Kossovo: un passo avanti, uno indietro
Elezioni non risolutive. Certo, tenutesi senza incidenti, ma solo il 50% degli aventi diritto si è recato a votare e la comunità serba di fatto non sarà rappresentata in modo effettivo in Assemblea. Una novità per il Kossovo potrebbe invece essere la nascita di una dinamica governo-opposizione.
Erano state presentate come un momento cruciale del Kossovo, come la chiave che poteva iniziare a schiudere una prospettiva sul futuro della Provincia. L’impressione che si ha a qualche giorno dalle elezioni – dove gli albanesi del Kossovo, e solo loro visto che la comunità serba ha ampiamente boicottato le urne, hanno eletto la loro Assemblea – è che in realtà poco sia cambiato rispetto al passato.
Ibrahim Rugova, che in questi due anni ha interpretato il ruolo di Presidente in modo molto particolare, ad esempio decidendo di non dimettersi dalla direzione del proprio partito, LDK, e rinunciando quindi di fatto ad essere il Presidente di tutti i cittadini del Kossovo, ha dominato largamente le elezioni. Il suo LDK è profondamente radicato nelle campagne, è una sicurezza alla quale la maggior parte dei kossovari sembra non voler rinunciare.
Si sono riconfermati sulle posizioni precedenti anche i due partiti guidati dai due ex UCK. Il PDK di Ashim Thaci si conferma il secondo partito della provincia raggiungendo il 26% dei consensi mentre l’AAK di Ramush Haradinaj è il terzo partito della Provincia e però supera la doppia cifra fermandosi al 9%.
Anche il boicottaggio – riuscito – della comunità serba è un dato per alcuni versi di continuità rispetto al passato. I rappresentanti serbi in questi due anni di Assemblea del Kossovo si sono spesso rifiutati di entrare nell’aula parlamentare e, tranne rare eccezioni, non hanno mai intrapreso con convinzione la strada del dialogo. Quest’ultima è stata dissestata ulteriormente dai tragici eventi del marzo scorso dove hanno perso la vita 19 persone, in maggioranza appartenenti alla comunità serba del Kossovo.
Un atteggiamento anti-dialogo purtroppo condiviso sia dai rappresentanti istituzionali della comunità serba che dalla gente comune. Sembra non si sia ancora capito che il Kossovo non tornerà mai ad essere quello precedente al ’99. Si ha inoltre l’impressione di assistere ad una sorta di strabismo: la memoria va ai recentissimi scontri di marzo, oppure si ritorna indietro di secoli. Ma la repressione attuata in Kossovo dal regime di Milosevic viene troppo spesso rimossa.
In Kossovo la comunità serba è una minoranza ed è da questo "nuovo" status che devono ripartire coloro i quali hanno deciso di fare la difficile scelta di rimanere. Iniziando ad esempio ad imparare la lingua albanese, la principale, anche se non l’unica, della Provincia.
Il boicottaggio delle elezioni non ha certo aiutato a fare passi in questa direzione. Quella di non mischiarsi nelle dinamiche attuali del Kossovo sembra quasi una reazione poco matura, un ritorno al passato. Il non partecipare non servirà certo a denunciare l’attuale status quo o dare maggior valore alle posizioni di Belgrado. Servirà piuttosto ad indebolire ulteriormente le posizioni, l’autonomia e lo spirito critico dei serbi del Kossovo. E ad asservirli ulteriormente alle dinamiche politiche di Belgrado dove spesso la questione Kossovo viene affrontata come carta da giocare in dinamiche politiche che riguardano tutt’altro.
Un altro messaggio chiaro arriva da queste elezioni: la comunità albanese è andata a votare senza addosso grandi pressioni. Ha potuto più o meno votare liberamente chi preferiva. Certo, persistono dinamiche clientelari del tutto peculiari in Kossovo, che fanno ad esempio in modo che Rugova, nonostante due anni di Presidenza non brillanti – e durante i quali la sua figura è sembrata spesso una silhouette di carta velina, poco capace (o forse volutamente incapace) di influire sulle cose – ottenesse questa vittoria netta.
