Kosovo: quando i serbi sono al governo
Non sono stati mesi facili questi ultimi per il governo Thaci, in Kosovo. Ma sorprendentemente, il suo alleato meno irrequieto, è stato il partito Liberale dei serbi del Kosovo, l’SLS. Una rassegna sulla politica kosovara e sul ruolo della comunità serba
A soli tre mesi dalla sua nascita, il nuovo governo kosovaro è già oberato da un gran numero di problemi. E nel risolverli non è certo aiutato dai dubbi sulla regolarità delle elezioni del dicembre scorso, dalle quali poi è nato l’esecutivo targato PDK e AKR. L’insediamento della squadra di governo, nei primi giorni del 2011, è stato poi pesantemente oscurato dalla clamorosa inchiesta di Dick Marty sul traffico d’organi in Kosovo, un vero scandalo per Hashim Thaci e i suoi alleati.
Se questo non bastasse in poche settimane Il presidente del Kosovo è stato cambiato due volte. L’elezione di Atifete Jahjaga, trentacinquenne funzionaria di polizia e novizia della politica, è arrivata poco dopo che la Corte costituzionale aveva dichiarato invalida l’elezione di Behgjet Pacolli, leader dell’AKR e businessman conosciuto a livello internazionale, eletto a febbraio. Nel frattempo, i colloqui diretti fra le delegazioni di Belgrado e Pristina sono diventati una patata bollente per quest’ultima, inizialmente recalcitrante al dialogo. Nonostante il sostegno espresso pubblicamente a Edita Tahiri, che guida la delegazione kosovara, l’opposizione critica infatti la debolezza del governo di fronte alla delegazione serba.
I migliori alleati
Paradossalmente, in questo clima infuocato, i partiti serbi che garantiscono un sostegno fondamentale al governo Thaci, siedono in armoniosa coalizione con il PDK e ne rappresentano gli alleati più docili. Il Partito liberale dei serbi del Kosovo (SLS), cinque anni di vita, nelle scorse consultazioni ha ottenuto otto seggi in parlamento e due ministeri. Il suo leader, Slobodan Petrović è oggi vice primo ministro.
Nonostante le reazioni emotive del pubblico serbo del Kosovo all’inchiesta di Dick Marty, l’entrata nel governo dell’SLS non ha sorpreso nessuno. L’altro partito serbo, il JSL guidato da Rada Trajković, non è al governo proprio per via dell’inchiesta di Marty, ma i suoi quattro deputati partecipano comunque ai lavori del parlamento. Se si aggiunge un membro di un partito minore vicino all’SLS, sono 13 i parlamentari serbi (su 120) a sedere oggi sugli scranni dell’Assemblea nazionale di Pristina.
Il ritorno sulla scena politica kosovara
Nelle elezioni politiche del dicembre scorso hanno votato oltre 20.000 serbi, un’affluenza molto alta rispetto alle tornate del 2004 e 2007, quando avevano votato rispettivamente in 1.800 e 800. All’epoca i principali candidati serbi erano Goran Bogdanović e Oliver Ivanović, quest’ultimo attualmente a Belgrado come ministro e segretario di Stato per il Kosovo e Metohija. Il dato di affluenza è inferiore solo alle elezioni del 2001, svoltesi sotto l’egida dell’Unmik, quando circa 36.500 serbi avevano votato per un’unica entità politica registrata, la coalizione “Povratak”, vincendo 22 seggi (compresi i 10 garantiti istituzionalmente).
Dieci anni dopo, l’ex “Povratak” Nedo Radosavljević fa un paragone con l’attuale presenza serba in parlamento e al governo: “La differenza è enorme e a vantaggio dell’esperienza di ‘Povratak’. La nostra partecipazione era pubblicamente sostenuta da Belgrado. Purtroppo gli attuali partiti serbi non hanno questo riconoscimento, ma rispetto a quelli del 2004 e 2007 hanno comunque qualche legittimazione, derivante dall’alto numero di serbi che hanno votato a queste elezioni”.
Radosavljević vede comunque a favore degli attuali rappresentanti serbi una migliore posizione strategica: “Nel 2001 avevamo il sostegno dell’Unmik, ma era un vantaggio solo formale, perché pur essendo 22 parlamentari non potevamo fare nulla di concreto. Ogni giorno dovevamo fare i conti con l’ostruzionismo albanese. Oggi i rappresentanti serbi hanno un maggiore spazio di manovra nel governo, grazie al sostegno della leadership albanese, che all’epoca non avevamo”.
