Kosovo, l’opinione della Corte risolve qualcosa?
“Quando i miei studenti devono sostenere un esame, quello che dico sempre loro è che devono rispondere alla domanda che viene posta, non a quella con cui si sentono a proprio agio.” Stefan Wolff, docente all’università di Birmingham commenta le principali conclusioni della Corte dell’Aja in merito alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo
Stefan Wolff è docente di Sicurezza Internazionale all’università di Birmingham (Regno Unito) ed è condirettore della rivista accademica "Ethnopolitics ". Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul blog dell’Association for the Study of Nationalities .
Quando i miei studenti devono sostenere un esame quello che dico sempre loro è che devono rispondere alla domanda che viene posta, non a quella con cui si sentono a proprio agio. L’analogia perfetta non esiste, ma questa mi sembra riflettere piuttosto bene l’esito della delibera della Corte dell’Aja che, con una maggioranza di dieci voti contro quattro, ha concluso che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo (17 febbraio 2008) non viola il diritto internazionale.
La decisione della Corte si basa su un’interpretazione estremamente restrittiva della domanda posta dall’Assemblea generale delle Nazioni unite. Più in dettaglio, la Corte ci tiene a precisare che l’Assemblea “non chiede se il Kosovo abbia raggiunto lo status di Stato indipendente, né se il suo riconoscimento come tale da parte di alcuni Stati abbia legittimità o effetti legali”. In altre parole, “la Corte non ha ritenuto necessario valutare se la dichiarazione d’indipendenza abbia portato alla creazione di uno Stato né se il riconoscimento del Kosovo come tale sia legittimo”.
Qui la Corte ha perso una grande opportunità di chiarire nodi cruciali nel diritto e nelle relazioni internazionali, e in particolare le condizioni necessarie perché una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, nel contesto di un conflitto secessionista, possa dare legalmente origine ad un nuovo Stato.
Inoltre, la delibera lascia ampi margini di interpretazione e fraintendimento. La notizia che secondo la Corte la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo non aveva violato il diritto internazionale ha portato i leader di entità in posizioni analoghe, in particolare Abkhazia e Ossezia del sud, a ritenere che le rispettive dichiarazioni d’indipendenza abbiano ottenuto altrettanta legittimità. In realtà, questo è proprio il nodo che L’Aja ha evitato di affrontare.
La Corte, invece, ha fatto tre cose:
1. ha dimostrato che “il diritto internazionale generale non proibisce le dichiarazioni d’indipendenza”;
2. ha argomentato che le istituzioni provvisorie di auto-governo non sono autrici della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, e che i firmatari della dichiarazione hanno invece “agito collettivamente in qualità di rappresentanti del popolo al di fuori del governo ad interim”;
3. ha concluso che la dichiarazione d’indipendenza non viola la risoluzione 1244(1999) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha stabilito la missione ONU in Kosovo (UNMIK) e di conseguenza il governo ONU ad interim.
Il primo punto, per quanto pertinente, fa un quadro molto conservativo e piuttosto datato del diritto internazionale, evitando di discutere se la mancata proibizione di determinati atti equivalga alla loro automatica legittimazione. Tale omissione è un elemento dell’occasione persa segnalata dal giudice Simma che, pur concordando con la maggioranza nella valutazione complessiva, si è espresso molto criticamente sulle auto-restrizioni che la Corte si è imposta affermando che queste “riducano significativamente la qualità consultiva del parere della Corte stessa”. Nel motivare la propria opinione dissenziente, il giudice Bennouna si chiede, analogamente, come possa il parere della Corte, “limitato alla dichiarazione in quanto tale e separatamente dagli effetti legali della stessa”, “guidare l’organo richiedente, l’Assemblea generale, nel proprio esercizio”.
Il secondo punto rappresenta un’interpretazione estremamente sorprendente dei fatti sottoposti alla considerazione della Corte. In particolare, è difficile afferrare la logica secondo cui 109 membri su 120 dell’Assemblea del Kosovo, il Primo ministro e il Presidente (proprio le istituzioni provvisorie di auto-governo stabilite dall’UNMIK), durante una sessione speciale dell’Assemblea, non avrebbero agito in qualità di istituzioni provvisorie di auto-governo, ma in una non meglio definita capacità privata. Questa argomentazione è sostenuta con forza nelle opinioni dissenzienti del vice presidente Tomka e dei giudici Koroma, Bennouna e Skotnikov. Inoltre, il giudice Bennouna ha dimostrato che “il Segretario generale e il suo Rappresentante speciale in Kosovo” hanno dichiarato per iscritto che “la dichiarazione era invece opera della recentemente eletta Assemblea delle istituzioni provvisorie di auto-governo”.
