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Krško, il nucleare sloveno-croato

Nei suoi trent’anni di vita la centrale di Krško non ha mai dato problemi, salvo un lieve incidente nel 2008. Il premier sloveno Pahor ora vorrebbe rilanciare con un altro reattore: interessata la regione Friuli Venezia Giulia, contraria l’Austria e l’esiguo movimento antinucleare sloveno

21/03/2011, Stefano Lusa - Capodistria

Krsko-il-nucleare-sloveno-croato

La Centrale nucleare di Krško più che un motivo di preoccupazione per la popolazione slovena resta un motivo di vanto, un simbolo del grado di progresso che la repubblica riuscì a raggiungere nella Jugoslavia comunista. Il progetto sulla carta partì nel 1970 e venne realizzato in collaborazione con Zagabria, che resta comproprietaria dell’impianto. La costruzione vera e propria ebbe inizio nel 1975. Nel 1981 fu fatto partire il reattore, ma la centrale venne formalmente inaugurata nel 1983.

Nonostante la Jugoslavia fosse un Paese comunista la scelta non cadde sulla tecnologia sovietica, ma su quella americana della Westinghouse. Fu installato così un reattore di seconda generazione del tipo PWR (Pressurized Water Reactor).

Una struttura, precisano oggi gli esperti nucleari sloveni, molto più sicura di quelle della centrale di Fukushima. L’impianto, infatti, ha una decina d’anni in meno rispetto a quello giapponese e proprio in quel periodo sarebbero stati fatti passi da gigante in materia di sicurezza nucleare.

Quello di Krško è un reattore a doppio circuito di raffreddamento; ha una camera di contenimento del vapore molto più ampia rispetto a quelli dei reattori saltati della centrale giapponese e sistemi di sicurezza all’avanguardia. La centrale è collegata direttamente ad una termo centrale, che in caso di problemi le fornirebbe in maniera prioritaria l’energia elettrica necessaria per far funzionare le pompe. L’impianto dispone inoltre di due motori diesel capaci ognuno di fornire da solo la corrente necessaria e se ciò non bastasse sarebbe il vapore stesso generato dal calore a mettere in funzione il circuito di raffreddamento.

Rischi e misure di sicurezza

Subito dopo l’incidente in Giappone in Slovenia ci si è premurati di precisare che a breve l’impianto sarà dotato di un altro motore diesel, mentre verranno innalzati gli argini che difendono la centrale dalle possibili inondazioni del fiume Sava.

Vista la sua collocazione il rischio non è quello del maremoto, ma semmai quello dell’esondazione del fiume. Dal punto di vista sismico, invece, la centrale sarebbe in grado di reggere le eventuali scosse massime previste per quella zona, mentre, in caso di incidente nucleare, tutte le misure di sicurezza sono già predisposte e nel Paese esistono sufficienti scorte di iodio da distribuire celermente alla popolazione.

L’impianto sloveno dovrebbe rimanere in funzione fino al 2023, ma si sta seriamente valutando di allungargli la vita di altri vent’anni, facendolo chiudere nel 2043, dopo sessant’anni di onorata carriera.

Un nuovo reattore con partecipazione italiana?

Intanto si sta facendo strada anche l’idea di costruire un nuovo reattore. Lo stesso premier Borut Pahor ha precisato, anche in questi giorni, di essere un sostenitore del nucleare, mentre l’ipotesi di raddoppiare la centrale sembra piacere molto anche al governatore del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, che si sta adoperando per una partecipazione italiana all’eventuale progetto.

La questione dell’energia è un argomento che resta in primo piano sia in Slovenia sia in Italia sia nel resto d’Europa. Lubiana è alle prese anche con un altro progetto dal discutibile impatto ambientale: l’ampliamento della termo-centrale di Šoštanj, che consentirebbe di fornire una parte dell’energia di cui la Slovenia ha bisogno, ma costerebbe un sacco si soldi e farebbe salire la quota slovena delle emissioni nocive rilasciate nell’atmosfera.

Il ministro per l’Ambiente Roko Žarnić, di fronte ai timori sull’impiego del nucleare, ha commentato con una domanda retorica: “Continuare con la termo-centrale o con il nucleare. Di cosa abbiamo più paura, dei rischi della contaminazione o di qualcosa che lentamente distrugge l’atmosfera?”.

L’Austria contraria alle centrali

Se gli sloveni comunque non hanno dubbi sulla sicurezza del loro impianto, meno convinti paiono essere gli austriaci, che stanno ingaggiando una vera e propria guerra contro le centrali nucleari dell’Europa dell’Est. Il consiglio regionale della Carinzia ha persino minacciato che avrebbe chiesto al governo austriaco di porre il veto sull’adesione della Croazia all’Unione europea se la centrale slovena, di cui è proprietaria al 50%, non verrà chiusa.

Ovviamente in Slovenia c’è chi storce il naso vedendo mettere la propria centrale nello stesso calderone con quelle di produzione sovietica. Soprattutto sembra difficile accettare che si metta in discussione l’efficienza dei controlli sloveni. La centrale del resto in quasi trent’anni di attività non ha fatto registrare nessun incidente o quasi.

L’avaria più grave, ovvero quella che ha avuto maggior impatto mediatico, risale al 2008. All’epoca ci fu una perdita d’acqua dal sistema di raffreddamento primario, ma non ci fu alcuna fuga radioattiva all’esterno e l’impianto fu riavviato dopo alcuni giorni, tanto che l’evento fu classificato di livello 0 nella scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici.

Simili incidenti, ha sottolineato all’epoca un esperto nucleare sloveno, avvengono ogni mese in Europa. La comunicazione spedita alle preposte autorità ha però fatto scattare il sistema d’allerta europeo e messo in subbuglio tutto il continente, suscitando qualche dubbio sulle modalità con cui le autorità slovene hanno avvisato la comunità internazionale e soprattutto i vicini.

Gli antinuclearisti sloveni

Al di là dell’orgoglio nazionale, comunque, anche in Slovenia esiste un movimento antinucleare. La scorsa settimana una ventina di attivisti di Greenpeace hanno manifestato nel centro di Lubiana, ponendo l’accento sui pericoli del nucleare e sottolineando che la centrale di Krško sta in una zona sismica. Appelli per l’abbandono del nucleare sono stati lanciati anche da altri gruppi ecologisti e dai verdi. Tutti vorrebbero che la centrale venisse chiusa al più presto.

A livello politico non sembrano raccogliere troppi consensi, anche se non mancano autorevoli esponenti che sembrano voler riprendere le vecchie battaglie del passato. Franco Juri, diventato alcuni mesi fa capogruppo di Zares, ha riempito la sua pagina Facebook con notizie sulle energie rinnovabili.

La sua militanza politica d’altronde iniziò nella Lega della gioventù, che negli anni Ottanta, tra le mille battaglie per la democratizzazione della società, puntò anche sull’ecologia e mise per la prima volta nell’allora Jugoslavia in dubbio l’uso dell’energia nucleare. Oggi, però, pochi nel suo governo ed anche nel suo partito sembrano pronti a intraprendere questa crociata.

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