La crisi greca e i Balcani
La Grecia barcolla e l’intera Europa teme. E il resto dei Balcani? Quali le reazioni e le prevedibili conseguenze per paesi che o sono ancora alle porte dell’Unione o ne fanno parte solo da qualche anno? Una rassegna
Una statua in marmo bianco, le intimità pudicamente coperte, un etereo viso di donna. Un’opera che richiama il meraviglioso patrimonio storico-artistico greco. Salvo per alcuni dettagli: il dito medio alzato, la scritta “Gli impostori nell’euro-famiglia” e il breve commento: “La Grecia ci affossa con i nostri stessi soldi? Che accadrà con Portogallo, Spagna e Italia?”.
E’ la copertina del settimanale tedesco Focus, indicativa del contesto da cui sono emerse le titubanze della cancelliera Merkel nell’appoggiare il piano di salvataggio europeo della Grecia. Ad Atene, del resto, in fatto di vignette si rimandano le accuse al mittente: gli ispettori dell’Ue e del Fondo monetario internazionale vengono raffigurati come agenti della Gestapo: un chiaro parallelo tra Unione ed occupazione tedesca della Grecia durante la Seconda guerra mondiale.
Il rischio bancarotta della Grecia sta creando forti turbolenze in seno all’Unione. Ne rimescola l’immaginario, ne muta le prospettive. Anche nel caso in cui Atene e le cancellerie europee dovessero riuscire ad arginare la crisi, quest’ultima avrà pesanti conseguenze sulle relazioni di solidarietà interna all’Unione e nell’atteggiamento verso chi aspira all’integrazione. In entrambi i casi, ad essere direttamente colpiti, saranno molti dei paesi del sud-est Europa.
“Che siano nuovi membri, come la Bulgaria, o paesi aspiranti all’integrazione, come i paesi dei Balcani occidentali, subiranno le conseguenze della crisi greca”, sottolinea l’esperto di Balcani Florian Bieber. “Sarà molto più difficile entrare nell’euro-zona o nell’Unione e saranno sottoposti a controlli molto più severi di quanto sarebbe accaduto prima”.
Che l’atteggiamento nei confronti degli aspiranti membri si sia irrigidito – gli entusiasmi erano già naufragati nella cosiddetta “fatica di allargamento” – è emerso dalle parole del responsabile per gli Affari europei del governo belga, a cui spetta la presidenza dell’Unione dopo la Spagna. “Saremo severi ed equi, senza fare compromessi”, ha dichiarato Olivier Chastel a fine marzo, ancor prima che la crisi greca raggiungesse l’apice.
I conti truccati greci pesano come un macigno sulla fiducia che Bruxelles è pronta a concedere ad altri paesi dei Balcani. “Le statistiche sono una questione fondamentale. Ci sono buoni motivi per credere che quelle fornite da altri paesi dell’area siano preoccupanti quanto quelle greche”, scrive James Pettifer del centro di ricerca Chatham House. “Se ci si basa solo sulla matematica, ad esempio, la Croazia ha le carte in regola per entrare nell’Unione. Se però quei numeri sono stati manipolati, le cose cambiano. La crisi greca ha posto un nuovo ostacolo ai progressi europei nella regione”.
A conferma gli esiti di una conferenza tenuta a fine aprile a Zagabria, dal titolo “La Croazia alla vigilia dell’ingresso nell’Ue”. A prendervi parte membri del governo croato e rappresentanti europei. Tutti d’accordo che la Croazia sarà il 28mo membro dell’Unione ma, allo stesso tempo, che si andrà oltre la data prevista del 2011-12 perché, come hanno sottolineato in termini diplomatici molti dei partecipanti, “il clima all’interno dell’Ue in merito all’allargamento non è positivo come un tempo”.
Pregiudizi, stereotipi e incomprensioni nei confronti dei Balcani – in un periodo di crisi economica che colpisce tutti – si stanno senza dubbio rafforzando. La crisi greca potrebbe però anche portare a conseguenze economiche e politiche dirette, nonostante molti appartenenti alle élites politiche dei Balcani preferiscano negarlo. “In tutta la regione molti ministri hanno ripetuto che il proprio paese sarebbe stato risparmiato dalla crisi”, ricorda Bieber. Ma non sarà così.
La Grecia è tra i maggiori investitori nei Balcani, presenza economica sviluppata fin dalla caduta del muro di Berlino. I piccoli investimenti hanno riguardato i settori alimentare e tessile, mentre quelli più importanti si sono concentrati su costruzioni, telecomunicazioni ed energia.
“Nel 2005 il capitale greco investito nei Balcani ammontava a circa 3.5 miliardi di dollari, dando lavoro a decine di migliaia di persone”, ricorda Charalambos Tsardanidis, direttore dell’Istituto per le relazioni economiche internazionali di Atene. Ad aprire le porte al capitale una profonda penetrazione delle banche greche in tutta l’area: nel 2007 erano 20 le sussidiarie dei 7 principali istituti di credito greci nei Balcani, con circa 23.500 dipendenti.
