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Kosovo: la fine della supervisione?

La supervisione del Kosovo non finirà oggi, con la fine dell’ICO. Per l’ICO, di fatto, non lo ha mai supervisionato. Un commento sul termine della missione internazionale creata con il Piano Athissari

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Se me lo si chiedesse, sarebbe difficile per me dire se la mia reazione agli eventi programmati per oggi – una conferenza, dichiarazioni pubbliche, cene di rappresentanza, musica e forse anche dei fuochi d’artificio – sia stata di sorpresa o di dispiacere.

Perché l’unica cosa che accade oggi è che l’ICO (International Civilian Office) chiude e queste celebrazioni – come per dire “Che liberazione!” – sono perlomeno segno di maleducazione nei nostri confronti (ho lavorato all’ICO per tre anni).

Per metterla più chiaramente: qualsiasi cosa abbiate sentito o letto, la supervisione del Kosovo non finirà oggi, per due ragioni: l’ICO ha fatto molte cose, buone o cattive, ma certamente non supervisionava il Kosovo; e il Kosovo è stato, è e sarà supervisionato o gestito o influenzato o qualsiasi termine voi preferiate da potenze straniere: in primo luogo gli Usa e in modo meno marcato dall’Unione europea ed alcuni suoi stati membri.

Ma per far cosa era stata ideata l’ICO? Sempre più letteratura sottolinea come la qualità delle istituzioni di un paese è una delle cause principali della sua crescita economica di lungo termine e che istituzioni politiche plurali e aperte favoriscono l’emergere di istituzioni economiche efficienti, istituzioni che nello specifico massimizzano la crescita aggregata e il benessere sociale. Al contrario un sistema politico chiuso e autoritario è probabile produca istituzioni economiche insufficienti, che permettono all’élite al governo e ai gruppi sociali che quest’ultima rappresenta di ottenere una quantità di benessere e risorse sproporzionate, questo però senza massimizzare la crescita del paese.

Per questo costruire istituzioni funzionanti in Kosovo è desiderabile sia per i suoi cittadini che per la stabilità della regione e dell’Europa. E’ questa la visione implicita che emerge dal Piano Athissari e che rappresenta la sua struttura razionale, almeno da un punto di vista oggettivo: se si mette un attimo da parte i parafernalia della multietnicità – che ha un valore ampiamente simbolico, perché pochi paesi in Europa sono più omogenei etnicamente del Kosovo – le sue 61 pagine riguardano tutte il costruire buone istituzioni, politiche ed economiche. Guidare e assistere questo processo era compito dell’ICO (in parallelo, il compito di Eulex era quello di rafforzare lo stato di diritto, che costituisce le fondamenta di ogni istituzione).

Ma le istituzioni, in essenza, sono regole. E le regole modellano la realtà a seconda di come vengono applicate. L’ICO ha seguito la stesura di molte buone regole, in base alle quali le istituzioni del Kosovo sono state erette o riformate, ma ha tralasciato la loro implementazione: non ha fatto alcuno sforzo serio di ridurre lo iato tra come quelle istituzioni di fatto funzionano e come dovrebbero funzionare. Le leggi, ciononostante, sono inutili se non vengono implementate o se vengono strutturalmente ignorate. Questo è quello che accade in Kosovo, dove le istituzioni sono la facciata formale dietro alla quale le élite seguono i loro interessi particolari: anche la Corte costituzionale viene utilizzata come uno strumento partigiano. L’ICO ha fatto finta di non accorgersene e sempre più si è concentrata sull’abbellire la sua facciata preferita, quella della multietnicità (che, ripeto, non è il problema principale del Kosovo). Il silenzio dell’ICO ha permesso alle élite di stendere il proprio controllo sulle istituzioni e ha contraddetto la logica della sua stessa esistenza: quello che è avvenuto sotto i suoi occhi è stata una non troppo celata rapina di stato.

