Kosovo: richiedere informazioni è un diritto!
In Kosovo, l’accesso alle informazioni è teoricamente assicurato – ma la prassi è ben diversa
(Originariamente pubblicato da Kosovo 2.0, media partner del progetto ECPMF)
Una delle più famose citazioni di Einstein è quella che definisce la follia come "fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi". Il concetto si può applicare a molte questioni in Kosovo e nei Balcani occidentali, ma mai quanto al caso dei giornalisti che provano a ottenere informazioni dalle istituzioni pubbliche del Kosovo. Nonostante un quadro giuridico adeguato, i giornalisti kosovari ancora lottano quotidianamente per ottenere informazioni che avrebbero diritto ad ottenere.
Il diritto a consultare documenti pubblici è fondamentale per riuscire a ottenere la protezione di altri diritti, per tutelare la democrazia, così come per favorire lo sviluppo di un paese. Questo diritto spetta a tutti i cittadini, non solo ai giornalisti, e in quanto tale è disciplinato e tutelato da svariate convenzioni dei diritti umani. La più importante è la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sancisce che il diritto a "chiedere, ottenere e dare informazioni" è parte del diritto universale all’espressione e al pensiero.
In Kosovo – che ha sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – una serie di leggi e regolamenti disciplinano i diritti e le procedure d’accesso alla documentazione pubblica. Si va dalla Costituzione (Articolo 41) sino alle regolamentazioni amministrative che ne regimentano le procedure d’accesso. Tra i due capi vi è una legge importante che disciplina la materia che è titolata Legge sull’accesso ai documenti pubblici.
I giornalisti fanno riferimento a questa legge ormai da molti anni, ma non sempre con successo. Bisogna dunque capire cosa si è sbagliato e cosa si può fare ora per migliorare la situazione. Fino a quando continuiamo a compilare richieste per l’accesso ad informazioni, vedendole negate e scriverci un rapporto e fermarci a questo – non stiamo contribuendo molto. Ma una volta cambiata la strategia, potremmo cambiare la situazione corrente. E forse è possibile farlo.
La legge
Sulla carta il Kosovo ha uno dei migliori quadri istituzionali per quanto riguarda l’accesso all’informazione, e tutti i cittadini – ma nello specifico i giornalisti – dovrebbero conoscere i propri diritti. La massima trasparenza e la protezione della privacy restano i principi cardine della legislazione sull’accesso ai documenti pubblici, basata su standard internazionali.
La Legge sull’accesso ai documenti pubblici è stata approvata nel dicembre 2010 – abrogando e sostituendo altre leggi e regolamenti amministrativi che erano precedentemente in vigore. Contiene previsioni di legge che definiscono che ogni persona fisica e giuridica (istituzioni, imprese, ecc…) ha diritto d’accesso, su richiesta, di documenti adottati, in discussione o ricevuti dalle istituzioni pubbliche.
Questo diritto può essere limitato da talune eccezioni menzionate esplicitamente dall’articolo 12, che fornisce undici criteri per cui il diritto di richiedere informazioni può essere negato legittimamente, tra cui: sicurezza nazionale; difesa e relazioni internazionali; interessi commerciali o economici di altro tipo; privacy e altri legittimi interessi individuali. Ogni richiesta negata deve essere motivata.
La legge inoltre impone alle istituzioni pubbliche di nominare un’unità di funzionari responsabili di ricevere ed analizzare le richieste di informazioni, analisi che dev’essere semplice, veloce e gratuita. Per essere più efficienti, una persona deve essere incaricata di mantenere informazioni accurate ed aggiornate sulla pagina internet di ogni istituzione pubblica. E ogni istituzione deve avere un indirizzo di posta elettronica al quale i cittadini possano rivolgere le loro richieste legate alla richieste sulla libertà d’informazione. Consultare documenti pubblici nelle sedi dell’istituzione oppure online, deve essere del tutto gratuito.
Per garantire piena trasparenza ogni istituzione pubblica è obbligata a redigere un rapporto annuale sull’anno precedente, che dovrebbe includere il numero di casi in cui l’istituzione ha negato l’accesso ai documenti e le ragioni di questo rifiuto. Alla fine di gennaio, ogni istituzione pubblica deve inviare il rapporto per l’anno precedente alla rispettiva unità del governo della Repubblica del Kosovo oppure all’ufficio del Primo Ministro.
Questo in teoria, ma come funziona in pratica?
Ora, ciò che è stato sopra illustrato mostra come teoricamente dovrebbe funzionare l’accesso ai documenti pubblici e va sottolineato che vi siano stati casi in cui alle richieste d’accesso a documenti pubblici è stata data risposta positiva e i documenti relativi sono stati in effetti forniti alle parti interessate; ciò è particolarmente vero per quanto riguarda questioni poco rilevanti e per quanto riguarda le istituzioni di più basso livello, come gli enti locali. Tuttavia, nella pratica, le richieste per accedere alla documentazione pubblica vengono spesso respinte su ragioni infondate.
Una delle questioni cruciali è che le istituzioni distinguono impropriamente tra ciò che è privato e ciò che costituisce l’interesse pubblico. Esempio rilevante di questo può essere quello che ha visto coinvolto l’Ufficio del primo ministro che ha rimandato al mittente, nel 2012, una richiesta da parte di Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) per accedere a dati relativi alla spesa pubblica.
