Kosovo: perché il governo non ha venduto le Poste e telecomunicazioni
Corruzione, malgoverno e inefficienze. E non solo della politica locale. E’ un quadro inquietante quello che emerge dal racconto di Andrea Lorenzo Capussela, ex funzionario ICO, sul processo di privatizzazione di una delle principali aziende kosovare
Ho appena ricevuto tre notizie dal Kosovo: la vendita della PTK (Poste e telecomunicazioni del Kosovo, ndr) è stata annullata perché è rimasto un solo possibile acquirente; l’altro partecipante alla gara d’appalto, la Telecom croata, si è ritirata poiché i manager della PTK sono accusati di corruzione; le accuse si basano (anche, o per meglio dire in gran parte) sulle informazioni che io stesso ho inviato a EULEX.
Ora io devo alcune spiegazioni a quei cittadini che, come me, speravano che la vendita di PTK avrebbe portato benefici per l’economia, avrebbe attratto investimenti stranieri e contribuito a garantire migliori servizi al pubblico.
Tra i principali attori internazionali, l’ICO (International Civilian Office) ebbe un ruolo guida nel consigliare e monitorare il governo nella vendita di PTK, ed io l’ho seguita da vicino.
Il nostro primo consiglio fu quello che una gara d’appalto trasparente, effettivamente concorrenziale e ben gestita fosse necessaria per attirare buoni investitori, per ottenere un buon prezzo e per costruire una buona reputazione del Kosovo in modo da attrarre altri investitori stranieri.
In più, abbiamo consigliato il governo di dotarsi di un consulente di alto livello su questa tipologia di transazione, come ad esempio una delle principali banche di investimento internazionali. Oltre ad offrire sostegno strategico ed operativo per la conduzione della gara d’appalto, una consulenza di questo tipo – grazie alla sua credibilità internazionale – serviva a rassicurare i partecipanti che il bando sarebbe stato ben condotto, che avrebbero potuto fidarsi delle informazioni ricevute da PTK per dimostrare il suo effettivo valore. Questa garanzia “di reputazione” consiste nel fatto che se la gara d’appalto si fosse dimostrata manipolata o le informazioni fornite da PTK erronee, il consulente avrebbe rischiato di perdere la sua reputazione internazionale, che vale molto di più dei soldi che avrebbe potuto guadagnare in Kosovo. Senza una garanzia di credibilità, abbiamo chiarito, pochi investitori stranieri seri sarebbero arrivati e quelli che lo avrebbero fatto avrebbero offerto prezzi bassi.
Abbiamo inoltre consigliato al governo di vendere in fretta, perché la PTK era amministrata talmente malamente che avrebbe perso rapidamente valore, e di rimpiazzare il management attuale con persone più competenti, col mandato di invertire l’attuale trend e ripulire l’azienda dalla corruzione che visibilmente l’affliggeva: questo avrebbe rassicurato gli investitori e alzato il prezzo di vendita.
Il governo invece ha scelto un consulente di basso livello, con poca esperienza e nessuna reputazione internazionale: esattamente l’opposto di quello che era necessario. In modo inspiegabile l’ambasciatore USA inizialmente sostenne questa scelta, ma un anno dopo si girò contro il consulente. Quando, anche grazie a quest’atteggiamento mutato, abbiamo convinto il governo dell’inadeguatezza del consulente, invece di sostituirlo ne hanno nominato un secondo (una piccola azienda statunitense, la stessa che lavora su Kosovo C). Una scelta del tutto inutile.
In modo prevedibile, la transazione è stata gestita malamente: dal “contrabbando” di voti in parlamento, all’offrire PTK sul mercato senza chiaramente definire cosa si offrisse, all’accettare di proseguire nella gara d’appalto nonostante i soli due partecipanti.
Chiaramente il governo non ha cambiato il management, che non ha cambiato stile e il declino di PTK è continuato (e continuerà sino a quando non si chiederà a questo management di andarsene).
