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La deriva

La continua disgregazione dell’ex Jugoslavia ha rinviato di mezzo secolo l’integrazione dei Balcani in Europa. Predrag Matvejevic commenta su Osservatorio il voto in Montenegro

23/05/2006, Predrag Matvejevic -

La-deriva

Una volta ancora – e Dio sa quante volte fino ad oggi è già capitato – cambia la carta geopolitica dei Balcani. Di nuovo una componente si separa dall’insieme – e questo stesso insieme dimostra una volta di più di essere più fragile di quel che si pensava.

A Podgorica gli "indipendentisti" sventolano le bandiere montenegrine con un’aquila bicefala sul fondo rosso scuro. La vittoria è esigua, sono tre/quattro decimi al di sopra della soglia di cinquantacinque per cento indicata dagli organismi internazionali che governano più o meno su gran parte dell’ex Jugoslavia, ridotta più o meno ad un protettorato, paradossalmente talvolta necessario per conservarvi la pace.

Vista la minima maggioranza con cui ha vinto il presidente americano o quella che con tanta difficoltà ha prevalso in Italia, la maggioranza montenegrina con uno scarto superiore all’otto per cento sembra imponente.

Così si conclude un processo iniziato alla vigilia degli anni novanta del secolo oramai scorso, con la separazione prima della Slovenia e della Croazia, poi anche della Bosnia-Erzegovina, della Macedonia e del Kosovo. In questo momento le condizioni per una qualsiasi nuova comunità statale simile a quella che era l’ex Jugoslavia non esistono. Forse una tale occasione sarà solo l’entrata di questi spazi nell’Unione Europea, ma questo momento per la maggior parte degli Slavi meridionali è ancora lontano. Purtroppo.

Non dimentichiamo che la Jugoslavia era dal punto di vista politico, sociale e anche culturale, in migliore posizione rispetto agli altri paesi dell’Europa dell’Est che pure sono entrati nell’Unione Europea. Ha ancora un livello ben più alto della Romania e della Bulgaria che stanno per entrarvi. I "signori della guerra" hanno rifiutato la possibilità (offerta in nome dell’Unione Europea dal suo presidente Jacques Delors) di accettare un aiuto che avrebbe permesso di risolvere alcuni problemi economici e poi di entrare subito nell’Unione. Chi, come noi intellettuali che non ci siamo arresi ai nazionalismi e che abbiamo sostenuto una tale soluzione, siamo stati indicati come "traditori" al soldo di "agenti stranieri". Così si è perso mezzo secolo prima che gli abitanti di queste zone si possano forse ritrovare gli uni accanto agli altri in un entourage europeo a cui infatti appartengono. Perché, tutto sommato, i Balcani erano una volta la culla dell’Europa e della sua vecchia democrazia.

Come se si confermasse ancora una volta la battuta spiritosa e cinica di Churchill, pronunciata da qualche parte in Italia durante la seconda guerra mondiale in un incontro con Tito: "Gli spazi balcanici producono più storia di quanto ne possono consumare". Gli "unionisti" d’origine montenegrina che vivono in gran parte in Serbia insieme ai nazionalisti serbi accusano una volta di più Tito di aver riconosciuto dopo la seconda guerra tante nazionalità, invece i macedoni, i musulmani bosniaci e gran parte dei montenegrini (quelli "indipendisti") lo benedicono per questo.

Il piccolo Montenegro esisteva come uno stato e un regno prima della Jugoslavia, simbolo della resistenza contro l’impero ottomano che non riusciva a dominare questo popolo ribelle sulle montagne balcaniche – una specie di piccolo Piemonte degli slavi meridionali. E’ questo Montenegro che ha sacrificato la sua indipendenza e la sua autonomia alla riunificazione dei "fratelli slavi del Sud", alla creazione della prima Jugoslavia. Per molto tempo, nei secoli scorsi, i serbi e i montenegrini, gli uni e gli altri cristiani di fede ortodossa, si sono considerati un popolo o una nazione. Oggi sono in minoranza quei montenegrini "unionisti" che la pensano ancora così. Non dubito della loro sincerità. Ma bisogna anche mettersi nella pelle di quei montenegrini "indipendentisti" che erano spinti da Milosevic e dalla sua Serbia in una compromettente, umiliante avventura, bombardando Dubrovnik e conquistando il territorio che la circonda. Che hanno vissuto per questo vergogna e colpevolezza. Anche loro sono – a loro modo – sinceri.

Quelli che hanno visto e interpretato la disgregazione della Jugoslavia come la conseguenza del vecchio scisma cristiano che ha diviso questo spazio europeo già nell’undicesimo secolo (avvenuto ufficialmente nel 1054), in questo momento sono smentiti. A differenza dei croati e sloveni, cattolici, o dei bosniaci in gran parte musulmani, i montenegrini appartengono alla stessa fede dei serbi. Alcuni stereotipi nel guardare la storia di questo spazio vanno modificati.

Sulla carta geopolitica dei Balcani rimangono in questo momento altri problemi che la separazione del Montenegro dalla Serbia può ferocemente aggravare. Deve esser risolto il problema cruciale del Kosovo, laddove vive una maggioranza del novanta per cento di abitanti di origine albanese, ma dove i monumenti di cultura e di fede sono di origine serba. Rimane anche la questione drammatica della Repubblica serba ("srpska") in Bosnia-Erzegovina, un paese che non può funzionare come uno stato vero e proprio avendo un altro stato in suo seno, nato dall’aggressione e dalla "pulizia etnica" di Karadzic e di Mladic, due criminali di guerra ricercati dal Tribunale de L’Aja. Questo ne impedisce il funzionamento e lo sviluppo autonomo dello stato bosniaco.

Comunque sia, fra qualche settimane la squadra del calcio serbo-montenegrina sarà composta un’ultima volta dai montenegrini e serbi…

Lo spazio balcanico produce davvero "più storia di quanta ne può consumare". E l’Europa non può lasciare questo spazio alla deriva, aiutandone l’integrazione, rendendogli la fiducia e la dignità che in questo momento appaiono distrutte o perdute.

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