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Kosovo, tornano a parlare le armi

Quello accaduto ieri, domenica 24 settembre,  è sicuramente  il più grave incidente armato in Kosovo degli ultimi anni. Un gruppo di una trentina di persone ha scambiato colpi di arma da fuoco con la polizia kosovara. Un poliziotto e tre “terroristi” sono morti, altri feriti ed arrestati

25/09/2023, Francesco Martino -

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Un poliziotto kosovaro morto ed altri due feriti, tre “terroristi” uccisi e sei catturati, di cui due feriti, di un gruppo di fuoco che avrebbe contato almeno una trentina di elementi. Questo, secondo le parole del ministro degli Interni di Pristina Xhelal Sveçla il bilancio degli scontri armati di ieri intorno al monastero di Banjska, nel Kosovo settentrionale. Un episodio dai contorni ancora tutti da definire e che, in un vortice di accuse reciproche tra il premier kosovaro Albin Kurti e il presidente serbo Aleksandar Vučić, rischia di riaprire scenari di crisi violenta nella regione.

Secondo l’attenta ricostruzione del portale KoSSev , tutto è cominciato in piena notte, intorno alle 2:30 di domenica, quando pattuglie delle polizia kosovara hanno notato che sul ponte d’ingresso a Banjska erano stati parcheggiati due camion senza targa per bloccare l’accesso al villaggio. Avvicinatisi alla barricata improvvisata, i poliziotti sono stati attaccati a colpi d’arma da fuoco, bombe a mano e granate anticarro. È in questa prima fase che uno dei poliziotti è rimasto colpito a morte e altri due sono stati feriti.

Con l’arrivo dei rinforzi delle forze dell’ordine kosovare il gruppo armato – i cui componenti portavano divise militari – si è barricato all’interno del monastero medievale di Banjska, dove insieme ai monaci del convento si trovava anche un gruppo di turisti serbi provenienti da Novi Sad. Mentre le notizie sugli eventi di Banjska iniziavano a circolare sulla rete, il conflitto a fuoco andava avanti, ed è durato per buona parte della giornata. Quando le armi hanno taciuto, tre dei membri del gruppo di fuoco erano stati uccisi, e due feriti e catturati. Nelle ore successive, quattro altre persone, accusate di aver partecipato all’attacco, sono state arrestate ad un posto di blocco nel villaggio di Rudare, a circa dieci chilometri da Banjska.

In un lancio di questa mattina, l’agenzia Beta ha poi confermato la notizia che almeno due uomini sono stati ricoverati ieri all’ospedale di Novi Pazar – non lontano dal confine con il Kosovo – con ferite di arma da fuoco. Secondo l’agenzia i due “parlano serbo”, ma avrebbero declinato di fornire le proprie generalità e di spiegare come e dove sono rimasti feriti. I due sarebbero stati operati mentre l’ospedale veniva presidiato dalle forze di polizia serbe.

Nelle prime ore di oggi la procura speciale del Kosovo ha informato che i sei membri del gruppo armato catturati – di cui le generalità non sono ancora state ufficialmente diffuse – sono in stato d’arresto, accusati di “attentato all’ordine costituzionale del Kosovo, terrorismo, possesso illegale di armi da fuoco”. Il governo di Pristina ha poi dichiarato una giornata di lutto nazionale in onore di Afrim Bunjaku, il poliziotto morto ieri a Banjska.

Se la verità giudiziale deve essere ancora ricostruita, lo scontro politico è iniziato violentissimo già durante la vera e propria battaglia che ha sconvolto ieri il villaggio di Banjska e il suo monastero. Reagendo a caldo, la presidente kosovara Vjosa Osmani ha parlato di “violenza orchestrata da gruppi criminali serbi” e di un vero e proprio attacco alla sovranità kosovara.

Il primo ministro Albin Kurti le ha fatto presto eco. Mentre continuava l’assedio al monastero di Banjska, Kurti ha descritto il gruppo di fuoco come “membri di una formazione militare professionale”, per poi accusare direttamente di terrorismo “truppe sostenute dallo stato serbo”.