Non è invece avvenuto altrettanto per la comunità serba, che da anni vive in "gabbie" che dipendono sia dalla effettiva situazione di insicurezza delle minoranze nella Provincia a guida UNMIK sia da paure oramai fossilizzate che limitano la capacità dei serbi di ripensare il loro vivere in Kossovo. Il boicottaggio sembra infatti non sia stato solo conseguenza del convincimento che le recenti elezioni erano inutili ed anzi avrebbero danneggiato la "causa serba". Ma è nato anche in alcuni casi da un clima di intimidazione e di minacce che ha subito chi era intenzionato a votare.
I rappresentanti internazionali in Kossovo (pur facendo quotidianamente politica ma parlandone il meno possibile) si sono limitati a definirsi soddisfatti per la competenza dimostrata dalle autorità kossovare ad organizzare il processo elettorale ed a felicitarsi per la mancanza di incidenti. Certo, un passo avanti ed un dato non affatto scontato, ma per garantire al Kossovo un futuro occorre, il prima possibile, mettersi a correre.
Una cosa sembra certa. Come è già avvenuto in passato l’Assemblea del Kossovo non sarà tra i luoghi principali dove si prenderanno le decisioni che contano sul futuro della Provincia. Nasce infatti poco rappresentativa. Ai serbi vengono garantiti per legge 10 seggi ma, ammesso che qualcuno abbia il coraggio di occuparli, rappresenterà al massimo la propria famiglia allargata o poco più, e sarà quindi privo di ogni legittimità democratica. Rimane inoltre un "quasi Parlamento", e proprio per questo viene chiamata Assemblea. Un organo rappresentativo che dovrebbe contribuire a governare uno Stato che però non esiste. In questo condivide il destino di altre istituzioni del Kossovo: il "quasi esercito", il "quasi governo". Non può che essere così essendo il Kossovo un "quasi Stato".
Forse è anche in virtù di questa considerazione che la percentuale di Albanesi che si sono recati alle urne ha segnato un calo rispetto al passato; poco più del 50% della popolazione ha espresso la propria preferenza. Questo disinteresse nei confronti della consultazione elettorale ci sembra possa essere un segnale della scarsa fiducia della popolazione nei confronti dell’amministrazione internazionale e della sua capacità di governare il paese.
In questo scenario, chi prederà allora decisioni sul futuro della Provincia? Si rischia che per lungo tempo non le prenda nessuno. E poi saranno Stati Uniti, Consiglio di Sicurezza ONU ed Unione Europea ad influire sul futuro della Provincia. Naturalmente non senza coinvolgere anche Belgrado e Pristina.
Resta la speranza che qualcosa si muova. In Assemblea entreranno anche alcuni deputati di ORA, il movimento fondato dal giornalista e proprietario di Koha Ditore, Veton Surroi. Forse saranno in grado di introdurre elementi nuovi nel dibattito politico kossovaro, anche forti del gran sostegno ricevuto soprattutto dai giovani. Ma qualcosa deve cambiare anche dal basso e ci si augura che l’opinione di Biserka, ragazza serba di Pristina, non rimanga totalmente isolata com’è attualmente. "A me non interessa se il Kosovo lo chiamano banana o kiwi – ha affermato in una recente intervista con OB – io voglio che i miei diritti di cittadina siano rispettati, voglio avere un lavoro, acqua e luce per 24 ore al giorno, un sistema sanitario che funzioni. Il Kosovo sarà nell’Unione Europea, e io dovrò competere in questo nuovo mercato del lavoro perché ho delle capacità, non perché sono una serba del Kosovo". Biserka è l’unica serba a Pristina che non si arrende all’idea di vivere rinchiusa e "protetta" dai militari internazionali. Quotidianamente si reca al lavoro a piedi, non ha paura ad andare nell’ufficio centrale della posta e vive considerando che Pristina sarà, anche in futuro, la sua città.
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