Kosovo: sfidare l’omofobia
“Challenging Homophobia” è il titolo del primo progetto europeo per la tutela e la promozione dei diritti delle persone LGBT in Kosovo. Nasce per sostenere una comunità LGBT in crescita, ma intimorita da episodi di violenza tollerati dalle istituzioni. Ne parliamo con Simon Maljevac dell’organizzazione Legebitra, promotore dell’iniziativa
Il 14 dicembre 2012 una ventina di uomini hanno fatto brutalmente irruzione all’interno della Sala Rossa dello Youth Palace “Boro i Ramizi”, luogo di ritrovo giovanile e sede di eventi culturali in pieno centro a Pristina, a due passi dal celebre monumento “New Born”.
La missione punitiva si è conclusa con la distruzione del palco e l’aggressione fisica ai danni di un giovane attivista, mentre le forze dell’ordine presenti sul posto per garantire la sicurezza sono rimaste immobili. Questa volta, le motivazioni della violenza non avevano carattere etnico o politico: si è trattato invece di un atto di intimidazione nei confronti della comunità LGBT del Kosovo.
Quella sera era in programma la presentazione al pubblico del quarto numero del magazine “Kosovo 2.0” (www.kosovotwopointzero.com/en ). Dopo aver già affrontato nei tre numeri precedenti temi tabù per l’opinione pubblica kosovara, come l’immagine del Kosovo post-indipendenza, la corruzione e la religione, lo staff di Kosovo 2.0 ha deciso di rincarare la dose intitolando “Sex” l’ultima edizione del magazine (scaricabile dal sito). All’interno della rivista, ampio spazio è stato dedicato alla descrizione delle condizioni di vita della comunità LGBT in Kosovo attraverso la viva voce dei suoi membri.
All’aggressione fisica è seguita una dimostrazione di protesta a cui hanno aderito un centinaio di manifestanti. Riunitisi all’esterno del palazzo essi hanno innalzato cori e urla del tipo “Via i pederasti!” e “Allah u akber!”. Visto il clima di violenza e di tensione, l’evento lancio della rivista è stato interrotto per decisione degli stessi organizzatori.
L’analisi di quanto è accaduto è tutta nelle parole di un comunicato emesso su Facebook da “Kosovo 2.0” il giorno successivo all’episodio: “I fatti di violenza della notte scorsa rivelano in modo inconfutabile il bisogno di un pensiero libero e critico (nel paese). Essi dimostrano, inoltre, quanto facilmente i diritti umani possano essere messi in pericolo dagli estremismi religiosi, dalle tifoserie organizzate e dalla ristrettezza mentale”.
Quello ai danni di Kosovo 2.0 non è di certo il primo atto di violenza ai danni di sostenitori e/o appartenenti alla comunità LGBT del Kosovo. A fine 2011, il personale di un bar dichiaratosi “gay-friendly” sul web (il “Pure Pure”) era stato oggetto di pesanti minacce via internet e di persona ad opera di un gruppo di tifosi organizzati della capitale. Il risultato?
Nel giro di pochi mesi il locale è stato rinnovato e ha cambiato completamente la sua immagine. Il cameriere “responsabile” dell’apertura alla comunità LGBT è stato costretto a trasferirsi all’estero per sfuggire alle minacce e agli insulti. Episodi simili sono stati registrati anche a danno della ong “Libertas”, la quale ha recentemente inaugurato a Pristina un “social-space” per la comunità LGBT.
Queste tristi azioni di intimidazione fotografano alla perfezione e racchiudono in sé, da un lato, tutto il coraggio di una piccola ed emergente comunità LGBT che tenta di far valere i propri diritti e, dall’altro, la reazione, spesso violenta e tollerata dalle istituzioni, di ampie frange omofobe presenti nella società kosovara.
Simon, quali sono le condizioni di vita dei membri della comunità LGBT in Kosovo?
Le persone che appartengono alla comunità LGBT nella quasi totalità dei casi preferiscono nascondere la loro identità di genere e le proprie preferenze sessuali. Evitano di parlare apertamente di questo tema e dei loro diritti. Hanno il fondato timore di poter essere discriminate e stigmatizzate e ne temono le conseguenze. L’ong Center for Social Group Development di Pristina, impegnata da anni nel supporto sanitario ai membri della comunità, sostiene che i comportamenti di una società tradizionalista come quella kosovara nei confronti dell’omosessualità intimidiscono la maggioranza dei gay e delle lesbiche portandoli a non rivelare a nessuno i propri orientamenti sessuali. Vivono pertanto in un clima di costante insicurezza e timore per la propria sorte. Ed è questo il motivo principale che spinge molti di loro a cercare asilo in altri paesi.
