Kosovo: vince il Pdk di Thaci
Sabato si è votato in Kosovo. Secondo i dati ufficiosi ha vinto il Pdk di Hashim Thaci. Crollo dell’Ldk, orfano di Rugova, che aveva vinto tutte le elezioni dal dopoguerra. Molto bassa l’affluenza alle urne e la comunità serba boicotta in massa i seggi. La cronaca del nostro inviato
Bassa affluenza alle urne, netta vittoria del Pdk di Hashim Thaci, ora il naturale candidato alla poltrona di premier nel prossimo esecutivo, altrettanto netta sconfitta per la Ldk dello scomparso Ibrahim Rugova, in piena crisi dopo spaccature e mancanza di una forte leadership, e quasi totale boicottaggio delle urne da parte della comunità serba, che ha raccolto l’invito di Belgrado a non supportare in nessun modo il processo elettorale.
Sono questi i dati più significativi della tornata elettorale del 17 novembre, alla luce dei risultati ufficiosi prodotti dalla coalizione di ong "Democrazia in Azione", responsabile del monitoraggio delle operazioni di voto. Per aspettare i dati definitivi della Commissione Elettorale Centrale, bisognerà però aspettare fino al 4 dicembre.
Il grande vincitore sembra quindi essere il Pdk di Hashim Thaci, che ha raccolto il 35% dei voti alle politiche, assicurandosi una larga maggioranza relativa nell’Assemblea Parlamentare di Pristina, e candidandosi così ad essere il pilastro attorno al quale dovrà essere formato il nuovo esecutivo.
Il partito di Thaci è risultato vincitore anche nelle elezioni amministrative, rafforzando la propria posizione con la conquista delle principali municipalità della regione.
"Sarò il primo ministro di tutti i cittadini del Kosovo", ha dichiarato Thaci, nell’atmosfera euforica del dopo voto. "Mi congratulo coi cittadini per la grande vittoria ottenuta oggi dalla democrazia, per il nostro futuro nella grande famiglia europea e all’interno delle strutture euro-atlantiche, grazie ad un forte ed eccellente rapporto con gli Stati Uniti".
La vittoria del Pdk, che ha aumentato sensibilmente la propria base elettorale (aveva il 29% nel 2004), sembra essere innanzitutto il frutto dello scontento dell’elettorato verso una classe politica percepita come corrotta e disinteressata verso i problemi quotidiani della gente, e dalla voglia di dare una possibilità ad un partito che, nonostante la propria larga base elettorale, è rimasto sempre all’opposizione.
Altrettanto determinante, per delineare il nuovo panorama politico, è stata la storica sconfitta della Ldk del presidente Fatmir Sejdiu che, raccogliendo un magro 22%, ha perso più di metà dei propri elettori insieme alla propria tradizionale posizione egemone all’interno dello spettro politico kosovaro. La scomparsa di Rugova e la serrata lotta per raccoglierne l’eredità politica, che ha portato tra l’altro alla fuoriuscita di Nexhat Daci, ex presidente del parlamento, che con il suo nuovo partito Ldd ha ottenuto un buon 10%, sembrano aver definitivamente messo alle corde un partito che, sempre vincitore dalla fine del conflitto del ’99, paga gli scarsi risultati del proprio governo nel migliorare lo standard di vita e nel dare una risposta ai bisogni di sviluppo e occupazione in Kosovo, che nonostante gli ingenti aiuti internazionali profusi in questi anni, resta una delle regioni più povere d’Europa.
Superano la soglia di sbarramento (5%) ed entrano in parlamento , oltre al già citato Ldd, anche l’Akr del chiacchierato businessman svizzero-kosovaro Behgjet Pacolli che, con il 12% alle parlamentari e la vittoria in numerose municipalità, si ritaglia uno spazio politico significativo, e l’Aak di Ramush Haradinaj, autorizzato a prendere parte alla campagna elettorale nonostante sia attualmente indagato per crimini di guerra al tribunale dell’Aja, che è riuscito ad aumentare leggermente il proprio elettorato arrivando al 10%.
La sorpresa negativa è invece arrivata sicuramente dal partito riformista "Ora", di Veton Surroj, che con meno del 4% sembra ormai tagliato fuori dai giochi. Difficile dire perché il partito, tradizionalmente forte nelle aree urbane, non sia riuscito a mobilitare i propri sostenitori, anche perché tutti i sondaggi sembravano delineare un buon risultato.
