La camomilla di Tirana
A Tirana, negli anni ’80, nei campi incolti delle periferie, la tarda primavera profumava di camomilla. Un racconto
L’estate per me profuma ogni tanto anche di camomilla, del suo aroma, che senza nessun permesso si intrufola negli angoli della mia memoria, che mi fa tornare mia “Antica Spezieria” e dalla speziale di fiducia, la mia nonna!
Quando giungeva l’estate, durante la mia infanzia a Tirana, anni ’80, solitamente i mesi di maggio-giugno, non combaciavano solo con la fine delle scuole. Quei giorni li segnavo sul calendario con alcuni disegnini, a prima vista, degli scarabocchi, ma osservati bene, erano dei fiori. Di camomilla.
Segnavano i giorni in cui mi sarei recata dalla nonna, per affiancarla in un rituale da lei e da me molto amato, una tradizione antica nella cultura popolare, la raccolta della camomilla.
La casa della nonna, complice anche la sua grande passione per la cucina, era zeppa di un’infinità di contenitori, teglie e barattoli con diverse provviste. Riempivano le mensole e le credenze anche delle grandi “tepsi”, teglie di alluminio, ed alcuni contenitori di plastica, pieni di fiori, lasciati ad essiccare.
Erano di camomilla e malva, che lei stessa raccoglieva nei campi e che poi una volta essiccati, distribuiva alle figlie ed ai nipoti per le tisane, specie per l’inverno.
Ed io presto mi ero offerta “volontaria” per accompagnarla in questa sua esplorazione della natura, spinta dalla curiosità.
Maggio e giugno corrispondevano alla piena fioritura della camomilla, per cui, muniti di buste di plastica, di qualche forbice e di pranzo al sacco – se ne sarebbe trascorso parecchio di tempo all’aria aperta – ci recavamo nei campi incolti del quartiere.
All’inizio mi preoccupavo, non riuscivo a distinguere la camomilla dalle semplici margherite. La nonna mi insegnò presto a comprenderne la differenza: i fiori di camomilla erano più alti e con la parte interna più grande. Inoltre, dettaglio inconfondibile: mi consigliava di annusarli!
Tra una pausa ed un’altra, facevamo delle coroncine di margherite che io mi mettevo tra i capelli. E poi in quei prati non mancavano i papaveri: la nonna mi incantava preparando le damine regali, le bamboline di papaveri.
Rimanevo affascinata da queste ballerine dall’abito rosso, dai “capelli” neri, dalla silhouette esile, con gambe e braccia sottili, pelosette, color verde.
Una volta terminata la raccolta di camomilla e malva selvatica – quest’ultima, in albanese, “mëllagë” – ci si dirigeva verso casa, dove la nonna aveva già predisposto teglie e arnesi da cucina, da poter sistemare il raccolto per l’essiccazione.
Soddisfatta del mio contributo, mi mettevo sul balcone a casa di nonna, a gustarmi la mia bevanda estiva preferita, fredda. Sciroppo di rose “shurup trëndafili”, che in casa della nonna non mancava mai d’estate. Nel caso lei avesse preparato qualche biscotto “kurabije”, allora mi ritenevo doppiamente fortunata.
In quei momenti euforici volavo in alto e immaginavo che se quei contenitori della “Spezieria” della nonna si fossero rovesciati sul pavimento tra le piastrelle sarebbero cresciuti tanti fiori da trasformare il pavimento in prato.
Una volta terminata l’essiccazione della camomilla, la nonna ne riempiva dei barattolini e li distribuiva alle figlie, per infusi e tisane d’inverno. Queste ed il “çaj mali” – “tè della montagna”, sarebbero state d’antidoto agli acciacchi invernali, in modo naturale.
Ecco perché, puntualmente ogni anno, di questi tempi, la mia estate profuma sempre anche di camomilla.
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