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Kossovo: passaporto UNMIK? Mission impossible

Per ottenere un documento da viaggio UNMIK la trafila è incredibilmente complicata e spesso termina con l’insuccesso. E per risalire all’identità dei richiedenti l’amministrazione internazionale esige documenti di identità emessi dalle autorità serbe.

21/11/2003, Alma Lama -

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Nexhat Latifi della municipalità di Fushe Kosovo, è una delle molte persone che da giorni sta aspettando il rilascio del documento da viaggio dell’UNMIK. "E’ una trafila incredibile, afferma, occorre senza dubbio avere una gran pazienza. La procedura è estremamente complicata, la cosa che crea più nervosismo è però che l’UNMIK, per verificare l’identità, richiede documenti serbi". Durante la guerra del 1999 in Kossovo, sono stati pochi gli albanesi in grado di conservare intatti i propri documenti d’identità. Le forze militari serbe avevano infatti avviato una distruzione sistematica di questi ultimi. Molti documenti inoltre bruciarono negli incendi delle case kossovare.

"E’ il sesto giorno che vengo qui in comune" racconta Nexhati obbligato anche a recarsi nell’enclave serba di Gracanica per richiedere un certificato di nascita. Occorrono mesi per ottenere questo fatidico documento di viaggio che poi non è nemmeno valido per tutti i Paesi. Ad ora sono solo trenta i Paesi che hanno riconosciuto la validità dei documenti emessi dall’UNMIK.
Il 9 giugno di quest’anno una decisione dell’UNMIK ha ulteriormente complicato l’iter di ottenimento del documento di viaggio o passaporto.
"Negli ultimi tempi sono stati confiscati un numero sempre maggiore di documenti falsi od ottenuti in maniera illegale" si riporta in un documento ufficiale UNMIK rivolto alla cittadinanza "per questo motivo si è reso necessario ricorre a documenti jugoslavi per identificare i cittadini del Kossovo". Decisione, quest’ultima, presa e sottoscritta da Francesco Bastagli vice dell’amministratore del Kossovo Harry Holkeri.
Il Ministero dei servizi pubblici del Kossovo aveva immediatamente protestato contro questa decisione UNMIK, considerata ingiusta e dannosa. UNMIK aveva risposto con un documento interno, rivolto al Ministero, dove veniva affermato che "si stanno raccogliendo i dati di 560.000 cittadini kossovari. Durante queste ricerche 55 documenti sono risultati falsi. Non sono comunque ancora dati definitivi".
Bilal Sherifi, consigliere del Ministero per i servizi pubblici, ha affermato che "la cifra di documenti falsi scoperti è irrilevante e certamente non motivo per adottare procedure che discriminano i cittadini kossovari. In tutti i Balcani si possono trovare documenti falsi ed il numero di questi ultimi dovrebbe essere altissimo prima che UNMIK sia obbligata ad adottare misure quali quelle adottate di recente".
Un altro argomento sollevato dai rappresentanti internazionali è che nel 2000, quando per la prima volta si è iniziato a distribuire documenti UNMIK ai cittadini del Kossovo, sono stati fatti tanti errori nella trascrizione dei nomi e cognomi. Questo è senza dubbio vero. Ma c’è anche chi, come Mustafw Koxha, di sessant’anni, ricorda come il suo nome fosse stato registrato in maniera scorretta già dalle autorità di Belgrado. Lui aveva taciuto per paura. Al momento della registrazione UNMIK è ritornato al suo vero nome, abbandonando quell’Koxhiq che gli era stato attribuito, "serbizzando" il suo cognome. Per questa ragione ora Mustafw ha problemi ad ottenere un passaporto UNMIK.
"L’UNMIK non aveva richiesto ai cittadini kossovari di mantenere i loro vecchi documenti. Ora non ha alcun diritto, dopo cinque anni, di richiedere quei documenti" afferma sempre Sherifi. "Il paradosso è che si spingono i cittadini kossovari a recarsi presso le istituzioni parallele serbe, ritenute da molti dei politici albanesi come uno dei maggiori ostacoli alla convivenza ed all’integrazione in Kossovo". Sherifi definisce quanto fatto sino ad ora da UNMIK in questo campo come "diabolico".