A determinarne la sconfitta potrebbe aver contribuito in modo decisivo la bassa affluenza alle urne, attestata attorno al 40-45%. E’ questo un dato fondamentale per la lettura di queste elezioni, che conferma il trend negativo che, a partire dal 79% delle elezioni del 2000 (ma allora non erano registrati a votare né i serbi né gli elettori della diaspora) e passando per il 53% delle consultazioni del 2004, delinea chiaramente la stanchezza verso le istituzioni e il generale sentimento di sfiducia verso la classe politica.
Il rappresentante dell’Unmik in Kosovo, Joachim Rücker, ha definito il processo elettorale come "un successo", spiegando, almeno in parte, la bassa affluenza con le cattive condizioni atmosferiche. Diversa invece l’interpretazione dell’europarlamentare e osservatrice tedesca Doris Pack, presidente della Delegazione del Parlamento europeo nell’Europa Sud-orientale, che ha espresso molta preoccupazione. "La bassa affluenza" ha dichiarato la Pack, "mostra lo scontento dei cittadini del Kosovo verso i propri politici, visti come soggetti corrotti, e questa situazione spinge la gente a non prendere parte alla vita politica".
Il basso numero di elettori recatisi alle urne è stato poi senza dubbio enfatizzato dal quasi totale boicottaggio intrapreso dalla comunità serba che, invitata da Belgrado, non ha voluto dare credibilità ad un processo elettorale visto come un ulteriore passo verso la possibile indipendenza della regione, a poche settimane dal termine del nuovo e finora infruttuoso round di negoziati sullo status finale del Kosovo, mediato dalla cosiddetta "troika" Usa-Ue-Russia, previsto per il prossimo 10 dicembre.
A nord di Mitrovica solo cinque elettori hanno esercitato il proprio diritto al voto, a Gracanica l’affluenza sembra non aver superato il 3%, mentre a Strpce i seggi sono stati smontati prima del tempo, visto che nessuno si è presentato alle urne.
Poche le voci di dissenso all’interno della comunità serba, come quella di Oliver Ivanovic, che pur non avendo presentato il proprio SLKM ha definito un errore l’invito al boicottaggio pervenuto da Belgrado. La determinazione e la compattezza del "fronte del boicottaggio", nonostante i dubbi della vigilia, mostrano il diffuso sentimento di estraneità dei serbi alle istituzioni create a Pristina, e confermano la situazione di sostanziale muro contro muro. Al momento, nessuno, all’interno dell’Unmik, ha previsto cosa fare nelle municipalità in cui, a causa del boicottaggio, non sono stati eletti né sindaci né consigli comunali
Nell’attesa dei risultati definitivi, si sono già aperti i giochi sulla formazione del nuovo governo. Lo stesso Rücker, che ha incontrato Thaci nella serata del 19 novembre, ha invitato i partiti a rapide consultazioni politiche.
L’ipotesi che circola come la più probabile sulle prime pagine dei quotidiani di stamattina è quella di una "grande coalizione nazionale" tra gli storici avversari del Pdk e della Ldk, per garantire una solida maggioranza in vista delle scadenze negoziali sullo status. Il Pdk, però, ha tenuto a precisare di tenere aperte le porte ad ogni tipo di soluzione, compreso un accordo con gli altri partiti dello spettro parlamentare, con l’esclusione dell’Aak.
Soprattutto Pacolli sembra essere deciso a ritagliarsi uno spazio all’interno del prossimo esecutivo, anche per poter dimostrare di essere in grado di realizzare le roboanti promesse di sviluppo economico fatte in campagna elettorale. Secondo alcune fonti, però, a frapporsi tra Pacolli, che deve buona parte della sua fortuna agli affari fatti in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche con la sua "Mabetex", compagnia specializzata in grandi progetti edilizi, e il suo sogno di partecipazione al governo, ci sarebbe il suo essere percepito come troppo poco "fedele" ed "affidabile" dagli uffici diplomatici occidentali, che preferirebbero invece apertamente la "grande coalizione" del binomio Thaci-Sejdiu, che vantano rapporti consolidati soprattutto oltre Altlantico.
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