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La Bosnia dentro

La direttrice di ICS, Rosita Viola, ha partecipato recentemente ad una delle tappe della Carovana Antimafia, partita il 20 settembre scorso da Bari per raggiungere Albania, Serbia e Bosnia Erzegovina. Pubblichiamo un suo articolo sulla attuale situazione bosniaca

20/10/2005, Redazione -

La-Bosnia-dentro

Di Rosita Viola

La Bosnia dentro. Ho "rubato" questo titolo ad un libro pubblicato più di dieci anni fa. Non ho trovato di meglio perchè penso che riassuma bene la mia e la nostra storia.

A fine settembre sono ritornata in Bosnia Erzegovina con gli amici dell’Associazione per l’Ambasciata della Democrazia Locale a Zavidovici .

Lì abbiamo aspettato l’arrivo della Carovana Antimafie, insieme a molte altre persone che ancora oggi continuano attività e progetti in Bosnia Erzegovina.

Molti gruppi di ICS sono ancora là, nei Balcani, o nel cosiddetto Sud Est Europa, in Bosnia Erzegovina, in Serbia, in Kosovo, in Albania, in Macedonia, in Croazia, lontano dai riflettori dei media, in mezzo a un conflitto ormai dimenticato.

Siamo ancora nei Balcani, non solo per continuare il processo di ricostruzione e riconciliazione ma soprattutto per confrontarci da cittadini sull’Europa che vogliamo, sulla società che vogliamo, sull’idea di un altro mondo possibile, per intessere reti e relazioni come è successo con il passaggio della Carovana Antimafie.

Oggi non ci si accorge che in Bosnia Erzegovina c’è "una pace non definitiva" che unitamente alle difficoltà nel superamento dei danni provocati dalla guerra, ha come dirette conseguenze la mancata concezione di sviluppo unitario del Paese, un fragile o molto spesso inesistente quadro legislativo (a causa della difficoltà di trovare un accordo tra le tre parti sulla legislazione comune), la lenta normalizzazione della vita sociale e economica, l’aumento dell’emigrazione di giovani e di personale ad alta specializzazione.

La storia della ex Jugoslavia ancora oggi presenta elementi di forte ed inquietante originalità. La fine delle singole guerre che hanno sconvolto la regione negli anni ’90, il fragilissimo equilibrio geopolitico su cui sono fondati e si reggono gli accordi di Dayton, la presenza delle forze multinazionali a guida occidentale, la centralità e l’importanza geopolitica della ex Jugoslavia per la stabilità dell’Est Europa e l’area mediorientale, lasciano in sè qualcosa di non risolto.

Vale la pena di ricordare che la guerra in Bosnia Erzegovina ha causato oltre 200.000 morti e 2.200.000 rifugiati; approssimativamente più della metà della popolazione era è fuori dal luogo dove abitava prima della guerra. Un censimento sui rifugiati, realizzato nel corso del 2005, ha rilevato che 60.000 famiglie, più di 185.000 persone, sono ancora sfollate e non in grado di rientrare nelle proprie case. Il ministero bosniaco per i rifugiati stima che ci sono altre 500.000 persone all’estero.

La principale ragione per la quale la questione dei rifugiati non è ancora risolta è che la Bosnia Erzegovina necessita della ricostruzione di 40.000 case, ma i fondi a disposizione sono inesistenti. Il ministero stima di risolvere il problema entro il 2010, ma sussistono forti dubbi sulla possibilità di riuscire nell’impresa. Per contro va anche sottolineato che l’interesse al rientro è in diminuzione dal 2002 quando si è registrato il maggior numero di ritorni con 107.909 persone rientrate. Il numero dei rientri negli anni seguenti è sceso del 50% mentre nei primi 6 mesi del 2005 ci sono stati 3.610 ritorni registrati.

Sicuramente il problema relativo alla diminuzione dei fondi per la ricostruzione delle case, delle infrastrutture e dei servizi costituisce un fattore importante e limitante per la continuità del processo di rientro; parimenti la mancanza di prospettive e opportunità lavorative unita al radicamento, trascorsi ormai dieci anni dalla fine della guerra, in un’altra comunità all’estero o all’interno della stessa area balcanica, hanno influito sul numero dei rientri registrato in questi ultimi anni.

Soprattutto i giovani con una istruzione specializzata, emigrati in tutto il mondo, a causa della difficile situazione socio-economica e la mancanza di pianificazione e sviluppo, si rifiutano di rientrare.

Nonostante abbia ricevuto circa 5 bilioni di dollari dalla comunità internazionale per la sua ricostruzione, la Bosnia Erzegovina rimane uno dei paesi più poveri dell’Europa e le prospettive per il futuro non lasciano ben sperare.

Seguendo il trend demografico che è in calo, si denota che la struttura demografica della popolazione è notevolmente cambiata principalmente per lo sbilanciamento tra i gruppi di età. Due sono i fattori importanti da rilevare: i giovani abbandonano il paese mentre gli anziani rientrano.
Attualmente la popolazione può essere suddivisa in quattro gruppi:
– rifugiati
– giovani in grado di lavorare ma costretti a cercare lavoro all’estero
– cittadini con problemi di sopravvivenza che hanno deciso di rimanere nel Paese
– una minoranza con sicurezza socio-economica

Si deve sottolineare che una consistente percentuale delle persone che hanno deciso di rimanere nel Paese sono vittime della guerra (orfani, invalidi, vedove, soldati smobilitati, persone anziane con problemi di salute, minoranze come i rom).

