Kosovo, tiro alla fune coi confini
La comunità internazionale si aspetta che venga avviato al più presto, pena il rischio di ripercussioni sulla partenza dei negoziati sullo status della Provincia. Si tratta del processo di decentramento, arenato però su questioni legate ai confini delle cosiddette ‘municipalità pilota’
Nelle ultime due settimane in Kosovo non si parla d’altro: decentramento. Un tema chiave soprattutto in vista della consegna del rapporto da parte di Kai Aide – inviato di Kofi Annan – sul rispetto di una serie di standard posti dalla comunità internazionale prima dell’avvio dei negoziati sullo status giuridico finale del Kosovo.
Nonostante proprio sulla questione del decentramento amministrativo si stia giocando una grossa partita per la Provincia il governo kosovaro non sembra particolarmente attivo. Ancora meno lo è il Ministro per i poteri locali, creato appositamente per guidare il processo di decentramento amministrativo.
Alla fine di luglio l’amministrazione ONU ed i rappresentanti del Gruppo di contatto avevano sottolineato la loro delusione in merito alle lentezza con cui il governo procedeva sul tema della decentralizzazione. In particolare sottolineavano la mancata partenza dei cosiddetti "progetti pilota" ed avevano anticipato che questo avrebbe potuto influire pesantemente anche sulla stessa valutazione degli standard.
Fonti interne al governo del Kosovo, che formalmente dichiarava di procedere alacremente con l’implementazione della decentralizzazione, hanno affermato che in realtà un problema c’era. E questo stava bloccando l’intero processo: le definizione dei confini delle nuove municipalità pilota. Dal canto suo anche la comunità serba è particolarmente sensibile alla questione dei confini delle municipalità .
Nei giorni scorsi il governo del Kosovo ha presentato il cosiddetto "piano A" sul decentramento. Anticipando che era già pronto un piano B, nel caso la comunità serba non avesse accettato il primo, cosa che poi si è puntualmente verificata. Ma i rappresentanti della comunità serba hanno espresso forti perplessità anche sulla seconda proposta del governo kosovaro.
Per come si è messa la situazione è improbabile che la comunità serba accetti qualsiasi di queste "variazioni sul tema" in merito al decentramento e vi sono molte ragioni alla base di questa scelta.
Innanzitutto la comunità serba non ha potuto dire molto durante i negoziati sul decentramento ed è in parte è responsabilità degli stessi leader serbi perché hanno deciso di seguire le istruzioni di Belgrado a non partecipare ai lavori del governo del Kosovo e quindi non hanno preso parte ai gruppi di lavoro sul decentramento anche se – a detta di molti serbi del Kosovo – la loro partecipazione non avrebbe influito granché vista la piega a loro sfavore che i lavori sul decentramento hanno preso sin dall’inizio.
Senza la partecipazione serba ai gruppi di lavoro i politici kosovari albanesi hanno optato per non riconoscere e legittimare del tutto l’esistenza delle enclaves serbe (alcuni partiti dell’opposizione, come ORA, guidata da Veton Surroi, avevano indicato fin dall’inizio che sarebbe avvenuto questo) ma piuttosto di disegnare nuovi confini delle municipalità in modo da renderle multietniche, prerequisito che ritenevano fondamentale nel processo di decentramento.
Coerentemente a questo approccio i politici kosovaro-albanesi hanno scelto di fare in modo che nella nuova "Municipalità pilota" di Gracanica la comunità serba non avesse una maggioranza schiacciante ed hanno quindi annunciato che il villaggio di Hajvali, attualmente abitato da circa 5000 albanesi, sarebbe dovuto entrare a far parte della municipalità di Gracanica.
Significativa la reazione del sindaco del villaggio di Hajvali, per molti versi paradossale. "Nessuno ne era stato informato, lo abbiamo saputo attraverso i media", le sue dichiarazioni a caldo. In un secondo momento ha però aggiunto che "dobbiamo unirci a Gracanica in modo che quest’ultima non divenga una enclave serba". Allo stesso tempo i partiti kosovaro-albanesi all’opposizione, PDK e ORA, hanno continuato ad opporsi al progetto di decentramento definendolo una "enclavizzazione" del Kosovo alla quale si arriva a causa delle pressioni di Belgrado.
