Kosovo/Serbia dopo il summit di Berlino
Con il summit di Berlino, tenutosi nella capitale tedesca alla fine di aprile, pare tramontata l’idea di uno scambio di territori tra Pristina e Belgrado. Restano in vigore i dazi sulle merci serbe e lo stallo dei negoziati
Dopo il vertice sui Balcani occidentali, tenutosi lo scorso 29 aprile a Berlino, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha più volte espresso pubblicamente la sua profonda insoddisfazione per il fatto che la sua proposta di una demarcazione territoriale tra Serbia e Kosovo non è stata accettata, rafforzando così l’impressione che la Serbia sia sempre più sola per quanto riguarda la questione del Kosovo.
Il presidente Vučić e il suo omologo kosovaro Hashim Thaçi avevano discusso in precedenza dell’idea di una demarcazione, ovvero di uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, ma dopo il summit di Berlino Thaçi ha radicalizzato la sua posizione, dichiarando che i serbi nel nord del Kosovo non otterranno alcuna forma di autonomia e che la valle di Preševo (zona situata nel sud della Serbia, dove gli albanesi rappresentano una cospicua percentuale della popolazione) dovrebbe essere annessa al Kosovo.
L’impressione è che Vučić abbia valutato male la situazione sulla scena politica internazionale e che abbia giocato troppo apertamente la carta della demarcazione, contando su un appoggio più forte da parte di Washington.
Durante il summit di Berlino la cancelliera tedesca ha tuttavia esplicitamente ribadito la sua contrarietà all’idea di uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, e anche il presidente francese ha assunto la stessa posizione.
In questo modo i principali paesi dell’Unione europea hanno voluto lanciare un segnale e dimostrare che l’UE non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi interessi nei Balcani, in quanto appartengono (almeno geograficamente) all’Europa.
Washington, almeno per ora, si astiene dall’esprimere la propria posizione, dimostrando che è più interessata a mantenere buoni rapporti con la Germania e con altri stati membri dell’UE anziché occuparsi della questione del Kosovo.
I paesi dei Balcani che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo non hanno mai appoggiato l’idea di uno scambio di territori tra Kosovo e Serbia perché temono che un tale scenario possa innescare un effetto domino nell’intera regione, soprattutto in Macedonia del Nord e in Bosnia Erzegovina.
È quindi del tutto logico che durante il summit di Berlino i paesi della regione si siano schierati dalla parte della Germania, ovvero a favore dell’idea dell’inviolabilità dei confini nazionali. La Serbia si è così trovata senza alcun appoggio dei paesi vicini.
L’unica ad essere favorevole all’idea di una ridefinizione del confine tra Serbia e Kosovo è la Republika Srpska, dimostrando così la sua aspirazione ad allontanarsi ulteriormente dalla Bosnia Erzegovina e avvicinarsi alla Serbia. Tuttavia, la Republika Srpska è un’entità della Bosnia Erzegovina e non ha alcuna legittimità internazionale, e anche gli Stati Uniti sono contrari alla possibilità che venga annessa alla Serbia.
Tutto sommato, la Serbia è uscita indebolita dal vertice di Berlino. La delegazione serba, guidata dal presidente Vučić, non è riuscita a ottenere la revoca dei dazi imposti dal governo kosovaro sui prodotti provenienti dalla Serbia e dalla Bosnia Erzegovina (il governo serbo ha posto la sospensione dei dazi come precondizione per il proseguimento dei negoziati con Pristina); i rapporti tra la Serbia e i paesi vicini non sono migliorati (anzi, si potrebbe dire che sono peggiorati); le possibilità di un’eventuale demarcazione territoriale tra Serbia e Kosovo (che sembra essere l’unica opzione accettabile per il presidente serbo) si sono drasticamente ridotte, e la posizione dei sostenitori dell’idea di mantenere i confini attuali ne è uscita rafforzata. La Serbia non ha potuto offrire nessun’altra soluzione ed è emerso ancora una volta che gode di scarso appoggio della comunità internazionale.
