La Bosnia sceglie lo status quo
La Camera dei Rappresentanti bosniaca non trova l’accordo sulle riforme costituzionali. La strana alleanza di chi ha votato contro. I partiti sono rimandati alle elezioni di ottobre. Sconcerto nella comunità internazionale. Per l’Unione Europea serve uno stato che funzioni
All’esame di maturità, i partiti che formano il Parlamento della Bosnia ed Erzegovina hanno rimediato una sonora bocciatura. La tanto attesa ed agognata riforma costituzionale non è riuscita ad ottenere la maggioranza qualificata di due terzi dei membri della Camera dei Rappresentati e così sembra concludersi con un insuccesso la maratona politica e diplomatica che era iniziata lo scorso ottobre, e che sembrava avviata verso il successo. Poche settimane fa, da queste colonne, era stato annunciato l’avvenuto accordo dei 7 partiti di maggioranza sul testo di riforma costituzionale. A far la conta, sembrava che i numeri ci fossero veramente tutti e che l’accordo costituzionale potesse esser raggiunto. Ma quando si è giunti al voto, il risultato è stato di 26 a favore e 16 contro, sono mancati cioè due voti, determinanti per la maggioranza qualificata. Dati i tempi tecnici appare a questo punto molto probabile che le elezioni dell’ottobre prossimo si tengano con l’assetto costituzionale corrente e che i negoziati sui cambiamenti costituzionali possano continuare solamente dopo la tornata elettorale. Il 4 maggio prossimo venturo infatti la Commissione Elettorale annuncerà le elezioni che si terranno l’ottobre prossimo. E quindi, a questo punto, come sottolinea Nezavisne Novine, nessuno sa "kako dalje", cioè come andare avanti.
Ancora una volta, partiti e fazioni dagli interessi opposti e contrastanti si ritrovano dalla stessa parte quando si tratta di votare la riforma costituzionale. Ne risulta l’impasse e la preservazione dello status quo.
E paradossalmente quelli che, a parole, più fortemente vogliono cambiarlo, sono coloro che maggiormente contribuiscono alla sua preservazione. È il caso del Partito per la Bosnia Erzegovina (SBIH) di Haris Silajdzic, che nei giorni passati aveva apertamente criticato i cambiamenti costituzionali dato che, a detta dell’SBIH, tali cambiamenti erano puramente cosmetici e non avrebbero intaccato la struttura della Bosnia ed Erzegovina. E come tale Silajdzic si era lanciato in una campagna contro i cambiamenti costituzionali, sulla falsariga del "bez entita", la Bosnia senza entità, slogan di alcuni anni fa del partito di Silajdzic che gli aveva valso un considerevole supporto tra i votanti. Per chi segue da vicino le vicende della Bosnia ed Erzegovina, risulta ovvio che un’abolizione delle entità in questo momento, e probabilmente per lungo tempo a venire, non è un’opzione fattibile, e che invocando l’abolizione delle entità si finisce paradossalmente per rafforzarle: quando si parla di abolire le entità, i partiti della Republika Srpska (RS) riescono spesso a superare le loro divisioni interne e a ricompattarsi attorno alla bandiera della RS. La constatazione è fin troppo ovvia e da qui la critica che da molti è stata rivolta a Silajdzic di aver assunto questa posizione puramente per scopi demagogici ed elettorali.
Un aiuto a Silajdzic è poi giunto da Mehmed Zilic, uno dei pezzi grossi del Partito di Azione Democratica (SDA) di Tihic, che ha votato contro le linee del partito e ha espresso il suo "no" ai cambiamenti costituzionali. Zilic è stata probabilmente la più grossa sorpresa in questo senso e ha giustificato la sua posizione spiegando che prima bisognerebbe abolire i simboli della RS ed aspettare l’esito della causa dell’Aja, e poi parlare dei cambiamenti costituzionali. E infine, si sono schierati contro anche il partito radicale serbo "Vojslav Seselj" con il suo unico deputato, i due deputati indipendenti e il nuovo HDZ (Unione Democratica Croata) 1990, il partito croato di Martin Raguz, di recente fondazione, che dopo una serie di tentennamenti ha deciso per il no ai cambiamenti istituzionali, in una mossa che da un lato tende a distinguere il nuovo HDZ 1990 dal vecchio HDZ, oramai rimasto con un solo deputato, e dall’altro probabilmente punta ad avvicinare le sue posizioni a quelle della chiesa cattolica che nei giorni scorsi si era pronunciata in modo contrario ai cambiamenti costituzionali.
"Bolje ista nego nista" è un detto bosniaco, traducibile con "qualcosa è meglio di niente" ma che non sembra sia servito in questo caso. La comunità internazionale ha espresso la sua delusione per la mancata adozione dei cambiamenti costituzionali: l’ambasciatore americano, che era stato uno dei principali artefici, si è detto profondamente deluso, e ha fatto riferimento all’esistenza di possibili sanzioni. Da parte europea, tutti i principali ambasciatori hanno espresso il loro rammarico e delusione, ma come ha detto la Commissione Europea, l’adozione dei cambiamenti costituzionali non costituisce una condizione per la firma dell’accordo di Associazione e Stabilizzazione. Per l’implementazione di tale accordo, precisa sempre la Commissione Europea, la Bosnia ed Erzegovina ha bisogno però di istituzioni forti a livello centrale e la Commissione ribadisce che i negoziati sui cambiamenti costituzionali devono comunque continuare. Anche l’Ufficio dell’Alto Rappresentante, Christian Schwarz Schilling, ha espresso la profonda delusione per la mancata adozione dei cambiamenti costituzionali, ribadendo che comunque la necessità del cambiamento costituzionale non sparisce per effetto del voto del parlamento dell’altra sera e che la Bosnia ed Erzegovina è tenuta sempre sotto osservazione da parte delle istituzioni europee.
La delusione è chiara, cocente. È stata questa una delle prime uscite del parlamento bosniaco chiamato a discutere una questione di vitale importanza per il futuro del paese, dove fin dall’inizio era chiaro che la comunità internazionale non avrebbe fatto ricorso a sanzioni o a condizionalità per ottenere le necessarie riforme, come era avvenuto in passato. I partiti politici non hanno superato la prova di maturità e sono stati rimandati ad ottobre. La speranza è che ad ottobre sia il buon senso a salire in cattedra.
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