il veto del Consiglio di stato (una sorta di seconda camera del parlamento) e addirittura un possibile referendum.
Dal giorno dell’approvazione del protocollo vi sono 7 giorni per avviare le procedure per la raccolta delle 40.000 firme necessarie per promuovere un’eventuale consultazione referendaria. Sino ad ora nessuno si è mosso, ma c’è chi minaccia di farlo. Al momento i sondaggi dicono che il 49,7% voterebbe contro l’adesione ed il 32,2% a favore. Ad ogni modo già soltanto se la procedura di raccolta venisse avviata, a causa dei tempi tecnici, la Slovenia non dovrebbe farcela a consegnare la ratifica del protocollo in tempo per aprire le porte della Nato alla Croazia, al prossimo vertice dell’Alleanza atlantica in programma ad aprile.
L’approvazione del protocollo di adesione era prevista già una decina di giorni fa. La decisione avrebbe dovuto essere ampiamente condivisa. Dopo lo stop a undici capitoli negoziali nella trattativa di adesione della Croazia all’Unione europea, imposto da Lubiana per l’irrisolto nodo confinario, la Slovenia sembrava seriamente intenzionata a non creare ulteriori problemi.
Sia le forze di governo sia l’ex premier Janša, avevano ampiamente assicurato che nella documentazione presentata da Zagabria non c’era nulla che rischiasse di pregiudicare la trattativa sul confine. Qualcuno maliziosamente ha commentato, però, che è più semplice fare la voce grossa a Bruxelles che a Washington. In ogni caso solo il Partito popolare ed il Partito nazionale avevano annunciato che avrebbero votato contro.
La maggioranza fissata per la ratifica era quella dei 2/3. Una scelta non obbligata, ma decisa politicamente, che costringeva le forze di governo ed almeno il maggiore partito di opposizione – i democratici di Janša – a votare compatti. Il capo del governo Borut Pahor era tranquillo. Aveva appena aperto il dialogo con l’opposizione su una serie di provvedimenti in campo economico e si parlava oramai di una sorta di "partnership per lo sviluppo" tra tutte le forze politiche. La mossa aveva fatto andare in bestia più di qualcuno nella sua maggioranza, ma lui era pronto a puntare sull’intesa con Janša.
Alla fine, però, la seduta del parlamento è stata interrotta in fretta e furia, per salvare la faccia. Nel corso dei lavori Socialdemocratici, Demoliberali e Zares avevano bocciato il conto consuntivo del 2007. Un affronto intollerabile per Janša, allora al potere. Il suo governo aveva, infatti, presentato un bilancio in attivo, ma la Corte dei conti aveva sollevato qualche obiezione. A questo punto i Democratici hanno annunciato che non avrebbero partecipato alle altre votazioni in programma sinché non sarebbe stato approvato senza modifica alcuna il conto consuntivo. Subito dopo si sarebbe dovuto votare per il protocollo di adesione della Croazia e dell’Albania alla Nato e così addio maggioranza richiesta.
Pahor ha immediatamente deciso di correre ai ripari chiamando a raccolta la sua maggioranza. Era necessario approvare il documento così come voleva Janša. Lunedì scorso, quindi, luce verde al conto consuntivo e subito dopo il via libera al protocollo di adesione della Croazia alla Nato.
Janša ha detto di essere contento che la coalizione di governo ha superato "l’esame di riparazione e che adesso anche ufficialmente è stato confermato che il 2007, in materia di finanze pubbliche, è stato il miglior anno nella storia della Slovenia indipendente". Pahor dal canto suo ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Se alla Croazia si fosse chiusa anche la porta della Nato – a suo avviso – si sarebbe, infatti messo "un asso nella manica" di Zagabria per convincere la comunità internazionale che "per un capriccio" Lubiana blocca il suo avvicinamento all’Unione europea e all’Alleanza atlantica.
La questione dei rapporti con la Croazia, comunque, continua ad infiammare l’opinione pubblica slovena. Lo testimonia più di ogni altra cosa l’intervento di quello che oggi è considerato uno dei maggiori intellettuali sloveni. Lo scrittore triestino Boris Pahor – che sarebbe candidato al Nobel per la letteratura – ha precisato che per ragioni storiche "tutto il comune di Pirano, con parte di Salvore", dovrebbe "appartenere alla Slovenia". Pahor ha anche espresso il timore che Lubiana non terrà sufficientemente in considerazione il parere degli storici e della società civile. Poi ha concluso dicendo che "se la gente del Litorale non saprà difendere la propria sovranità questa non le verrà regalata da nessuno, nemmeno dall’arbitrato".
Il ragionamento di Boris Pahor sembra sintetizzare benissimo il comune sentire che c’è in Slovenia. Intanto tra qualche settimana potrebbe esserci l’incontro tra il premier sloveno e quello croato. I due hanno impiegato più di un mese per riuscire a parlarsi. Prima Pahor aveva invitato Ivo Sanader ad un incontro, questi aveva risposto piccato che lo avrebbe visto solo alla presenza di un rappresentante dell’Unione europea. Poi Sanader ha cercato di stemperare i toni invitando Pahor ad una partita dei mondiali di pallamano che si disputavano in Croazia. Pahor ha rifiutato dicendo che un clima da stadio non era adatto per un colloquio A questo punto il premier sloveno per giorni ha tentato di chiamare quello croato al telefono senza che questo alzasse la cornetta. Alla fine i due hanno stabilito che si sarebbero visti a breve.
Adesso anche l’Unione europea sta cercando di muoversi per risolvere la questione. Il commissario per l’allargamento, Olli Rehn, ha ipotizzato di affidare il contenzioso confinario ad una commissione di mediazione, guidata addirittura dal premio nobel per la pace di quest’anno, Martti Ahtisaari. Quest’ultimo è stato premiato proprio per la sua opera in aree di crisi come Irlanda del Nord, Iraq e Kosovo. Non è chiaro se a Bruxelles hanno uno spiccato senso dell’ironia o se questa disputa per pochi chilometri di confine li preoccupa seriamente.
Le posizioni dei due paesi comunque restano distanti. La Croazia non sembra per nulla intenzionata ad accettare la mediazione e continua a chiedere di risolvere la cosa davanti alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni unite dell’Aia. Si tratterebbe di valutare, quindi, tenendo conto del diritto internazionale. La sentenza sarebbe vincolante. I giudici in queste settimane hanno, del resto, chiuso una disputa sul confine marittimo tra Romania ed Ucraina. Quel giudizio non è per nulla piaciuto in Slovenia. Lubiana sarebbe propensa, invece, ad accettare una mediazione e acconsentirebbe, forse, di andare alla Corte dell’Aia solo se Zagabria accettasse il principio "ex aequo et bono". Questo consentirebbe ai giudici di non tener conto soltanto del diritto internazionale, ma di prendere in considerazioni anche motivi "storici" e di altro tipo.
Intanto il tempo passa. Il 27 marzo è in programma la prossima conferenza intergovernativa dell’Unione europea in cui si potrebbe dare luce verde alla chiusura dei capitoli attualmente aperti e all’apertura degli undici capitoli negoziali restanti, attualmente bloccati dalla Slovenia. Arrivare ad un’intesa in tempo utile appare al momento difficile.
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