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Kosovo: un serbo dice sì ad Haradinaj

E’ stato eletto nell’Assemblea del Kosovo, nonostante il boicottaggio delle elezioni della maggior parte degli elettori serbi. Ora ha accettato l’incarico di Ministro per il ritorno e le minoranze. Si chiama Slavisa Petkovic, nuovo arrivato sulla scena politica Kosovara. I serbi lo attaccano, il governo di Haradinaj loda la sua disponibilità a collaborare. Una vicenda esemplare della schizofrenia istituzionale del Kosovo.

04/02/2005, Biserka Ivanović -

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Ramush Haradinaj, Primo ministro del Kosovo, ha nominato Slavisa Petkovic quale Ministro per i ritorni e le minoranze. L’accettazione di quest’ultimo dell’incarico ha stimolato il dibattito pubblico kosovaro delle ultime settimane.

Slavisa Petkovic è un nuovo arrivato sulla scena politica del Kosovo. A capo di una lista "d’iniziativa civica" è stato tra i pochi candidati della comunità serba alle elezioni politiche dello scorso ottobre. Il suo passato non è chiaro anche se Petkovic smentisce categoricamente di aver fatto parte dei "guardiani del ponte" di Mitrovica. Petkovic è anche conosciuto come Presidente dell’associazione "Grande Serbia" con sede a Nis, che si batte per la difesa dei diritti degki sfollati e del ritorno dei serbi in Kosovo.

La sua nomina è stata commentata da alcuni come un passo positivo verso una maggior collaborazione tra il Governo ed i serbi del Kosovo mentre da altri la sua entrata nel Governo del Kosovo è stata interpretata quale un passo falso, un riconoscimento di un governo con a capo un "criminale di guerra". Haradinaj potrebbe infatti presto finire tra gli indagati del Tribunale dell’Aja per le attività svolte quale comandante dell’UCK nella guerra del 1999.

"Ho accettato l’offerta del Premier Haradinaj di guidare il Ministero per i ritorni e per le minoranze, ora occorre solo aspettare il voto di fiducia dell’Assemblea del Kosovo", ha dichiarato Petkovic ai media. Il 26 gennaio l’Assemblea si è espressa positivamente sul suo nome.

Reazioni molto negative all’accettazione dell’incarico sono arrivate da molti leader dei serbi del Kosovo. Tra questi Momcilo Trajkovic, a capo del "Movimento di resistenza serba": "Non sono stupito della sua decisione visto che aveva deciso di partecipare alle elezioni e non ci ha mai resi partecipi delle sue future decisioni". Il quotidiano Lajm ha invece riportato le dichiarazioni di Oliver Ivanovic, a capo della "Lista serba per il Kosovo" – uno dei pochi movimenti politici della comunità serba presentatisi alle recenti elezioni – secondo il quale Petkovic con questa decisione avrebbe deciso di divenire "lealista". Tutt’altro atteggiamento emerge dal comunicato stampa del governo kosovaro che dava notizia dell’accettazione dell’incarico da parte di Petkovic: "Le porte sono aperte affinché anche altri rappresentanti serbi decidano di partecipare ai lavori del governo del Kosovo".

I media serbi hanno dato ampio spazio alle critiche nei confronti della decisione di Petkovic. Tra i più duri Milan Ivanovic, del Consiglio nazionale serbo, secondo il quale "la decisione di Petkovic non fa che dare la possibilità alla maggioranza albanese di dichiarare che le istituzioni del Kosovo sono multietniche". Marko Jaksic, presidente della "Comunità delle muncipalità serbe del Kosovo e Metohija", tra coloro i quali hanno fortemente appoggiato il boicottaggio delle elezioni, minimizza il ruolo che avrà Petkovic: "Non sono sorpreso dalla sua decisione. Certo è che il suo operato non avrà grande impatto sul futuro dei serbi del Kosovo".

Petkovic inizia il suo mandato non certo in condizioni facili. L’immagine che ne hanno dato i media serbi non è certo positiva. Inoltre molti sfollati sono convinti del fatto che non vi siano le condizioni per un loro ritorno in Kosovo. Anche se in molti, seppur pessimisti, non hanno rinunciato ancora all’idea. Ma il Kosovo che hanno in mente è un Kosovo del passato mentre in quello di oggi solo un serbo, Petkovic, ha deciso di partecipare alla vita pubblica ed istituzionale.

Il neo Ministro per i ritorni sembrava però pronto a dover ribattere a molte critiche. "Non presto attenzione a questi attacchi" ha chiarito ai microfoni dei media "dopo 5 anni e mezzo dalla fine della guerra si è capito che non vi è alcuna istituzione della quale fanno parte attualmente i serbi del Kosovo che riesca a migliorare la loro situazione". Al quotidiano Politika, uno dei più letti in Serbia, ha tenuto a precisare che c’era da aspettarsi una sua decisione in tale direzione. "Se abbiamo partecipato alle elezioni non vedo perché non partecipare poi alle istituzioni".

All’obiezione che molti gli muovono di collaborare con un Primo ministro sospettato di crimini di guerra Petkovic risponde con fermezza. "Per me non è importante chi sia Primo ministro dato che è la stessa struttura costituzionale a prevedere che il Ministero dell’agricoltura e quello per le minoranze è riservato ai serbi del Kosovo. E le vicende che riguardano il Primo ministro non dovrebbero avere impatto sulla comunità serba del Kosovo".

L’obiettivo dichiarato da Petkovic è quello di lavorare per il rientro dei più di 250.000 sfollati serbi in un contesto di "sicurezza personale e sicurezza economica".

Tra le sue promesse anche quella di aprire in Serbia 20 uffici che si occupino di sostenere il rientro in Kosovo degli sfollati. Per garantire poi la sicurezza Petkovic ha annunciato che lavorerà in stretta relazione con UNMIK e KFOR.

Lo stesso Petkovic, con la propria famiglia, è uno sfollato rientrato a Ferizaj/Urosevac, Kosovo centrale.

Negli ultimi 5 anni non molti sfollati hanno fatto rientro in Kosovo. E, per quelli che sono rientrati (soprattutto nelle prime località individuate come aree di ritorno) non si può certo dire vivano una vita degna di tal nome. Lo scoppio della violenza lo scorso marzo e la distruzione e saccheggio delle case in molte località popolate da rientranti è stata per molti un’esperienza tragica ed amara.

Lo riconosce lo stesso Ombudsman per il Kosovo, il polacco Antoni Nowicki. In un discorso rivolto all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a Strasburgo, parlando della situazione del Kosovo ha ricordato come "particolarmente difficili sono le condizioni delle minoranze – anche se non solo le loro – in particolare per serbi e rom. Come tutti sappiamo il 2005 è l’anno degli standard. Occorre fare in modo che questi ultimi non siano un esercizio formale ma divengano realtà".

I prossimi mesi saranno mesi intensi. Non solo per il neo-ministro ma, se si vogliono fare passi avanti nel rispetto dei diritti umani e degli standard, per tutti i kosovari.

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