Insoddisfazione
Il vertice di Berlino si è concluso con l’annuncio che il prossimo incontro tra i leader del Kosovo e della Serbia si terrà tra due mesi a Parigi, ma non vi è alcun indizio che in quell’occasione potrebbe essere compiuto un passo avanti nei negoziati, soprattutto tenendo presente l’insoddisfazione del presidente serbo per il fallimento dell’idea della demarcazione e l’ostinazione del governo kosovaro nel non voler revocare i dazi imposti sui prodotti serbi e bosniaci.
Prima dell’incontro a Parigi sarà nota anche la nuova composizione del Parlamento europeo, ed è logico aspettarsi che proseguano anche le consultazioni con gli Stati Uniti. Nonostante abbiano idee diverse su come risolvere la questione del Kosovo, gli Stati Uniti e l’UE (ovvero Germania e Francia) sono accomunati dallo stesso interesse strategico, ossia dal desiderio di limitare l’influenza russa e cinese nei Balcani.
“La visione degli Stati Uniti, ma anche quella dell’UE, è rimasta uguale ed è molto semplice: la prosperità e la pace nei Balcani; una regione che vive in pace con se stessa e con i suoi vicini, una regione ben integrata nell’Europa. La cosa più importante è che gli Stati Uniti e l’UE auspicano esattamente la stessa cosa che i paesi dei Balcani occidentali auspicano per se stessi. Tutti sappiamo dove vogliamo andare, la sfida sta nel trovare un modo per raggiungere questo obiettivo”, ha dichiarato il vice assistente del segretario di Stato degli Stati Uniti Matthew Palmer durante la sua visita a Sarajevo la scorsa settimana, dove ha partecipato all’incontro annuale della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).
Palmer ha invitato i leader dei Balcani occidentali a prendere consapevolezza del proprio ruolo, a dimostrare coraggio politico e a portare i loro paesi verso la prosperità, ovvero verso l’UE e la NATO.
L’Occidente si è quindi focalizzato su due obiettivi. Il primo è quello di non permettere che la questione del Kosovo divenga un motivo di scontri tra i paesi occidentali e il secondo è di impedire l’espansione dell’influenza russa e cinese nei Balcani.
Il primo obiettivo porta gli Stati Uniti e i paesi dell’UE ad agire con cautela e a evitare di esercitare forti pressioni che potrebbero surriscaldare ulteriormente l’atmosfera, già molto tesa, tra Serbia e Kosovo, mentre il secondo obiettivo li spinge a stare sempre all’erta. I paesi occidentali potrebbero tentare di accelerare la risoluzione della questione del Kosovo, esercitando maggiore pressione sulle parti coinvolte, quando (e se) la Russia e la Cina dovessero iniziare a sfruttare la crisi kosovara per rafforzare la propria posizione nei Balcani.
La scorsa settimana si è svolto a Tirana il vertice del Processo Brdo-Brioni, che ha visto riunirsi i capi di stato dei sei paesi dei Balcani occidentali, i loro omologhi di Croazia e Slovenia, e i rappresentanti dell’Unione europea per discutere del rafforzamento della cooperazione nei Balcani e del loro avvicinamento all’UE.
In quell’occasione, come anche durante il summit di Berlino, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dimostrato un atteggiamento piuttosto rassegnato, affermando che non si avvererà nemmeno uno dei “bei sogni” riguardanti i Balcani occidentali di cui parla l’UE, che non verranno aperti nuovi capitoli negoziali con la Serbia e il Montenegro, non inizieranno i negoziati di adesione all’UE dell’Albania e della Macedonia del Nord, in Bosnia Erzegovina “non succederà nulla”, e anche la liberalizzazione dei visti per il Kosovo continuerà ad essere rimandata.
“Va bene, siamo stupidi, ma non così tanto, e tutti sapete che ho ragione. Non succederà nulla né a giugno né a luglio”, ha dichiarato Vučić.
