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Kosovo-Serbia, nuovi problemi per Vučić

Il controllo della miniera di Trepča inasprisce di nuovo i rapporti tra Belgrado e Pristina e rischia di rallentare il processo di normalizzazione basato sull’Accordo di Bruxelles. Un’analisi

14/10/2016, Dragan Janjić - Belgrado

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Con l’adozione a Pristina di una legge con cui il Kosovo assume la proprietà della maggioranza delle azioni della Trepča, miniera di zinco e piombo che si trova nell’enclave serba del nord, si è arrivati ad un inasprimento dei rapporti tra Belgrado e Pristina. Il processo negoziale tra le due parti, condotto sulla base dell’Accordo di Bruxelles, ne risulterà molto probabilmente rallentato ma sono da escludere azioni che possano causare disordini nella regione.

La Trepča è il fondamento della sopravvivenza economica della comunità serba in Kosovo, e la Serbia ritiene di averne il diritto di proprietà perché per decenni ha investito nello sviluppo di quest’azienda e continua ininterrottamente a finanziarne le attività. Pristina invece, è impaziente di assumere il controllo di tutte le risorse sul territorio del Kosovo, motivo per cui sta ora cercando di accelerare il passo anche in campo economico.

La Trepča è stata fondata all’inizio del secolo scorso, nel 1927. Si è iniziato ad estrarre piombo e zinco nel 1929-1930. Fino al 1999 Trepča ha operato come unico complesso, sia di estrazione mineraria che di successiva lavorazione, di proprietà pubblica. Un tempo impiegava 20.000 lavoratori, oggi circa 2.000.

Il governo serbo ha reagito alla decisione di Pristina di assumere la proprietà di maggioranza di Trepča emettendo un atto che annulla tale decisione. Ciononostante da un punto di vista prettamente giuridico i margini d’azione di Belgrado restano limitati, dato che la Serbia non ha un’ingerenza diretta sull’operato del governo kosovaro e di fatto non può annullare una sua decisione.

Il versante serbo ha però la possibilità di impedire fisicamente l’ingresso del nuovo management che Pristina ha intenzione di piazzare nell’azienda situata in un’enclave a maggioranza serba. Il Kosovo può rispondere inviando le forze speciali per rendere effettiva l’assunzione della proprietà, ma tutto ciò scatenerebbe sicuri disordini.

In queste circostanze è giustificato ipotizzare che il problema Trepča resterà congelato per un po’ di tempo, durante il quale le due parti resteranno ognuno sulle proprie posizioni. Né Pristina né Belgrado desiderano rischiare una rapida e incontrollata escalation della situazione, perché ciò potrebbe inficiare le rispettive posizioni a Bruxelles e Washington.

Equilibri

Il premier serbo Aleksandar Vučić e il suo governo avrebbero ad esempio potuto compiere mosse più radicali che non una relativamente mansueta decisione di emanare un atto senza valore effettivo che annullasse la legge su Trepča approvata dal parlamento kosovaro. Una di queste mosse sarebbe potuta essere il ritiro dal processo negoziale con Pristina, ma questo non è accaduto perché il premier sa che sul versante internazionale non ha molti alleati che lo appoggerebbero e si troverebbe sotto le accese critiche di Bruxelles e Washington.

Ogni soluzione che conducesse alla radicalizzazione del conflitto è percepita dal governo serbo come potenzialmente molto rischiosa e di fatto comporterebbe un netto cambiamento dell’attuale strategia politica generale, basata sull’euro-integrazione. Il premier serbo lo ha ribadito durante una conferenza stampa tenuta l’11 ottobre scorso, dicendo espressamente che l’integrazione europea resta la meta della Serbia.

Vučić deve sempre tenere conto del fato che le relazioni con il Kosovo e la Bosnia Erzegovina sono il fondamento su cui si basano le sue solide posizioni a Bruxelles e Washington. Nel caso decidesse di cambiare corso, nella fattispecie di interrompere il processo di normalizzazione delle relazioni con il Kosovo, questo avrebbe ripercussioni sulla stabilità politica della Serbia e sulla posizione del suo Partito Progressista Serbo (SNS) nella scena politica locale.

Congelamento

Per questi motivi c’è da attendersi che Pristina continui con azioni calcolate per prendere il controllo di tutto il territorio del Kosovo. Il governo kosovaro conta infatti sul fatto che i più importanti paesi occidentali hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo e che, da questo punto di vista, non posso opporsi alle sue decisioni.

Per Belgrado invece resta molto difficile influire sull’introduzione di istituzioni kosovare nei settori principali della vita politica ed economica dei serbi residenti nelle enclave del Kosovo. Nella narrazione politica vi è infatti parecchio spazio di manovra ma poi nell’implementare nelle pratica le decisioni lo spazio si restringe. Perché si incontra la strenua resistenza dei serbi che in Kosovo ci abitano. E’ molto probabilmente la situazione più difficile in cui Vučić si sia trovato da quanto nel 2012 il suo Partito progressista serbo (SNS) ha preso il potere in Serbia: Vučić continua ad essere all’apice della popolarità e dispone di strumenti economici e di altro tipo per poter rimanere in sella, ma dalla messa in pratica dell’Accordo di Bruxelles è probabile ne esca più indebolito che rafforzato.

A Vučić non rimane che proseguire coi tentativi di convincere la maggioranza dei cittadini in Serbia che non vi è altra via d’uscita. Del resto i sondaggi sull’opinione pubblica in Serbia indicano ormai da anni che il Kosovo non è più una delle questioni centrali per l’elettorato serbo. La questione del Kosovo però, se adeguatamente sollecitata, può suscitare emozioni forti che possono essere sfruttate con successo da partiti e movimenti ultranazionalisti.

Il premier serbo, secondo questa lettura, deve quindi mantenere il controllo sull’opposizione nazionalista e impedire che salga l’insoddisfazione per via del “tradimento” sul Kosovo. Finora ci è riuscito, e quindi ci si aspetta che continui in questa direzione. Anche l’opposizione filoeuropea proverà a sfruttare la nuova situazione per indebolire la posizione di Vučić, ma non c’è da aspettarsi che partecipi a qualsivoglia piattaforma politica che abbia l’intento di costringere il governo e il premier a cambiare rotta rispetto agli accordi sottoscritti a Bruxelles sul Kosovo.

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