Secondo Global Insight, istituto di ricerca in economia e finanza di Bruxelles, gli effetti negativi riguarderebbero proprio il settore bancario, nello specifico in Bulgaria e Serbia. “Le banche straniere, rispetto al 2009, hanno deciso di ridurre i propri investimenti in Serbia dell’80%, mentre ridurranno di un ulteriore 20% nel 2010 e 2011”, afferma l’analista del centro di ricerca Tobia White, intervistato dalla BBC. “Questo avrà effetti sulle attività creditizie delle filiali in Serbia e sulla loro disponibilità ad offrire prestiti. In questo contesto gli impegni assunti con l’iniziativa di Vienna restano validi (a Vienna, agli inizi del 2009, molti istituti di credito europei operanti nei Balcani si accordarono con il Fondo monetario internazionale per mantenere il loro impegno nell’area, ndr), ma il livello di prontezza e preparazione delle banche greche nell’adempiere a tali obblighi sarà limitato”.
Che la crisi greca non influirà più di tanto sulla Serbia è però convinto – oltre a numerosi esponenti del governo – anche il docente universitario Vladimir Vukčević. In un’intervista rilasciata all’inizio di marzo a Privredni pregled, il più antico quotidiano economico dei Balcani, Vukčević afferma che non esiste un pericolo diretto che la Serbia venga danneggiata dalla crisi greca, anche se la situazione in Grecia porterà gli investitori ad essere più attenti, aumentando l’avversione per i paesi meno sicuri e svantaggiando in questo modo i Balcani.
Secondo Bogdan Pancuru, analista economico della rivista romena Nacional, “la crisi greca influirà soprattutto su Romania, Bulgaria e Turchia, per un semplice motivo: le banche greche partecipano al 28% nelle banche bulgare, col 27% in Romania e con circa il 25% in Turchia”. Secondo Pancuru, la Serbia sarebbe meno colpita perché le banche greche occupano in tutto circa il 16% del mercato bancario locale. Magra consolazione.
Per l’economista croato Borislav Škegro, intervistato dal quotidiano Jutarnji list lo scorso 30 aprile, la crisi greca dovrebbe fungere da avvertimento per la Croazia, che ha al momento un indebitamento estero di oltre 30 miliardi di euro. Nonostante questo “la Croazia è in una situazione molto migliore rispetto alla Grecia, anche se nel mondo globalizzato tutto è collegato”. Škegro si augura che la Croazia possa dimostrare agli inventori stranieri di essere diversa dalla Grecia. Secondo l’analista, solo adeguate e imprescindibili riforme potranno rappresentare una risposta alla crisi.
Le relazioni economiche della Grecia con i vicini passano anche attraverso le tasche dei numerosi lavoratori immigrati provenienti dai Balcani. Le rimesse dalla Grecia verso questi paesi ammontano a numerosi milioni di euro all’anno. Due le comunità in testa a questa speciale classifica: quella dei lavoratori albanesi, le cui rimesse nel primo decennio del 2000 sono state stimate dal Fondo Monetario Internazionale attorno ai 591 milioni di euro all’anno, e bulgari, con 304 milioni di euro annui.
I migranti originari dell’Albania rischiano di essere duramente colpiti anche se i settori in cui sono maggiormente impiegati, agricoltura e turismo, potrebbero essere tra i meno colpiti dalla crisi. “Per ora le rimesse dall’estero non sembrano diminuire”, afferma Vladimir Gligorov, dell’Istituto economico di Vienna. “Paradossalmente”, afferma poi James Pettifer di Chatham House, “proprio come per Montenegro e Kosovo, anche in Albania la forte presenza di economia grigia potrebbe attenuare le conseguenze della crisi greca”.
In Macedonia, nonostante le pessime relazioni diplomatiche tra i due paesi, più di 280 aziende greche hanno investito negli ultimi anni. “Ci sono molte interconnessioni tra i due sistemi economici, anche se è difficile prevedere quali saranno le conseguenze della crisi greca”, afferma Abdulmenaf Bedzeti, analista economico ed ex ministro per lo Sviluppo del governo macedone. Per l’economista Sam Vaknin, in Macedonia gli investimenti greci diminuiranno, provocando un innalzamento del tasso di disoccupazione.
Florian Bieber sottolinea le possibili conseguenze politiche sulle relazioni greco-macedoni: “Le prospettive di risolvere la questione del nome s’allontanano. Nonostante il governo Papandreu abbia mostrato una linea più pragmatica – sostiene l’analista – sembra improbabile che abbia il coraggio di procedere in questa direzione in un contesto di profonda crisi economica e tenendo conto che leader del principale partito di opposizione, Nuova Democrazia è Antonis Samaras, la cui linea dura contro la Macedonia ha causato la caduta del governo Mtsotakis nel 2003”.
La crisi economica mondiale aveva già pesantemente condizionato le economie dei Balcani, molte delle quali solo negli ultimi anni mostravano timidi segnali di ripresa. Ora il rischio tracollo della Grecia rischia di aggravarne ulteriormente le conseguenze. Con un problema in più: indebolisce drammaticamente l’Unione e le sue prospettive di allargamento, unica ancora di salvataggio per molti dei paesi della regione.
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