La Brexit e i marmi del Partenone
Metà dei marmi del Partenone si trovano a Londra. Venduti da un nobile inglese al British Museum nel 1816 sono rivendicati da Atene da quasi due secoli. La Brexit li farà tornare?
Torneranno mai i marmi del Partenone là dove sono stati per più di duemila anni, cioè ad Atene? Parliamo delle sculture che dal 1816 sono state staccate (e in alcuni punti tolte con lo scalpello) dal collezionista d’arte Lord Elgin, il quale le ha vendute poi al British Museum dove ancora fanno bella mostra di sé.
La vendita da parte del nobile inglese, che si basava su un permesso ufficiale (“firman”) dell’Impero Ottomano di asportare alcune “pietre con sculture” dal tempio di Atena Parthenos, venne ratificata dal Parlamento di Sua Maestà britannica. Risultato? Circa metà fregio, molte metope e metà statue dei frontoni si trovano attualmente nel nuovo Museo dell’Acropoli di Atene, costruito proprio per ospitare i tesori della sacra rocca nel 2010, l’altra metà sta all’ombra di Westminster.
Da duecento anni prosegue la diatriba fra Atene e Londra sulla restituzione dei marmi alla Grecia, che dal 1830 è uno stato libero, indipendente dall’Impero Ottomano. L’ultimo capitolo della saga si è dipanato quest’estate, con la complicità di Amal Alamuddin, moglie dell’attore George Clooney, la quale oltre essere consorte del divo hollywoodiano e madre dei suoi gemelli, fa parte del team dei legali assoldati dalla Commissione Internazionale per i Marmi del Partenone.
Presidente della Commissione è il greco Alexis Mantheakis, per anni portavoce della famiglia Roussel (vedi alla voce nipote di Onassis), che ha raccolto al balzo l’idea lanciatagli dai suoi consulenti giuridici: imporre all’Inghilterra le sculture del Partenone come pietre di scambio (è il caso di dirlo) per il “sì” del parlamento ellenico alla Brexit. Già, perché secondo le procedure dell’Unione europea, ogni singolo parlamento dei 27 stati membri Ue dovrà dare il proprio assenso agli accordi che saranno presi fra Londra e Bruxelles per l’uscita dell’Inghilterra dall’abbraccio del Vecchio Continente.
Do ut des
E se gli scandinavi si preparano a dire “sì” solo in cambio di nuove norme sulla pesca nel Mare del Nord, e fra Italia e Gran Bretagna va scatenandosi il boicottaggio del prosecco, mentre la Spagna reclama la sovranità sullo stretto di Gibilterra, perché mai la Grecia non dovrebbe porre una condizione anche lei? "Ecco la soluzione che cercavamo da decenni!" ha dichiarato Mantheakis al quotidiano ateniese Kathimerini il 7 agosto scorso.
"Questa è la prima volta che abbiamo la possibilità di reclamare il ritorno dei marmi sostenuti dalla diplomazia internazionale. Diremo loro – ha ribadito Mantheakis – ‘Signori, vi appoggeremo. L’unica cosa che chiediamo è che svuotiate una stanza di un vostro museo’. Del resto, l’opinione pubblica britannica è da anni dalla nostra parte”. Se quest’ultima affermazione di Mantheakis è vera per gli ambienti accademici di Oxbridge, orripilati dopo la rivelazione che negli anni Trenta il British Museum ha fatto un restauro molto energico delle sculture del Partenone, tanto da asportarne la patina antica, come ha ricordato anche di recente il quotidiano progressista The Guardian, favorevole alla restituzione del “maltolto” ad Atene, ciò non è altrettanto vero per l’opinione pubblica filo-conservatrice.
Basta guardare la classifica di pochi giorni fa pubblicata dal quotidiano di centrodestra Daily Telegraph, filo governativo, sui 42 “Musei che non potete assolutamente non vedere prima di morire ”. Se al primo posto c’è il Metropolitan di New York, seguito a ruota dal Louvre (al quinto posto) e dai musei londinesi (a quota 12-13) e da quelli italiani, l’Acropolis Museum of Athens figura solo al 24esimo posto. Con questa dicitura ben poco diplomatica: “L’ultimo piano è dedicato al fregio di marmo che un tempo correva intorno alla cima del Partenone. Circa metà dei pezzi sono originali, mentre il resto sono copie: la parte mancante si trova al British Museum. I greci la chiedono indietro da decenni e sperano che questa sfacciata presentazione convincerà finalmente gli inglesi a restituirla”.
Identità europea
C’è di che far disperare l’ottimismo di Amal Clooney e della Commissione guidata da Mantheakis. Sempre quest’estate il governo ellenico, tramite l’europarlamentare Stelios Kouloglou, della coalizione riformista Syriza al potere ad Atene, ha sondato il parere della Commissione europea sul rapporto scottante fra marmi e la Brexit, sostenendo che i mediatori Ue, seduti al tavolo delle contrattazioni con l’Inghilterra, dovranno sottolineare il bisogno di proteggere l’identità culturale europea, il cui simbolo principale sono proprio i marmi del Partenone, culla della civiltà occidentale. Ma la risposta del commissario Ue Tibor Navracsics, ungherese, che cura gli aspetti culturali della Brexit, ha raggelato Atene: “Esiste solo una direttiva dell’Unione europea sulla restituzione dei tesori artistici sottratti dal primo gennaio 1993 in poi. Le sculture del Partenone sono state portate via molto prima di questa data, quindi l’Unione europea non ha nessuna autorità al riguardo”.
Da parte del governo britannico nessun annuncio ufficiale. C’è stato solo un sardonico comunicato del British Museum: “Il Museo dell’Acropoli fa sì che i marmi del Partenone che si trovano ad Atene siano ammirati sullo sfondo della storia ateniese. Le sculture situate a Londra sono importanti rappresentanti dell’antica civiltà greca nell’ambito della storia mondiale”. Gli unici che sembrano tifare per Atene e il suo museo di vetro e acciaio, dalla cui terrazza si vede benissimo la veneranda rocca di Atena Parthenos, sono i turisti. Almeno quelli che cliccano “like” su Tripadvisor stilando una hit parade dei dieci musei più appetibili al mondo: anche loro, come il Telegraph mettono al primo posto il Metropolitan di New York, seguito dal National Museum di New Orleans e dal Musée d’Orsay di Parigi. Fuori dal podio, troviamo all’ottavo posto il Museo dell’Acropoli di Atene e… vendetta atroce vendetta per i greci… solo al decimo posto il Victoria and Albert Museum di Londra.
Del British Museum neanche l’ombra.
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