Divisioni
I toni accesi nei confronti dell’UE di certo non aiuteranno la Serbia. La Germania e la Francia hanno interesse ad accelerare il processo di integrazione europea della Serbia e sono insoddisfatte del fatto che i negoziati tra Kosovo e Serbia si sono arenati, ma la differenza tra la posizione degli Stati Uniti e quella dell’UE in merito alla risoluzione della questione del Kosovo impedisce alla Germania e alla Francia di impegnarsi maggiormente su questo fronte.
Questa differenza è il motivo per cui le potenze occidentali si astengono dall’esercitare una pressione forte e decisa su Belgrado e Pristina e questo porta, in ultima analisi, a un rallentamento del processo dei negoziati di adesione.
Durante il vertice del Processo Brdo-Brioni, i leader della Serbia e del Kosovo hanno cercato di dimostrare di non essere troppo preoccupati per questo rallentamento, corroborando così l’ipotesi che nel prossimo futuro non sarà compiuto alcun grande progresso verso l’adesione dei due paesi all’UE.
Vučić ha affermato che l’idea di una demarcazione territoriale non ha trovato l’appoggio nemmeno in Serbia e ha attribuito la colpa per il fallimento di questa idea, oltre al “fattore internazionale” e a Pristina, anche ai suoi oppositori politici in Serbia e, implicitamente, al popolo serbo.
Il presidente serbo ha detto che nessuno ha dimostrato comprensione della realtà con cui la Serbia si confronta, ammettendo così che la coalizione di governo, nonostante goda di una maggioranza parlamentare di quasi due terzi, non è in grado di assicurarsi, sulla scena politica locale, un adeguato appoggio alla sua linea politica sul Kosovo.
Alcuni giorni dopo il summit di Berlino Vučić si è spinto ancora oltre, dichiarando che il Kosovo otterrà la sovranità sul suo intero territorio, ma non per colpa sua, bensì come conseguenza del fatto che la sua proposta per risolvere la questione del Kosovo non è stata accettata, evitando ancora una volta di precisare in che cosa consiste e a chi aveva proposto la sua soluzione.
In un’intervista rilasciata all’emittente televisiva Pink, Vučić ha dichiarato che la sua proposta non è stata accettata “a causa delle enormi pressioni esercitate da alcuni paesi e dai loro servizi segreti, che hanno mobilitato intere squadre di agenti in diversi paesi”, ma anche a causa dell’atteggiamento dei suoi oppositori in Serbia.
Questa affermazione è probabilmente motivata anche dal fatto che molti partiti di opposizione serbi, pur essendo consapevoli del fatto che i principali paesi occidentali hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, ufficialmente si dichiarano contrari a qualsiasi concessione nei confronti di Pristina.
Le forze di opposizione hanno reagito alle affermazioni di Vučić affermando che il presidente non ha mai reso noto il contenuto della sua proposta di demarcazione territoriale tra Serbia e Kosovo, per cui non hanno potuto né appoggiarla né criticarla. Al ché Vučić ha replicato che non ha potuto rendere noto nulla perché non è ancora stato ufficialmente definito nessun piano.
I media mainstream serbi, che sono attivamente coinvolti nella campagna intrapresa dalla leadership al potere contro l’opposizione, sostengono i tentativi del governo di dimostrare che il suo obiettivo principale è quello di proteggere gli interessi serbi e accusano l’opposizione di complicità con i nemici della Serbia.
È ovvio che in un’atmosfera del genere non è possibile aprire alcun serio dibattito sui passi che la Serbia dovrebbe intraprendere per risolvere la questione del Kosovo, e l’opposizione, ormai da anni marginalizzata e demonizzata, sta cercando di sfruttare il fatto che Vučić si trova costretto a prendere decisioni impopolari in merito al Kosovo per indebolirlo politicamente.
In breve, il perdurare della crisi kosovara contribuisce ad approfondire le divisioni all’interno della società serba e le probabilità che venga raggiunto un minimo di consenso nazionale sulla questione del Kosovo sono praticamente nulle.
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