Nel corso del progetto nominato "Justice and the People" sostenuto dal Public International Law & Policy Group (PILPG), BIRN ha deciso di sfidare il sistema e di andare fino alla fine, per vie legali. Dopo quattro anni di contenzioso, BIRN ha vinto la causa. Il giudice ha stabilito che è nell’interesse collettivo del pubblico sapere come siano stati spesi i soldi dei contribuenti. Così la sentenza ha stabilito che la richiesta era stata negata su basi infondate.
In una democrazia normale e consolidata, una volta che una corte formula un verdetto finale, le parti in causa sono obbligate a rispettarlo. In questo caso specifico, l’Ufficio del primo ministro ha di nuovo rifiutato di mostrare i dati richiesti, il che mostra come la legge sia molto efficace in teoria, ma non in pratica.
Nondimeno, il lato positivo di questo caso è stato duplice: da un lato ha creato un precedente e dall’altro BIRN è andata fino in fondo. E questo, sfortunatamente, non è una cosa che molti giornalisti fanno. Spesso non chiedono giustizia ai tribunali per non farsi nemici citando persone in giudizio, figurarsi innescare meccanismi di esecuzione delle norme!
Ma questo è l’unico modo di cambiare la mentalità esistente. Sino a quando si richiederà un documento e, non ottenendolo, non si insiste, nulla cambierà. La nostra richiesta sarà rifiutata ancora la volta successiva. Ma se i giornalisti spingono costantemente le istituzioni a rispondere, allora la situazione cambierà anche nella pratica, perché formalmente il modello per accedere alle informazioni è buono. È la pratica che manca nella sua realizzazione.
Quali gli altri problemi?
Restano altri grossi problemi riguardo il concetto generale di accesso all’informazione in Kosovo, spesso manifestato tramite l’interpretazione sbagliata della legge e l’applicazione di misure amministrative ad hoc di certe istituzioni.
Nonostante la legge sia molto chiara nello specificare come si possano richiedere delle informazioni, alcune istituzioni hanno creato proprie procedure non sempre coerenti con il dettame della legge. Quest’approccio crea solo delle barriere.
Per esempio vi sono numerose istituzioni che richiedono di compilare un modulo e pagare 1 euro per compilare una richiesta legata alla libertà d’informazione – solo per menzionarne alcuni, i comuni di Malisheva e di Kastriot e l’Agenzia per la registrazione degli affari – e questo, ovviamente, contraddice la legge. Una tariffa può essere richiesta dal richiedente per fare una copia del documento, che è ragionevole ed è regolata per legge da una normativa emessa dal ministro delle Finanze, ma quando si tratta di fare copie, non di compilare richieste. Molte istituzioni compiono (in)volontariamente questo errore, e così facendo si spinge la gente ad allontanarsi.
Un altro importante problema riguarda i funzionari che sono responsabili per quanto riguarda la ricezione e l’analisi iniziale delle richieste per accedere ai documenti. Durante molte tavole rotonde a cui ho partecipato tra il 2012 e il 2016, è sempre stato fatto notare che questi funzionari non sono preparati correttamente in merito all’implementazione del dettame di legge.
Alla fine della fiera la responsabilità cade su di loro e in quanto tale devono sapere quali documenti possono essere dati e quali no, senza dover consultare sempre i loro capouffici. Il senso principale di nominare queste unità è esattamente questo: per risparmiare tempo e decentralizzare le responsabilità; in pratica questo non accade ancora, dato che in molti casi la risposta viene dilazionata e si chiede il permesso ai superiori se concedere o meno la consultazione dei documenti richiesti.
E quindi dopo?
E’ utile notare come la Legge sull’Accesso alla documentazione pubblica stia affrontando attualmente un processo di revisione assieme alla Legge sulla Protezione dei dati personali e alla Legge sulla Classificazione delle informazioni. Se è molto importante per queste leggi essere coerenti l’una con l’altra, è altrettanto cruciale, specialmente per i giornalisti, seguire attentamente questo processo e non permettere di cambiare le parti che garantiscono trasparenza della Legge sull’Accesso ai documenti pubblici.
Non è sufficiente lamentarsi una volta che la legge è cambiata. Bisogna prevenire i cambiamenti che non sono in linea con il concetto di trasparenza, stando attivi, e seguendo e documentando l’evoluzione della legge.
Inoltre i giornalisti dovrebbero comprendere la profondità e l’ampiezza della legge e usarla al massimo a loro vantaggio, insistendo sulle richieste negate: le istituzioni spesso sfruttano il fatto che i giornalisti non sono tenaci e mollano facilmente. L’unico modo di migliorare la situazione è sfruttare appieno le possibilità offerte dal sistema.
Una volta che si crea un precedente, una diversa cultura della trasparenza e della responsabilità stenderà la sua luce sull’oscurità. E una volta che questa cultura è creata, i giornalisti dovrebbero utilizzare i loro diritti al meglio e spingere le istituzioni a rispondere.
La cosa migliore del caso BIRN è stato di creare un chiarissimo precedente. Andrebbe sfruttato!
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