Kosovo: la corte che decide su se stessa
Possono i giudici costituzionali in Kosovo prendere parte a decisioni su questioni che li riguardano direttamente? Certo che sì. Un commento
La crisi politica del Kosovo e lo scandalo che ha coinvolto Eulex hanno lasciato in secondo piano l’ultima sentenza emessa dalla Corte costituzionale. E’ un peccato, perché meritava più attenzione. Il caso era quello riguardante la legittimità di un decreto attraverso il quale, verso la fine dell’agosto scorso, il presidente del Kosovo ha esteso il mandato di tre giudici internazionali della Corte costituzionale.
Qualche settimana fa l’Ombudsperson ha richiesto un giudizio alla stessa Corte costituzionale sulla legittimità di tale decreto. Il ricorso presentato è particolarmente chiaro e cogente. Dal mio punto di vista il decreto è evidentemente illegale: è sufficiente dire che l’unica persona – un ex consulente legale del governo – che abbia tentato di difendere la sua legalità per farlo è stato obbligato ad imbrogliare (ha utilizzato una citazione fuorviante). Ma proviamo ad assumere, per amore di argomentazione, che la questione è incerta: che vi sono argomenti da entrambe le parti da legittimare un dibattito.
Il ricorso presentato dall’Ombudsperson ha sollevato una questione preliminare e cioè che i tre giudici internazionali parte della Corte costituzionale non erano indifferenti all’esito del caso. Nel caso infatti la Corte avesse deciso che il decreto era illegale, avrebbero perso il loro incarico, il loro lavoro e di conseguenza il loro salario. Anche la loro reputazione ne avrebbe sofferto. Come ci si poteva aspettare che avrebbero giudicato in modo imparziale sul merito del ricorso? Il loro interesse personale era evidentemente in conflitto con il loro dovere di lealtà esclusiva alla costituzione: si sono trovati in una situazione generalmente indicata come “conflitto di interesse”.
Questo significa che due parti dello stesso cervello, o coscienza, lavorano una contro l’altra, combattute tra il dovere di imparzialità e gli interessi personali. Dato che nessuno può insinuarsi nella coscienza di una persona per verificare quale elemento prevalga, l’unico modo per evitare tale situazione è normalmente di evitare la tentazione. Nemo iudex in re sua è come l’hanno messa 2000 anni fa: nessuno può giudicare sulle cose che lo riguardano direttamente.
In termini attuali si afferma che persone con “conflitti di interessi” non possono dire la loro nella materia su cui il conflitto verte. In tutto il mondo e in tutti i settori della vita politica, sociale ed economica vi sono regole che affermano che se qualcuno ha un interesse che è in conflitto rispetto ai suoi doveri su una determinata questione, allora deve astenersi dal decidere su quella specifica questione.
L’art. 18 della legge riguardante la Corte costituzionale in Kosovo è una di tali regole: “[un] giudice è escluso ex officio dalla partecipazione ad un procedimento o relativamente ad una richiesta da chiunque provenga se, il medesimo giudice è coinvolto nel caso che è sottoposto all’esame della Corte costituzionale”. L’articolo 2.2 del codice di procedura della stessa corte sancisce un criterio ancora più stringente: “I giudici avranno cura di evitare qualsiasi conflitto di interesse e non prenderanno parte ad alcun caso in cui la loro parzialità possa essere messa in dubbio”.
La corte è ben conscia di tali norme e sa cosa significano. Ha per esempio negato ad uno dei suoi giudici di prendere parte in alcuni casi “politici” perché era stato visto partecipare ad un comizio del partito PDK. E la ragione era, naturalmente, che si presumeva potesse essere vicino al PDK e per questo potesse essere tentato di decidere in favore degli interessi di quel partito su casi “politici”: la sua ”(im)parzialità poteva essere ragionevolmente messa in dubbio”, come si afferma nel codice di procedura. Molto bene. Ciononostante quel giudice aveva in corso un conflitto di interessi indiretto o solo presumibile, che derivava dalla sua apparente affiliazione politica: ma la tentazione a cui sono stati sottoposti i tre giudici internazionali non era maggiore? Loro avevano un conflitto di interessi diretto, che riguardava denaro che arriva direttamente sui loro conti correnti: erano, utilizzando il linguaggio dell’art 18 “coinvolti” nel caso, perché riguardava la legalità della loro stessa nomina.
La sentenza della Corte è stata approvata all’unanimità da sette dei giudici che la compongono: il giudice “squalificato” non ha preso parte alla decisione, perché questo era reputato un caso politico, ma i tre giudici internazionali hanno votato. La sentenza non nomina nemmeno i due articoli sopracitati. E non cita né utilizza nessuno dei seguenti termini: “pregiudizio”, “interesse personale”, “imparzialità”. Il colossale conflitto di interessi che riguarda i tre giudici internazionali non viene minimamente preso in considerazione.
Inoltre il ricorso dell’Ombudsperson era un provvedimento d’urgenza come quello che ha ad esempio riguardato l’elezione di Isa Mustafa come presidente dell’Assemblea del Kosovo. A questi ricorsi, per legge, si deve dare priorità rispetto a tutti i casi pendenti. Il caso che ha riguardato Mustafa è stato giudicato in cinque giorni. In questo caso invece 35 giorni sono seguiti al deposito del ricorso, un ritardo per il quale giustamente l’Ombudsperson si è lamentato e che la corte non ha giustificato.
La mia interpretazione è la seguente. I giudici hanno inizialmente tentato di trovare qualche argomentazione per dire che non vi era alcun conflitto di interesse. Ma la loro fantasia li ha traditi: nessuna delle argomentazioni che sono loro venute in mente poteva essere messa nero su bianco senza causare un’ilarità incontrollabile nel lettore. Ed allora si sono probabilmente detti: “Perché dovremmo preoccuparcene? Siamo la corte di più alto livello e nessuno può contraddirci, abbiamo già emesso sentenze improbabili e non ci è accaduto nulla, al contrario è stato tirato fuori questo decreto illegale per estendere il nostro mandato. Basta far finta non vi sia conflitto di interesse alcuno e non nominare nemmeno la questione”.
Non riporto nemmeno che cosa si afferma nella sentenza perché non ne vale la pena: dato che è il prodotto di un colossale e non dichiarato conflitto di interesse, le ragioni dichiarate non hanno nulla a che vedere con quelle reali. Potete però leggere se volete la risposta alla sentenza redatta dallo stesso Ombudsperson che – mi si dice – è accurata e completa.
Nonostante questa sentenza sia una barzelletta, e la corte una farsa, la questione del dibattere è seria: è una ferita aperta nel senso vero e proprio dello stato di diritto dato che la Corte effettivamente afferma che la legge è quello che lei ritiene essere la legge e non quanto si legge sulla gazzetta ufficiale.
La Corte deve essere ritenuta responsabile di tutto questo: dato che è un organo politico, e di parte, deve essere trattato come tale. Così come si dimostra ad esempio contro un governo a guida PDK, si dovrebbe protestare contro una Corte a guida PDK. Non farlo confermerebbe la convinzione di impunità della Corte stessa e le permetterebbe di continuare a distorcere e danneggiare la vita politica del Kosovo.
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