Ritenere che gli autori della dichiarazione abbiano agito in qualità diversa da quella di istituzioni provvisorie di auto-governo ha permesso alla Corte di evitare di valutare nello specifico se le suddette istituzioni abbiano oltrepassato le proprie competenze stabilite dalle normative UNMIK nell’ambito del quadro costituzionale di auto-governo. La cosiddetta argomentazione ultra vires è oggetto di un trattamento piuttosto severo verso la fine del parere della Corte, ma rimane degna di nota per l’impressione che gli autori della dichiarazione d’indipendenza siano dispensati dal rispettare il quadro costituzionale. Tutti e quattro i giudici dissenzienti esprimono forte disaccordo con questa idea. Come fa notare il giudice Bennouna, “l’estraneità alle istituzioni ad interim non esime gli autori della dichiarazione dall’osservare il quadro legale stabilito dalla normativa UNMIK 1999/1”, in quanto “tutte le persone che vivono in Kosovo […] devono attenersi al regime di auto-governo stabilito dalle Nazioni unite”.
Riguardo il terzo punto (la non violazione della risoluzione 1244), la maggioranza della Corte sottoscrive la valutazione che la risoluzione non contenga “un divieto vincolante alla dichiarazione d’indipendenza”. A questa conclusione arriva dopo aver esaminato il linguaggio della risoluzione senza trovare nel testo riferimenti specifici alla “leadership albanese del Kosovo o altri attori”, contrariamente a risoluzioni precedenti come le 1160(1998), 1199(1998) e 1203(1998). Né, sostiene la Corte, si può dire che il Consiglio di sicurezza abbia esplicitamente escluso l’indipendenza del Kosovo dai possibili status finali, a differenza di quanto accaduto per Cipro, ad esempio nella risoluzione 1251(1999). Tuttavia, le opinioni dissenzienti, come quella del giudice Koroma, evidenziano che il fatto che la risoluzione 1244(1999) rimane in vigore finché il Consiglio di sicurezza non la rescinde è incompatibile con una dichiarazione d’indipendenza mirata a infrangere l’integrità territoriale della Repubblica federale jugoslava (di cui la Serbia ha ereditato la personalità giuridica) e a porre fine alla sua sovranità sul Kosovo. Entrambi i principi, infatti (integrità territoriale e sovranità) sono sanciti dalla risoluzione 1244(1999).
Quindi, cosa significa tutto questo per la miriade di conflitti di auto-determinazione, in mondi ben lontani dai comfort che circondano i giudici dell’Aja?
Se anche si accettasse il parere della Corte, esso non fornisce chiarimenti sugli effetti della dichiarazione d’indipendenza. Anzi, la Corte si rifiuta esplicitamente di farlo. I secessionisti di tutto il mondo potrebbero unirsi e gioire del fatto che, secondo la Corte, “il diritto internazionale non proibisce le dichiarazioni d’indipendenza”. Tuttavia, illuderebbero pericolosamente sé stessi e i propri seguaci se volessero derivarne una legittimazione giuridica per la creazione di nuovi Stati. La Corte non fornisce linee guida che permettano di stabilire quando queste dichiarazioni d’indipendenza raggiungono l’effetto desiderato dai propri autori.
Tuttavia, secondo il principio “ex injuria jus non oritur”, la proclamazione di una dichiarazione d’indipendenza, ora sancita come un atto che non viola il diritto internazionale nelle circostanze considerate dalla Corte, non preclude il conseguente stabilirsi legale di nuovi Stati.
Dato che la Corte cita esplicitamente Cipro come un caso in cui il Consiglio di sicurezza ha espressamente stabilito le condizioni in cui una dichiarazione d’indipendenza violerebbe il diritto internazionale, i turchi di Cipro possono trarre scarso conforto da questo caso. Al contrario, l’improbabilità di una risoluzione simile per Ossezia del sud e Abkhazia, di cui uno dei membri con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (la Russia) ha già riconosciuto l’indipendenza auto-proclamata, rappresenta una preoccupazione maggiore per la Georgia, che semplicemente non gode della stessa protezione di Cipro da parte del diritto internazionale.
I dibattiti suscitati dal parere della Corte non potranno che continuare. Tuttavia, proprio come la delibera non aiuta a determinare la legalità o meno dell’indipendenza del Kosovo, è altrettanto difficile che tali dibattiti su casi analoghi contribuiscano all’effettiva risoluzione di qualsiasi conflitto secessionista in corso. Spesso, infatti, questi sono determinati molto più spesso dagli equilibri di potere in campo. Nel caso della secessione del Kosovo dalla Serbia con il sostegno degli Stati Uniti e di 22 paesi UE su 27, il parere consultivo dell’Aja è irrilevante esattamente come nel caso della secessione di Abkhazia e Ossezia del sud dalla Georgia con il sostegno della Russia. Questa situazione, peraltro destinata a protrarsi, ha avuto molta influenza sulla ristretta e infruttuosa prospettiva adottata dalla Corte nel suo parere consultivo, nonché sulle logiche poco convincenti adottate in alcuni punti.
Tornando alla mia analogia iniziale, quando si è a un esame c’è un solo errore più grave che riaggiustare la domanda a proprio uso e consumo: dare una risposta sbagliata.
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