Chi non ci sta
Ma Rada Trajković, ex collega di partito di Radosavljević e ora parlamentare, lamenta: “Io vado regolarmente in parlamento, ed è molto dura per noi serbi. La lingua serba è stata completamente cancellata, basta guardare logo e documenti per comprendere l’albanizzazione dell’attività parlamentare”. Sul sito ufficiale del parlamento il partito di Rada Trajković (JSL) non compare nella sezione “membri”, mentre al partito rivale (SLS) sono attribuiti 4 parlamentari in più (12 invece di 8).
Sul sito del gabinetto del primo ministro, sia in inglese che in serbo, i nomi serbi sono scritti in ortografia albanese (q) invece che serba (ć/ћ), mentre Kosovo è scritto solo in albanese (“Kosova”). Ai primi di marzo si è sfiorato un incidente istituzionale, quando Xhavit Haliti (PDK), vice presidente dell’Assemblea, ha spento i microfoni del parlamento quando ha sentito la Trajković pronunciare la parola “Kosovo e Metohija”.
“Devo dire che inizialmente ero a favore del piano Ahtisaari per la decentralizzazione delle municipalità serbe. Le nostre municipalità hanno un solido potenziale intellettuale, che rimane però inesplorato mentre la corruzione dilaga”, dice Trajković riferendosi alle esperienze di auto-governo serbo a sud del fiume Ibar.
Secondo la stessa Trajković i serbi nella coalizione di Thaci non sarebbero nient’altro che “una ciliegina sulla torta”, utili per garantire il carattere "multietnico" della coalizione di governo, ma incapaci di iniziativa politica propria. “I liberali sono stretti in un abbraccio mortale con Thaci, non possono staccarsi”, chiosa.
Rappresentatività parziale
Nel 2008, il vice premier Slobodan Petrović è stato addirittura proclamato “Politico dell’anno” dalle ONG del Kosovo, battendo la competizione sia di Thaci, che aveva dichiarato l’indipendenza dalla Serbia, che di Ramush Haradinaj, allora scagionato dalla Corte dell’Aja e accolto in patria da eroe. Nonostante gran parte dell’opinione pubblica kosovara sia critica verso il governo Thaci, i liberali serbi sono sostenuti da quasi tutti i partiti albanesi, e soprattutto dall’ambasciata americana in Kosovo.
Secondo Nexhmedin Spahiu, politologo e docente all’università di Pristina, “la partecipazione dei serbi del Kosovo alle elezioni ha contribuito alla stabilizzazione del Paese, soprattutto per il loro approccio costruttivo".
Spahiu concorda che Petrović e il suo partito godono di vasto sostegno tra l’élite politica albanese del Kosovo: “La miglior prova del clima di collaborazione tra Petrović e l’élite kosovara si è avuta durante la sua ultima visita in Montenegro, quando ha annunciato il prossimo riconoscimento ufficiale della minoranza montenegrina in Kosovo". I leader politici kosovari avevano dilazionato a lungo questa decisione, viste le resistenze della comunità serba all’idea di "riconoscere" una comunità montenegrina separata in Kosovo e le accuse di quest’ultima di voler applicare la politica del "divide et impera". Secondo Spahiu, quindi, la mossa di Petrović, rappresentante di un partito serbo, ha tolto le castagne dal fuoco ai propri alleati albanesi.
Nonostante i forti interessi comuni tra Thaci e Petrović, l’asse tra i due non ha certo portato alla soluzione della "questione serba" in Kosovo, anche perché all’interno della comunità non tutti riconoscono ai partiti serbi al parlamento di Pristina (e soprattutto allo SLS) piena rappresentatività dei propri interessi. Punto debole per la strategia del governo e dei suoi rappresentanti serbi rimane il nord del Kosovo, dove la stragrande maggioranza dei serbi nega in toto la legittimità delle istituzioni di Pristina. Problemi, però, restano anche a sud dell’Ibar dove circa 45.000 serbi, secondo le stime, ricevono ancora stipendi e pensioni da Belgrado. Un motivo in più per continuare a vedere in Belgrado, più che in Pristina, il naturale punto di riferimento politico ed economico.
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