L’omofobia è ancora profondamente radicata nella società kosovara: i membri della comunità LGBT sono vittime di un’ampia discriminazione non solo nella sfera pubblica, ma anche e soprattutto a livello di famiglia di appartenenza, e condannati a rimanere invisibili. Questo è confermato dalla pressoché totale assenza, escludendo poche eccezioni a Pristina, di luoghi di ritrovo e incontro. Non vi sono bar né altri locali “LGBT-friendly”, ma solo rare attività o eventi privati organizzati dagli attivisti della comunità.
Se confrontata con quella di altri paesi della regione, la cornice legale del Kosovo è molto all’avanguardia in termini di riconoscimento dei diritti delle persone LGBT. Qual è il ruolo giocato dalle istituzioni locali nel combattere l’omofobia?
A dispetto di quanto sancito formalmente dalla Costituzione, è impossibile oggi per la comunità LGBT poter esercitare i propri diritti a causa di una diffusissima omofobia. La mancata applicazione da parte delle istituzioni delle norme in vigore che riconoscono i diritti delle persone LGBT rappresenta un aspetto cruciale delle difficoltà esistenti nel contrasto all’omofobia. Non vi sono molti casi di omofobia che vengono denunciati e trattati dalle autorità pubbliche. Questo non vuol dire però che gli episodi di omofobia siano rari, ma piuttosto che le persone LGBT non si fidino delle autorità e che, conseguentemente, siano portate a non denunciarli.
Credo che l’unico modo per ottenere il rispetto dei diritti delle persone LGBT e una reale implementazione della legislazione esistente sia quello di accrescere la consapevolezza e la conoscenza dei pubblici ufficiali. Molti funzionari di polizia e del sistema giudiziario hanno loro stessi pregiudizi e comportamenti omofobici. Questo impedisce loro di compiere il proprio dovere: molto spesso, infatti, essi si rifiutano di prendere sul serio segnalazioni di minacce provenienti dalla comunità LGBT o di perseguire chi ha commesso dei crimini a danno dei suoi membri. Tutto ciò fa sì che l’omofobia presente nella società venga rafforzata dall’incapacità delle istituzioni di tutelare i diritti della comunità LGBT. Le leggi esistenti in materia non trovano in sostanza una reale applicazione.
Il problema di fondo è che finora non vi è mai stata nel paese una vera e propria discussione pubblica sulla diversità sessuale: l’opinione pubblica non si è mai confrontata apertamente su questo argomento. D’altro canto, i media non danno copertura al tema dei diritti delle persone LGBT. Nella maggioranza dei casi, il loro interesse è limitato agli episodi violenti di omofobia come quello ai danni di “Kosovo 2.0”. Vi è un bisogno profondo di far conoscere ai non appartenenti alla comunità le condizioni di vita quotidiane delle persone LGBT e di educarli al rispetto dei loro diritti.
In che cosa consiste il vostro progetto e chi sono i vari attori in esso coinvolti?
L’obiettivo di fondo del nostro intervento ("Challenging homophobia – Building support systems for LGBT people in Kosovo") è quello di rafforzare la comunità LGBT del Kosovo attraverso uno scambio di buone prassi, esperienze e strumenti con la nostra organizzazione. Legebitra (www.drustvo-legebitra.si ) è impegnata da anni nello sforzo di inclusione sociale e nella tutela dei diritti delle persone LGBT in Slovenia e nel resto dei Balcani. Attraverso le nostre iniziative puntiamo a migliorare le condizioni di vita delle persone LGBT, ponendo particolare attenzione ai giovani.
Dai dati e dalle informazioni che abbiamo raccolto in fase di preparazione dell’intervento, è emerso che il livello di organizzazione della comunità LGBT del Kosovo è davvero basso. Grazie al contributo di validi attivisti vengono realizzate iniziative, ma manca un approccio sistematico alla lotta contro la discriminazione, gli stereotipi e i pregiudizi. Attraverso visite studio e attività di formazione, ricerca e sensibilizzazione intendiamo sostenere il percorso che la comunità LGBT del Kosovo ha intrapreso verso una sua maggiore strutturazione e presenza nella vita pubblica e politica del paese. A fine marzo pubblicheremo, ad esempio, il primo report sulle condizioni di vita della comunità LGBT in Kosovo.
La nostra strategia prevede anche il coinvolgimento e la sensibilizzazione delle istituzioni kosovare, come enti locali, forze di polizia, personale sanitario e insegnante. Il progetto è finanziato dall’Unione Europea. E’ promosso da Legebitra, ma vede anche la partecipazione, in veste di partner, di IRD Slovenia del Center for Peace and Tolerance.
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