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Kosovo: non sarà ciò che non può essere

Un commento sull’atteggiamento politico della Serbia rispetto al Kosovo, scritto da Mirko Tepavac, noto politico e intellettuale serbo, pubblicato sul mensile "Republika". Nostra traduzione

16/05/2007, Redazione -

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Di Mirko Tepavac, 1 aprile – 31 maggio 2007, Republika, (tit. orig. Neće biti što biti ne može)

Il Kosovo, l’Aja, l’adesione all’Europa sono tre problemi fondamentali per il nostro rapporto con il mondo. Al primo posto c’è la questione del Kosovo.

Il mondo di oggi non è perfetto, ma ha le sue regole. Nessuno oggi può pretendere di poter difendere il proprio interesse senza il consenso del resto del mondo.

E’importante rispondere a se stessi, per quanto riguarda il Kosovo, alle seguenti domande cruciali: perché nessuno in Europa, neanche nelle Nazioni Unite, è dalla parte della Serbia? La maggior parte dei partiti politici serbi non è pronta ad affrontare le vere ragioni che spingono gli albanesi kosovari, dopo tutti questi decenni di vita insieme, nello stesso Stato, a non voler restare nella Serbia? Infine, occorre chiedersi come si potrebbe immaginare la futura amministrazione serba con due milioni albanesi kosovari che ci odiano? Con quali armi, con quanti soldi e con il sangue di chi si potrebbe, in futuro, difendere il diritto della Serbia a governare sulla sua cosiddetta culla, cioè il Kosovo, dato il fatto che là, da tanto tempo, vive una maggioranza albanese?

L’argomentazione serba fin dall’inizio fu un’illusione, perciò sbagliata.
L’affermazione del premier serbo Kostunica che il Kosovo non si può alienare perché rappresenta una parte sovrana e territoriale della Serbia, non sta in piedi. E’ un uso sbagliato del principio storico del secolo scorso. Per quel principio oggi la Transilvania sarebbe territorio ungherese, il Baltico della Russia, la Bosnia sarebbe parte dell’Austria e l’Istria dell’Italia. Anche la Vojvodina sarebbe ancora parte dell’Ungheria. Perché mai la Vojvodina nella sua storia fu parte dello Stato serbo? La decisione di annetterla alla Serbia (cioè all’ex Jugoslavia) fu presa, due volte, da parte dell’allora minoranza serba e tutte e due le volte, senza la partecipazione degli altri popoli, allora maggioritari in Vojvodina, vale a dire tedeschi e ungheresi. Solo dopo due colonizzazioni e dopo un totale esodo di tedeschi e di ungheresi dalla Vojvodina, questa regione diventò una provincia a maggioranza serba.

Nonostante ciò i nostri politici ripetono che "non cederanno il Kosovo" e rievocano il principio storico. Allo stesso tempo proclamano la Vojvodina "nostra" e rievocano il principio di popolo maggioritario.

Nel caso del Kosovo tutte le speranze dei politici serbi sono affidate al "veto" russo. Si spera che la Russia non permetterà che il Kosovo diventi indipendente. Ma questo non è sicuro. L’unica certezza è che la sovranità serba sul Kosovo non ci sarà mai più. E’ chiaro che la formula russa "la soluzione deve accontentare tutte le due parti" è completamente irreale. Invece di illudersi occorre pensare al Kosovo come un futuro Stato-vicino. E’ difficile ma bisogna usare la forze della regione per non peggiorare la situazione in Serbia, soprattutto perché i nostri demagoghi, già da anni, ci prendono in giro promettendo che "sarà ciò che non può essere". Purtroppo da sempre in Serbia c’è carenza di politici che ragionino e che abbiano una visione reale del futuro.

L’unica cosa invariabile è che serbi e albanesi resteranno a vivere l’uno accanto all’altro. Per quelli che rifiutano di vivere accanto agli altri, il futuro sarà ancora più difficile, sia che si tratti di una famiglia, di una tribù o del pianeta.

Perché nessuno dei nostri politici sta preparando i serbi a questa nuova realtà? Pare che nessuno si preoccupi del fatto che il futuro Kosovo indipendente potrà creare una demoralizzazione nei serbi. Gli unici che contano sull’eventuale caos sono i radicali, che hanno già cominciato a minacciarci con "disordini" e "colpi di stato" se la Serbia perderà il Kosovo. Ma è stato proprio il partito radicale, con il suo presidente Seselj, ad aver perso il Kosovo. Sono proprio i radicali che hanno cominciato con l’espulsione degli albanesi kosovari. E da temere che i radicali tenteranno di usare la crisi kosovara per salvaguardare il loro potere, gridando e accusando che il Kosovo ci stato è strappato con "il complotto anti-serbo dell’America e dell’Europa". L’ignoranza e l’arroganza sono due sorelle ugualmente pericolose.

Non è vero che la Serbia non può esistere senza il Kosovo. I diritti territoriali non possono mai essere al di sopra, o prima, dei diritti umani. I politici saggi accettano ciò che è inevitabile, come propria scelta; gli ignoranti preferiscono cercare i colpevoli, piuttosto che una soluzione.

Basta con l’ipocrisia e l’adulazione del proprio popolo, basta con l’illusione che il popolo non può essere responsabile e colpevole. Un popolo che si può cosi facilmente fregare, più di una volta, come i serbi, non ha il diritto di sopravalutarsi. Dietro lo slogan "popolo indipendente" ci sono proprio quelli che hanno portato la Serbia in una situazione di paria. Proprio per questo i serbi hanno accettato con allegria la sentenza dell’Aja (per il genocidio di Srebrenica) "innocenti per mancanza di prove", e colpevoli "solo" perché sapevano, ma non hanno voluto prevenire.

Tutto quello che c’è capitato negli ultimi anni è la conseguenza di una politica sbagliata di Milosevic e di Seselj; la politica che ha distrutto la Jugoslavia multinazionale dove la Serbia era la prima. Adesso stiamo combattendo per aderire all’Europa, dove ci aspetta – forse – l’ultimo posto.

Oggi in Serbia prima di tutto bisogna adoperarsi per risolvere il conflitto tra il nazionalismo locale e la democrazia civile.

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