La campana, il cielo e la terra
Un momento storico. Presso la Campana dei Caduti di Rovereto, al fianco delle 88 bandiere di Stati nazione, anche la bandiera della popolazione rom e sinta. Un passo piccolo ma importante di riconoscimento dei diritti di una comunità spesso discriminata
Juan De Dios Ramirez Heredia, già eurodeputato gitano e Presidente Romani Union di Spagna, descrive il vessillo internazionale del popolo rom, creato nel 1933 dall’Unione generale dei rom di Romania e approvato nel Congresso mondiale dei rom del 1971: “Due colori orizzontali, il verde della terra e l’azzurro del cielo, con al centro una ruota raggiata rossa che si trova anche sulla bandiera dell’India, luogo d’origine del popolo rom e sinto”.
Poi si gira, verso il paesaggio della Vallagarina, in Trentino, che si apre alle sue spalle. Le montagne leggermente velate dalle nuvole, il verde intenso da primavera inoltrata dei campi e dei boschi. “Quasi è superfluo innalzare oggi, qui, la nostra bandiera, con questo paesaggio sembra ci sia sempre stata”, aggiunge.
Da sabato 29 maggio, al fianco di altri 88 vessilli di Stati Nazione presenti alla Campana dei Caduti di Rovereto, è presente anche quella della popolazione rom e sinta.
Il momento riveste un grande significato proprio perché la 89ma bandiera, quella della popolazione rom e sinta, è l’unica che rappresenta un popolo e non uno Stato-Nazione. La popolazione romanì è la minoranza più numerosa in Europa con i suoi 11 milioni. E’ il popolo che insieme ad altri ha subito il genocidio nazi-fascista, ancora oggi è costretto a vivere la discriminazione. Ora, anche grazie a questo piccolo passo compiuto sul colle di Miravalle, dopo 60 anni si apre per la popolazione sinta e rom un probabile percorso di riconoscimento dei propri diritti e della minoranza linguistica a livello istituzionale.
La Campana dei Caduti nasce nel 1924, all’indomani della Grande Guerra come simbolo di condanna del conflitto, di pacificazione delle coscienze di fratellanza e solidarietà fra gli uomini. L’attività della Fondazione, riconosciuta a livello internazionale dall’UNESCO, è rivolta all’educazione delle nuove generazioni, alla cultura della pace, della non-violenza e dei diritti umani. “Questo è un momento storico – ha ricordato emozionato il Reggente della Fondazione Alberto Robol – un popolo discriminato che riceve qui un importante riconoscimento istituzionale. La Campana dei Caduti continua ad essere monito contro tutte le guerre, simbolo più che mai vivo di fratellanza”.
“Al fianco della nostra bandiera ce ne sono molte altre – continua in un discorso molto intenso Juan De Dios Ramirez Heredia dopo aver consegnato la bandiera nelle mani del Reggente Robol – molte di queste rappresentano stati potenti, con un proprio territorio, un proprio parlamento, un proprio esercito. Noi non abbiamo nulla di questo, se non la nostra cultura, la nostra libertà e la nostra irrefrenabile voglia di pace”. Per poi aggiungere che ora la notizia di quanto avvenuto doveva essere diffusa tra tutte le comunità rom e sinte del mondo.
Ad ascoltarlo, sulle gradinate del magnifico anfiteatro che si raccoglie attorno dalla Campana dei Caduti e aperto sulla vallata, era una piccola folla. Sinti e rom provenienti dalla Spagna, dalla Serbia e dall’Italia, i rappresentanti di Aizo, l’associazione che ha organizzato con la Fondazione l’evento di questi giorni. Poi i ragazzi del coro di Rovereto e un gruppo di giovanissimi gitani che s’improvvisano al canto con il maestro Santino Spinelli. “C’erano anche amici trentini, orgogliosi di ospitare questo evento che amaramente bisogna definire coraggioso – spiega Michele Nardelli, presidente del Forum trentino per la pace.
A chiusura della cerimonia – e dei due giorni di eventi e spettacoli organizzati dall’Associazione italiana zingari oggi (Aizo) con il patrocinio della Provincia autonoma di Trento e del Comune di Rovereto e introdotti dall’assessore provinciale alla solidarietà internazionale Lia Beltrami e dall’intervento dell’onorevole Letizia Detorre – il professor Santino Spinelli ha intonato "Gelem, gelem". Musica e parole che raccontano di strade, di tende, di dolore, di olocausto. E del bisogno di rialzarsi.
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