Perché l’ICO ha operato così? Le conseguenze politiche di un’indipendenza del Kosovo dal carattere controverso non sono una spiegazione sufficiente. L’ICO ha fallito anche perché implementare le leggi è un lavoro più difficile che scriverle, e il management e lo staff di ICO non erano tutti di primordine. Implementare quelle leggi avrebbe significato affrontare l’élite del Kosovo, che ancora comanda gente armata. E perché gli USA non hanno permesso all’ICO di agire in modo indipendente, in accordo con il proprio mandato, ma hanno preferito utilizzarlo come un mantello multilaterale per coprire la propria predominanza (anche il Quintetto a volte funziona nello stesso modo). In modo del tutto legittimo gli Usa hanno però seguito i propri interessi e non l’implementazione del Piano Athissari o la creazione di buone istituzioni in Kosovo. E dato che il benessere dei cittadini kosovari e la stabilità dei Balcani non sono tra i suoi interessi principali, il suo approccio è stato in termini un po’ semplicistici quello di permettere all’élite del Kosovo di condurre i propri affari abbastanza liberamente, richiedendo solo un rispetto dei principi del Piano Athissari e docilità rispetto alle richieste americane. Non sorprendentemente tutti gli indicatori disponibili sanciscono che dal 2008 la qualità della governance in Kosovo non è migliorata e addirittura è peggiorata: Freedom House, ad esempio, ancora lo definisce come uno “stato autoritario semi-stabile”, l’unico in Europa. E per questo che vedo poche ragioni per celebrare oggi: se non perché è il mio compleanno.

ICO è andata, i riflettori ora tornano sui cittadini. E chiaro che tra democrazia e stabilità politica sotto un élite docile, o tra sviluppo di lungo termine e vantaggi nella costruzione di autostrade, gli Usa normalmente preferiscono le seconde tra le opzioni. Gli europei hanno invece interessi che si avvicinano maggiormente a quelli dei kosovari, ma sono stati in passato, e lo sono tutt’ora, divisi (lasciando perdere il fatto che la stessa Europa rischia di involvere e rimanere esclusivamente un’espressione geografica).

Ed anche se Eulex sembra che abbia tentato di migliorare il proprio funzionamento, è quasi in partenza e di certo non ripulirà la politica del Kosovo. Quindi, solo i cittadini kosovari possono migliorare il proprio futuro. L’élite che sta mal gestendo il paese oggi ha perso un affidabile sostenitore ed un utile schermo davanti agli occhi della pubblica opinione, e le loro deformità stanno ora nude di fronte agli occhi dei cittadini: prima o poi le riterranno inguardabili e voteranno per un governo migliore. E’ un bene che l’ICO chiuda, e in questo senso la chiusura è arrivata forse solo con due o tre anni di ritardo.

Se, dopo la fase euforica della costruzione dell’indipendenza, l’ICO e la supervisione del Kosovo sono gradualmente divenute un genere teatrale, le celebrazioni di oggi risultano particolarmente efficaci come gran finale, nel quale I personaggi principali cantano assieme sul palco: ma diversamente dal Don Giovanni il seduttore non affonda all’inferno, avvolto nelle fiamme ed ha le sembianze di un ministro ingordo che afferra una busta piuttosto che quelle nobili di un libero pensatore. Nonostante il panel di alto livello, quindi, la conferenza in programma oggi, presumo possa produrre meno analisi che propaganda. Il che è un peccato, perché la supervisione del Kosovo è un argomento estremamente interessante. Perché, ad esempio, gli europei hanno permesso che tutto questo avvenisse, nel loro giardino di casa e in un luogo dove hanno investito ingente capitale politico e finanziario? Perché hanno permesso che Eulex si scostasse dalle proprie tracce, per finire su quelle dell’ICO? E perché l’ICO non ha provato a stimolare la società civile kosovara, suo naturale alleato, per essere aiutati nel chieder conto al governo dei propri atti?

In una recente intervista Pieter Feith – a capo dell’ICO – ha dichiarato che l’11 settembre sarà il giorno più felice per il Kosovo. A mio avviso il giorno migliore per il Kosovo è stato qualche giorno fa, quando l’ormai ex ambasciatore Usa se ne è andato da Pristina. Intossicato o persino inebriato dal potere quest’ultimo ha trattato il mio ex capo in modo intollerabile allo sguardo. Il Kosovo è piccolo, molto lontano dalla capitali occidentali e il carattere delle persone che le rappresentano a volte è più significativo di quanto non si volesse sperare: il trattamento duro riservato al debole diplomatico europeo da parte dell’ambizioso americano è per questo una metafora di cosa è andato male nella supervisione del Kosovo. Ha lasciato il Kosovo. In retrospettiva, probabilmente emergerà che il giorno più importante per la storia del Kosovo è stato quello in cui Washington si è resa conto che quell’ambasciatore non ha fatto buon uso della libertà di cui ha goduto, si è avvicinato forse troppo all’élite predatoria del Kosovo: il giorno in cui è stato rimpiazzato da un altro diplomatico.

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