Quindi, il fallimento della vendita di PTK, è una notizia tanto brutta quanto prevedibile: è il risultato di due anni di errori.
Sono tutti errori innocenti? Lo dubito, perché l’élite del Kosovo utilizza PTK come una sorta di mucca da mungere, un bancomat per finanziare se stessi, i propri amici e le strutture di potere.
Pensate ad esempio alle 1000 persone assunte – senza alcuna ragione – dopo che l’attuale management ha preso il controllo dell’azienda, pensate all’affare Dardafon o ai piccoli e ambigui contratti di procura che lo stesso governo ha dovuto bloccare (senza, ciononostante, una sola parola critica nei confronti del management che li aveva sottoscritti).
Tutto ciò richiederebbe un’analisi più approfondita, ma guardiamola così: se il tuo potere s’appoggia su un network di amicizie, sostenitori e clienti, è molto vantaggioso controllare un’azienda che produce, ogni giorno, molta liquidità e che ha un management che utilizzerà quel denaro nel modo in cui gli si indica. Non si tratta solo di riempire le proprie tasche o quelle dei tuoi amici, si tratta anche di alimentare ogni giorno quella struttura che ti permette di rimanere al potere e di continuare ad utilizzare questa macchina da soldi.
Quindi, in realtà, il governo non voleva veramente vendere PTK. Anche se avevano bisogno di soldi, per pagare la loro immensamente costosa e poco necessaria autostrada.
Prima hanno provato a trovare un’altra “macchina da soldi”: le miniere di Trepča. La strategia del governo (dal loro sito web) era quella di trasformarla in un monopolio controllato dal pubblico, ma questo piano indifendibile e costoso è stato bloccato (almeno per ora).
Poi hanno guardato alla PAK (Privatization Agency of Kosovo) e ai fondi KPST (Kosovo Pension Savings Trust), ma abbiamo detto loro che non potevano toccarli (le nostre lettere in merito sono state pubblicate dalla stampa).
Così, quest’estate, hanno modificato la legge sulla PAK: quest’ultima permette ora al governo di chiedere prestiti dai 530 milioni di euro della PAK (vi sono dei vincoli, ma deboli) e rende molto più facile bloccare i reclami dei reali proprietari di quei fondi, i lavoratori e i creditori delle aziende statali privatizzate.
Grazie a questa legge – in gran parte scritta da consulenti USA – il governo può riempire il buco causato dalla mancata vendita di PTK, può pagare i conti dell’autostrada e potrà sopravvivere magari per un altro anno. Il problema è che questa legge contraddice la razionalità economica e legale del programma di privatizzazione e infrange sia la Costituzione che il Piano Athisaari; ma nessuno se ne è accorto.
In breve, tutto è andato bene per il governo: hanno l’autostrada, i soldi della PAK per pagarla e possono tenere ancora un po’ la PTK. Ma tutto è andato male per il Kosovo, la cui economia ha perso capitali e opportunità per crescere.
Il governo riproverà a vendere PTK, ma con questi precedenti il secondo tentativo sarà ancora più difficile. Provate a pensare a Kosovo C: al primo tentativo, vi erano quattro partecipanti di qualità alla gara d’appalto; al secondo tentativo tutti i partecipanti erano di secondo livello (incidentalmente anche questa vendita è attualmente in stallo: se fallisce per la seconda volta potrebbe non esserci un terzo tentativo).
In breve, questo governo non sembra in grado di vendere “le cose grandi” a grandi investitori (l’autostrada, ovviamente, è questione diversa: in questo caso è il governo a pagare, e non le aziende straniere) e la fiducia degli investitori nel Kosovo continuerà a declinare. Il che è tragico perché il Kosovo ha un gran bisogno di rivitalizzare un’economia profondamente depressa.
Il Kosovo non si può permettere un governo come l’attuale.
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