Kosovo: mio figlio Tonibler
Da dieci anni ha avviato una ricerca artistica sui nomi: delle città, dei luoghi, delle persone. E’ Alban Muja, kosovaro, che in questi giorni sta esponendo proprie opere in una piccola galleria in centro a Tirana, denominata "la mosca". L’abbiamo incontrato
Alban Muja è un giovane artista kosovaro, tra i più attivi della scena alternativa di Pristina. Mescolando varie tecniche, tra cui video, fotografia e testo l’artista descrive fenomeni curiosi e particolari della realtà kosovara di oggi.
Da circa 10 anni la sua ricerca artistica mira ad approfondire il concetto di denominazione, delle persone, dei luoghi, e il loro significato nello spazio e nel tempo che riconduce a questioni politiche irrisolte, identità e frustrazioni, e illustra la storia vissuta dalle persone in un determinato periodo.
My name, their city
Nelle ultime settimane Alban Muja ha portato a Tirana uno dei suoi progetti più recenti. Ad ospitarlo è stata una galleria minuscola, Miza (la mosca) da poco inaugurata nel centro della capitale e che si propone di diventare un punto di riferimento dell’arte giovane e alternativa nella capitale albanese. Uno spazio piccolo, ma sufficiente per allestire 7 fotografie di 7 giovani kosovari, che si sono fatti ritrarre da Alban Muja ciascuno con in mano una foto panoramica di una città dell’Albania. Da qui il nome del progetto: My name, their city.
Cosa c’entrano quei ragazzi con quelle città? Ne portano il nome. Spesso infatti i giovani kosovari portano nomi di città albanesi, per lo più turistiche e dal suono musicale come Vlora, Saranda, Shkodran, o Elbasan. “I genitori kosovari usavano mettere dei nomi delle città albanesi ai propri figli verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80” spiega l’artista “erano gli anni in cui tra il Kosovo e l’Albania non vi era alcun contatto e i kosovari avevano idealizzato enormemente l’Albania e queste città albanesi, su cui non avevano informazioni”.
Una generazione di Saranda, Vlora, Berat e Elbasan per rivendicare l’identità albanese nel periodo in cui la Jugoslavia iniziava a sprofondare nella crisi politica. “Alcuni di questi giovani non erano neanche a conoscenza di cosa rappresentasse in Albania il loro nome. Un ragazzo di nome Milot pensava che fosse il nome di una pianura e ha scoperto poi, dopo il conflitto kosovaro del 1999 che in realtà portava il nome di una piccola cittadina al nord di Tirana, che non è neanche turistica”.
Ma il nome del progetto allude anche al resto della storia, al confronto tra gli albanesi dell’Albania e quelli del Kosovo: i primi che si stupiscono divertiti a conoscere persone che portano il nome di città albanesi, e i secondi che si deludono una volta scoperta la vera Albania, ben lontano dall’immagine idealizzata che si portavano dentro.
Tuttavia la musicalità dei nomi in lingua albanese, e l’albanità che dopo tutto li caratterizza, fanno sì che i giovani kosovari siano contenti di chiamarsi come dei toponimi dell’Albania. “Non volevo criticare questo fenomeno, ma semplicemente descriverlo”, spiega Alban Muja. Più che una problematizzazione del fenomeno, dunque, uno spunto di incontro, a Tirana, tra i kosovari e gli albanesi d’Albania.
Tibet, Palestina e Tonibler
Il fenomeno dei nomi curiosi dal contenuto storico o politico, non è solo un fenomeno isolato al Kosovo e alla sua storia. Basti pensare alle Italie e ai Benito nati durante il Ventennio, agli Slobodan e agli Jugoslav del secondo dopoguerra in Jugoslavia, o ai Perparim (Progresso) e Revolucionar (Rivoluzionario) dell’Albania comunista. “E’ un fenomeno tipico che si manifesta nelle società in transizione e con numerosi problemi politici come quella kosovara – spiega Muja – i nomi si portano dietro la storia e gli slogan del momento in cui sono nate le persone. I contenuti più cari ai loro genitori”.
Un altro progetto-video di Alban Muja aveva per protagonisti due giovani nati negli anni ’80: Tibet e Palestina. “Penso che sia una forma di solidarietà che i loro genitori hanno espresso con la Palestina e il Tibet in quegli anni. Probabilmente perché associavano la situazione in Kosovo alle vicende politiche in quei due paesi”. I nomi possono anche esprimere sentimenti, gratitudine. Come la generazione dei Tonibler, i ragazzi che nati nel 1999 portano il nome e anche il cognome dell’allora premier britannico Tony Blair. “Blair è visto in Kosovo come un eroe, come uno tra quegli statisti di spicco che ha maggiormente contribuito alla liberazione del Kosovo. Questi ragazzi sono nati in quel momento storico”, spiega l’artista. Sono 9 i Tonibler che Muja ha fotografato, vestiti da cerimonia, disposti come in una foto di gruppo o di squadra, con un poster gigante di Tony Blair alle spalle.
Il suo interesse per i nomi ha portato Alban Muja anche oltre il Kosovo con progetti come “Tourist city”, ambientato a Novi Sad in Serbia, dove l’artista ha affiancato le trascrizioni in alfabeto latino ai nominativi delle vie principali delle città scritti esclusivamente in cirillico a seguito di una decisione politico-identitaria dei politici locali.
La mosca e l’autostrada
Alban Muja è uno tra i primi artisti giovani kosovari ad esporre in Albania. La mostra è stata resa possibile da “Kosovo 2.0” che la ha allestita nella neonata galleria Miza, iniziativa di tre giovani artisti albanesi. La mostra è solo una delle attività di un progetto più ampio – denominato “Autobahn” – un prestito linguistico dal tedesco nell’albanese-kosovaro che significa autostrada e che si rifà chiaramente all’Autostrada della nazione che ha facilitato il movimento tra Pristina e Tirana.
“Il progetto mira a presentare la cultura e l’arte del Kosovo in Albania – spiega Muja – finora la comunicazione culturale tra Tirana e Pristina è stata molto lacunosa. Fa eccezione il settore commerciale, che però rimane a fine commerciale e in funzione del profitto”.
Il progetto Autobahn coincide con un momento di rapporti più qualitativi e meno stereotipati tra Pristina e Tirana ma avviene anche nell’ambito di una nuova fase di apertura che si sta manifestando di recente nella capitale albanese con l’affermazione di una realtà alternativa che sembra motivata a fare arte sbarazzandosi degli schemi delle istituzioni culturali. “E’ uno scambio reciproco – commenta Muja – ma penso che ne gioverà di più Tirana, perché a Tirana la scena artistica è molto meno in fermento che a Pristina”.
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