Il tasso demografico, cioè il rapporto tra natalità e mortalità, e il numero dei nuovi matrimoni ha un influsso negativo sulla "fornitura" di forza lavoro. Con il rientro di sfollati e rifugiati aumenta il numero dei pensionati, cioè il numero degli abitanti non attivi.

Oggi l’economia bosniaca può essere definita di sussistenza con ampie sacche di povertà. La maggior parte della popolazione attualmente non ha una abitazione adeguata, non ha la possibilità di soddisfare i bisogni personali o familiari, possibilità di trovare un lavoro, diritto all’istruzione o alla specializzazione professionale.

Il reddito pro-capite negli anni ’90 era di 2.500 USD, nell’immediato dopoguerra scende a 500 USD con la produzione industriale che si riduce al 10% del suo livello pre-bellico. Oggi la produzione industriale arriva al 28%. Il PIL pro-capite è di 1.200 USD; la soglia di povertà è fissata a 1.843 KM l’anno e il 21,9% delle persone vivono al di sotto di questa soglia (24,8% in Republika Srpska e 19,1% nella Federazione). Secondo dati dell’UNDP a fronte di un salario medio nel 1998 di 297 KM sono necessari oggi 477 KM per mantenere una famiglia di 4 membri (circa 250 euro / 310 USD).
Negli ultimi anni vi è stata una crescita costante del salario medio, ma anche il costo medio della vita è aumentato e il livello di reddito rappresenta il livello minimo per la sussistenza. A tutto ciò si aggiungono gli effetti delle politiche neoliberiste di assistenza sociale e sanitaria adottate che hanno ridotto il welfare alla metà di quello garantito nel 1991.

La disoccupazione oscilla tra il 22% e il 43%. La differenza è dovuta alla difficoltà di determinare la forza lavoro effettiva a causa della diffusione del lavoro nero, dei movimenti interni di popolazione, del ritorno dei rifugiati, della situazione inerente a quei lavoratori di fatto senza occupazione ma ancora iscritti nei registri delle industrie per ricevere il salario minimo.

La popolazione bosniaca sopravvive grazie all’esistenza di una economia grigia che rappresenta percentualmente oltre la metà del reddito interno lordo alla quale si aggiungono le rimesse dall’estero.

Infine non bisogna dimenticare il ruolo degli organismi internazionali. Nell’immediato dopoguerra è risultato consistente l’apporto diretto di risorse mediante i progetti, ma anche per le opportunità di impiego che garantivano le organizzazioni non governative, le agenzie governative, le agenzie delle Nazioni Unite, la Commissione Europea, l’OSCE, la missione SFOR e le centinaia di sigle che soggiornavano a Sarajevo ma anche in tutte le principali città della Bosnia Erzegovina. I livelli molto elevati dei compensi per gli impiegati presso organismi internazionali (a volte il quintuplo se non di più del salario medio nazionale ma molto spesso senza copertura previdenziale) e l’indotto della presenza massiccia della comunità internazionale hanno determinato l’aumento dei consumi, "drogando" l’economia bosniaca e creando notevoli disparità salariali per professionalità.
Con l’esplosione del Kosovo nel 1999 la presenza della comunità internazionale si è notevolmente ridotta, negli anni seguenti numerose missioni dei principali organismi internazionali sono state chiuse lasciando "un buco" nel giro d’affari dell’economia bosniaca.

In questa difficile realtà socio-economica bene si inserisce e prospera il crimine organizzato con una "diversificata gamma di affari" fino a costituire una vera e propria economia parallela che unisce criminali di guerra e attuali uomini politici (relazioni che trovano le loro radici nelle stesse reti del tempo di guerra che ora nascondono con tanto successo i sospetti indiziati dalle forze bosniache ed internazionali).

Nell’inchiesta "L’Europa e la mafia bosniaca" si afferma che "Il contrabbando di beni sottoposti ad alta tassazione, come sigarette, alcolici e derivati del petrolio è molto esteso, ci sono stime secondo cui i proventi del contrabbando vanno dai 150 ai 300 milioni di euro – una visione sconcertante se si considera che ciò equivale per la Bosnia al bilancio annuale dello Stato."
Questa è la Bosnia oggi, la Bosnia dentro, quella che i media non raccontano più perchè nei Balcani ormai c’è la pace; troppo spesso diversa da quella descritta dai report delle agenzie internazionali che con toni trionfalistici esaltano i risultati della democrazia, del peacekeeping e del peacebuilding.

Dimenticata e abbandonata dalla comunità internazionale, ancora distrutta, in profonda crisi economica e sociale, governata da politici corrotti e lasciata alla porta di un’Europa che oggi come nel 1991 ripete gli stessi errori.

Dentro ci sono milioni di persone prigioniere di Schengen, costrette a lasciare a casa la loro dignità ogni qualvolta devono chiedere un visto.

Dentro ci sono i traffici della mafia, che non trovano difficoltà ad oltrepassare le frontiere: i rapporti mafiosi nell’area balcanica e con l’Italia sono per certo molto più forti e strutturati rispetto a quelli della società civile e dei governi.

Ma dentro ci sono ancora molte persone, giovani, uomini e donne, associazioni, organizzazioni come quelle che abbiamo incontrato con la Carovana Antimafie che lottano ogni giorno per una Bosnia diversa, per entrare in Europa, per sconfiggere i nazionalismi, la mafia e l’ingiustizia.
Dentro ci siamo anche noi per sostenere queste realtà e rompere l’isolamento che le circonda; per continuare a creare relazioni e realizzare progetti o semplicemente occasioni di confronto e scambio.

www.carovanaantimafia.it

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