Nel villaggio a maggioranza serba di Caglavica, tra Gracanica e Pristina, la notizia che, in seguito alla proposta di decentramento, si sarebbe entrati far parte della municipalità di Pristina è stata presa talmente male che i leader della comunità hanno annunciato che tutti gli abitanti, se così avvenisse, lascerebbero addirittura in blocco il Kosovo. Il piano di decentramento è stato definito senza mezzi termini come un "subdolo tentativo di pulizia etnica, una modalità per interrompere il legame cultuale, religioso e nazionale con le altre comunità serbe che abitano il Kosovo centrale". I serbi di Caglavica vogliono, anche in futuro, continuare a far parte della municipalità di Gracanica.
Momcilo Trajkovic, rappresentante del Movimento della resistenza serba, e cittadino di Caglavica, ha accusato Belgrado di "fare politica dalla platea". Con questo intendeva affermare che i politici di Belgrado si limitano a rilasciare dichiarazioni al fulmicotone senza però avere influenza sui rappresentanti della comunità internazionale e senza partecipare effettivamente ai processi per provare a trovare una soluzione al problema.
I rappresentanti di Caglavica hanno inviato lettere di protesta sia a Jessen Petersen, la più alta carica dell’amministrazione ONU in Kosovo, che a Kai Aide, inviato speciale di Kofi Annan a cui spetta valutare gli standard posti dalla comunità internazionale prima che si avvino i negoziati sullo status finale della Provincia tra Belgrado e Pristina, ed oltre a loro anche al Primo ministro serbo Kostunica, al Presidente serbo Tadic, all’ombudsman per il Kosovo Novicki.
Lettere nelle quali esprimono il loro disagio ed il forte senso di abbandono. Anche parlando con la gente comune emerge netta da parte loro la sensazione che senza forti pressioni sugli attori principali coinvolti nella vicenda il loro destino rischia di non essere certo dei più radiosi. "Desideriamo continuare a vivere nelle nostre case e sulle nostre terre" si sente dire per strada a Caglavica "ma che se il nostro villaggio entrerà a far parte della municipalità di Pristina temiamo questo non sarà più possibile".
"Il piano B di decentramento non è accettabile" ha dichiarato ad Osservatorio sui Balcani Oliver Ivanovic, leader della Lista serba per il Kosovo "incontrerò al più presto la gente di Gracanica e dei villaggi circostanti per raccogliere le loro preoccupazioni e riportarle ai rappresentanti politici". Nelle sue ultime dichiarazioni Ivanovic ha ammonito più volte Belgrado del pericolo insito nel non partecipare alla vita istituzionale del Kosovo – decisione presa alla vigilia delle ultime elezioni politiche tenutesi nella Provincia boicottate dalla grande maggioranza della comunità serba del Kosovo. "Senza una diretta partecipazione serba il processo di decentramento non andrà avanti".
Della stessa opinione sembra essere anche Soren Jessen Petersen che ha dichiarato che senza la partecipazione dei serbi del Kosovo il decentramento non può arrivare a compimento. Ha poi aggiunto che se Belgrado continua a rifiutarsi di partecipare ai lavori delle istituzioni del Kosovo non si potrà accusare Pristina di un eventuale fallimento della riforma degli enti locali in Kosovo.
Immediata la risposta del Presidente della Serbia Boris Tadic secondo il quale il cosiddetto "Piano B" di decentramento non recepisce alcuna puntualizzazione fatta dalla comunità serba sulla prima proposta della autorità kosovare. Tadic ha inoltre sottolineato come alla comunità serba non veniva garantita alcuna autonomia sostanziale nella sfera della cultura, dell’educazione, della sanità, della giustizia e della polizia, concludendo poi affermando che "sia Belgrado che i serbi del Kosovo restano convinti nell’appoggiare un processo di vero decentramento in Kosovo, ed anche l’UNMIK e gli albanesi del Kosovo, prima o poi, dovranno rendersene conto".
Anche se i membri del Gruppo di Contatto, espressione della comunità internazionale in Kosovo, hanno dato il loro avvallo al cosiddetto piano B affermando che rappresenta una buona opportunità per i serbi del Kosovo ora non possono far finta che non vi sia, da parte di questi ultimi, un forte disagio rispetto alla proposta del governo kosovaro.
Se il decentramento ed i progetti pilota non si dovessero avviare – come invece spera il governo kosovaro – i leader politici del Kosovo, dell’una e dell’altra comunità, avranno uno scoglio difficile da superare prima di sedersi ad un tavolo per discutere di altre questioni.
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