Kosovo, le dimissioni del Presidente
Fatmir Sejdiu, presidente del Kosovo e leader dell’LDK ha rassegnato le dimissioni dopo che il suo doppio ruolo è stato giudicato in violazione alla Costituzione. Ora si aprono nuovi scenari, tra cui le elezioni anticipate, e il prossimo inverno si preannuncia politicamente rovente
L’incontro con Barack Obama dello scorso 24 settembre è stato l’ultimo impegno ufficiale di Fatmir Sejdiu come presidente del Kosovo. Mentre si trovava negli Stati Uniti, dove ha raccolto l’ennesima conferma del sostegno americano alla causa kosovara, Sejdiu ha infatti ricevuto da Pristina la notizia che la Corte costituzionale lo aveva di fatto esautorato dalla propria carica.
La Corte infatti, ha sentenziato che Sejdiu stava violando la Costituzione, occupando allo stesso tempo due cariche: quella di capo dello stato e quella di leader del suo partito, la Lega democratica del Kosovo (LDK).
Fin dal giugno 2008 (quando la Costituzione kosovara è entrata in vigore) Sejdiu ha sostenuto di aver “congelato” la sua posizione alla testa dell’LDK. Questa formula non ha però convito i giudici della Corte, che con una maggioranza di sette su nove hanno sentenziato che Sejdiu era in violazione dell’articolo 88, comma 2, che recita: “Il Presidente non può esercitare alcun’altra funzione politica se non quella di capo dello Stato”.
La sentenza ha quindi generato la decisione di Sejdiu di rassegnare le dimissioni ( il 27 settembre), un atto che ha evitato l’inevitabile voto di impeachment a cui il presidente sarebbe andato incontro in parlamento. La posizione della Corte è stata generalmente letta come un intervento necessario a difesa della Costituzione. Anche il fatto che a capo dell’organo sieda un giudice americano (Robert Carolan) ha contribuito ad evitare che la sentenza potesse essere letta come un atto politicizzato.
In realtà molti politici avevano sollevato da tempo la questione del doppio ruolo di Sejdiu, insieme ai media e a parte della società civile. Sejdiu però aveva continuato per la sua strada, divenendo in un certo senso il primo a contravvenire la legge fondamentale dello stato, di cui era invece chiamato ad essere il garante.
Sejdiu verrà ricordato come il leader politico che ha guidato il Kosovo durante il lungo processo che ha portato Pristina a dichiarare l’indipendenza nel febbraio 2008. Allo stesso tempo, però, sarà ricordato per aver fallito la missione di dare all’istituzione presidenziale un profilo forte e chiaro.
Le sue dimissioni segnano anche il definitivo emergere della Corte costituzionale come importante fattore di controllo del sistema politico. Per evitare che si ripeta un “caso Sejdiu”, sono in molti tra i commentatori ed esperti politici ad invocare l’elezione diretta del capo dello stato, come già avviene in numerosi paesi dell’area balcanica.
La richiesta di porre fine alla situazione con un ricorso alla Corte costituzionale è divenuto realtà solo dopo che Naim Rrustemi, ex PDK (Partito Democratico del Kosovo, la formazione del premier Hashim Thaci) è riuscito a raccogliere in parlamento le trenta firme necessarie. Tra i firmatari, tra l’altro anche un membro dell’LDK, Ali Lajci.
All’interno dell’LDK negli anni sono emersi non pochi malumori nei confronti della posizione di Sejdiu. Il partito appare disunito, e la mancanza di posizioni condivise sta danneggiando la formazione politica che per anni ha dominato la scena kosovara.
Molti dei suoi membri più importanti l’hanno abbandonata nel corso degli anni. Le fratture più evidenti emersero nel febbraio 2006, quando l’LDK stava cercando un erede al defunto Ibrahim Rugova (il quale, per inciso, occupava anche lui contemporaneamente i ruoli di Presidente del Kosovo e leader del partito).
Oggi non si vedono nomi nuovi in grado di prendere le redini del partito. Anche la “vecchia guardia”, dopo aver visto Sejdiu perdere la poltrona di Presidente, non è affatto sicura di volerlo ancora alla guida dell’LDK. In ogni caso, entro la fine dell’anno dovrebbero tenersi elezioni interne, che dovrebbero fare chiarezza.
Buona parte del partito sembra appoggiare ancora Sejdiu, ma la possibilità che venga ricandidato alla presidenza viene giudicata da molti commentatori come un errore, che potrebbe significare “l’inizio della fine” per l’LDK.
Allo stesso tempo, il PDK e il premier Thaci debbono mantenere un difficile equilibrio. Anche se molti dei suoi uomini di potere si trovano oggi sotto inchiesta per abuso di potere e corruzione, l’uscita di scena di Sejdiu ha rafforzato le posizioni del partito.
Il presidente del parlamento, Jakup Krasniqi espleta infatti oggi (e per un massimo di sei mesi) le funzioni di Presidente, almeno finché non ne verrà eletto uno nuovo. Se PDK ed LDK manterranno il patto di governo, dovrebbe infine spuntarla un uomo della LDK, ma fino ad allora il PDK avrà in mano le più importanti cariche dello stato.
L’opzione delle elezioni anticipate si fa però nel frattempo sempre più concreta: si parla di novembre o primi mesi del 2011, nonostante quest’ipotesi inizialmente sembrasse non praticabile a causa dei tempi ristretti.
Il gran parlare di possibili elezioni mostra che i partiti hanno iniziato a fare calcoli e a pensare strategie per poter sfruttare a proprio vantaggio il guazzabuglio causato dalla “questione Sejdiu”. Le formazioni oggi al governo, PDK ed LDK, possono gestire il processo, decidendo in base ai propri interessi. D’altro canto, anche i partiti di opposizione sembrano volere le elezioni per testare la capacità della coalizione di governo, mostratasi molto spesso poco funzionale e coesa, di superare l’esame degli elettori.
L’Alleanza per il Futuro del Kosovo (AAK) ha comunque annunciato il possibile boicottaggio del voto se questo dovesse avvenire prima del ritorno del proprio leader, Ramush Haradinaj, dall’Aja, dove aspetta l’esito del nuovo processo a suo carico per crimini di guerra.
Anche Albin Kurti, leader del movimento Vetevendosje, che appare oggi in rapida ascesa nei sondaggi, potrebbe restare escluso da eventuali consultazioni. Kurti è stato infatti condannato per resistenza alla forza pubblica durante una manifestazione tenuta nel 2007. La condanna lo esclude dalla possibilità di candidarsi fino a quando non avrà scontato la pena, e cioè giugno 2013.
I rappresentanti di Usa, Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania (il cosiddetto Quint), che hanno avuto un ruolo centrale nel convincere Sejdiu a rassegnare le dimissioni dopo la decisione della Corte costituzionale,sembrano interessati ad avere istituzioni di nuovo pienamente funzionanti entro il prossimo gennaio, quando dovrebbe essere già pronto il campo per nuovi contatti tra Pristina e Belgrado.
Tutto lascia presagire che, nonostante l’inverno bussi alle porte, col passare dei mesi la stagione politica kosovara sia destinata a diventare sempre più rovente.
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