Sempre secondo Kurti, l’operazione di polizia di ieri ha rivelato la vastità del tentativo di destabilizzare il Kosovo del nord, visto che durante l’azione sarebbero state sequestrate “centinaia di armi e grandi quantità di munizioni, tra cui armamento pesante d’attacco come mitragliatrici e granate”.

Secondo il ministro degli Interni del Kosovo Xhelal Sveçla alcuni dei membri del gruppo armato sarebbero stati identificati come appartenenti alla “Civilna zaštita”, la protezione civile attiva nel Kosovo del nord dal 2005 al 2015, prima di essere ufficialmente smantellata nell’ambito del dialogo sulla normalizzazione dei rapporti tra Pristina e Belgrado.

Secondo le autorità kosovare, la “Civilna zaštita”, che sarebbe arrivata a contare circa 750 membri, avrebbe in realtà un carattere paramilitare, e nonostante lo scioglimento ufficiale sarebbe in realtà rimasta attiva, tanto che Pristina ha a lungo minacciato di includere l’organizzazione tra quelle che considera “terroriste”.

La risposta del presidente serbo Aleksandar Vučić è arrivata nella  serata di ieri, durante una conferenza stampa dedicata ai fatti di Banjska. “L’unico responsabile per quanto sta accadendo è Kurti, con l’aiuto della comunità internazionale”, ha dichiarato Vučić, secondo cui la leadership kosovara vorrebbe portare la Serbia ad un nuovo conflitto con la Nato.

Pur condannando l’uccisione del poliziotto kosovaro, per Vučić lo scontro a fuoco rappresenta la naturale reazione dei serbi del nord del Kosovo “che si sono ribellati, non sopportando più il terrore imposto da Kurti”.

Stavolta, anche il prevedibile intervento di condanna da parte delle autorità internazionali, e più nello specifico da parte dell’Unione europea, ha provocato un ulteriore strascico di polemiche. Le dichiarazioni dell’Alto rappresentante UE per la politica estera Josep Borrell, che ha definito l’episodio di Banjska “un attacco orribile”, per poi augurare che i responsabili vengano portati davanti alla giustizia è stato criticato apertamente dalla ministra degli Esteri kosovara Donika Gervalla-Schwarz.

Secondo la Gervalla-Schwarz le dichiarazioni di Borrell non contengono il necessario sostegno all’azione della polizia kosovara, mentre l’attacco a Banjska non viene definito apertamente dall’Alto rappresentante come un atto di terrorismo.

Le conseguenze politiche dello scontro di ieri, avvenuto in una situazione di generale e crescente tensione, riesplosa nel Kosovo del nord dopo le contestate elezioni amministrative dello scorso maggio, boicottate dalla popolazione serba e divenute il terreno politico per una resa dei conti sullo status della regione, saranno sicuramente pesanti.

Il processo negoziale tra le parti è da lungo tempo al palo, e anche l’ultimo tentativo di riaprire i negoziati, con l’incontro a Bruxelles tra Kurti e Vučić dello scorso 14 settembre sotto l’ombrello dell’UE è finito in un ennesimo e amaro nulla di fatto, con l’UE sempre più fredda nei confronti di Kurti, accusato apertamente di sabotare la creazione dell’Associazione delle municipalità serbe, organo previsto dagli accordi di Bruxelles del 2013 come strumento di autogoverno della minoranza serba in Kosovo.

Ora, sullo sfondo della guerra politica e diplomatica che si trascina da anni tra Pristina e Belgrado, e resa ancora più acuta dal generale clima di insicurezza calato sull’Europa con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si inserisce – improvviso ma non inaspettato – il più grave incidente armato in Kosovo degli ultimi anni. Una situazione descritta da molti media balcanici come una “potenziale scintilla” in grado di riaccendere scenari che, nella regione, sembravano ormai parte del passato.

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