"Non è possibile procedere negando da una parte ai cittadini kossovari un proprio diritto umano e, d’altro canto riconoscendo di fatto sul Kossovo l’autorità di Belgrado", conclude Sherifi.
In una lettera aperta all’UNMIK, Jakup Krasniqi, Ministro per i servizi pubblici, accusa uno dei funzionari dell’amministrazione internazionale, Leonid Bidni, ucraino, di essere il responsabile della situazione attuale e di aver di fatto reso l’ottenimento di un passaporto una ‘mission impossibile’.
Isabella Kalovitz, portavoce UNMIK, ha dichiarato all’ANSA che "gli uffici nelle enclaves non sono illegali e noi abbiamo permesso che lavorino perché abbiamo bisogno di raccogliere dati certi sui cittadini del Kossovo". La Kalovitz ha però negato che i cittadini kossovari debbano, per recuperare i documenti jugoslavi, recarsi presso questi uffici paralleli. "Hanno altre alternative", ha affermato.
Ma il consigliere politico principale dell’Assemblea kossovara, Ramush Tapiri, afferma: "Non è altro che una legalizzazione di un potere parallelo da parte dell’UNMIK".
UNMIK continua comunque ad affermare il proprio operato nel combattere la creazione di ogni istituzione parallela in Kossovo.
Attualmente circa un terzo del territorio kossovaro è rappresentato da enclaves serbe sostenute e finanziate direttamente dalla Serbia. Questo rappresenta a detta dei rappresentanti kossovari una forte barriera allo sviluppo del Paese, già prostrato da una sorta di vacuum istituzionale e da una guerra che ha causato grande distruzione. Istituzioni parallele operano inoltre anche in alcune città della Serbia stessa. Ad esempio il tribunale parallelo di stanza a Nis.
In un rapporto OSCE, reso pubblico a metà del mese d’ottobre, si riporta che "le strutture parallele sono una questione politica. Il governo di Belgrado le continua a finanziare e ad esercitare il controllo su queste ultime".
Ma quando si chiede a Carsten Weber, direttore della sezione dell’OSCE che si occupa di legislazione e diritti umani, perché la comunità internazionale non chiuda con la forza queste istituzioni quest’ultimo risponde che "occorre aspettare che UNMIK accresca il proprio potere nelle enclaves, e che questo processo avvenga senza l’uso della forza".
"Vi è senza dubbio il tentativo da parte della Serbia di estendere la proprio giurisdizione anche sul Kossovo" risponde Tahiri. Ma UNMIK ribadisce attraverso un suo rappresentante durante una conferenza stampa che UNMIK è l’unica istituzione ad avere giurisdizione su tutto il territorio kossovaro.
"Perché dovrebbe essere ritenuta attendibile e valida in Kossovo una carta d’identità emessa in una qualsiasi città della Serbia, sulla quale UNMIK non ha alcun potere ed alcun controllo?", si chiede ancora Sherifi.
Esiste un altro motivo per il quale molti cittadini kossovari hanno iniziato a recarsi nell’enclave di Fushe Kosovo (Kosovo Polje) per ottenere un passaporto serbo. Non solo perché non hanno abbastanza tempo per aspettare ma anche perché il passaporto UNMIK non è riconosciuto da molti Paesi, e questo limita di molto la libertà di movimento. Molte emigranti che si recano in Europa occidentale desiderano farlo con la propria auto perché l’aereo costa loro troppo. E si trovano molte vie sbarrate, a partire propria dalla Serbia Montenegro. E poi il "documento di viaggio" UNMIK ha una validità di soli due anni.
L’UNMIK certo non ostacola il fatto che molti cittadini kossovari richiedano il passaporto serbo, lo ritengono legale anche se molti cittadini albanesi interpretano la risoluzione 1244 in altro modo. Secondo questi ultimi solo all’UNMIK spetterebbe rilasciare documenti ufficiali validi sul territorio kossovaro.
"Se UNMIK ritiene legali i passaporti di Serbia e Montenegro in Kossovo questo corrisponde in modo implicito che l’amministrazione internazionale nega se stessa, afferma Tapiri, mi chiedo allora perché in passato si sia deciso di emanare documenti con un logo UNMIK e non mantenere quelli jugoslavi".
Il dibattito continua e non è difficile comprendere come la risoluzione 1244 in Kossovo venga percepita sempre più come un vero e proprio tallone d’Achille per lo sviluppo del Paese.

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