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Kosovo: il pasticciaccio brutto di Atifete Jahjaga

Una recente decisione del presidente del Kosovo Atifete Jahjaga non avrebbe alcuna base legale. E costituisce un grave colpo agli equilibri già fragili del giovane stato kosovaro. Per Andrea Lorenzo Capussela vi sarebbe materia per chiedere l’impeachment

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Il 31 agosto scorso il presidente del Kosovo ha esteso per due anni il mandato – che scadeva proprio quel giorno – di tre giudici internazionali della Corte costituzionale: sino al giugno 2016 (la decisione non è pubblicata, un comunicato stampa in merito è qui disponibile). Secondo quanto riportato la decisione sarebbe stata sostenuta dalla delegazione Ue in Kosovo.

Quei tre giudici costituzionali internazionali sono quanto rimane del periodo di semi-protettorato. Quando la supervisione internazionale del Kosovo è volta al termine, nel settembre 2012, il suo parlamento ha ripulito la costituzione rimuovendo ogni riferimento alla supervisione internazionale e alla sua matrice, il cosiddetto piano Ahtissari. Si rimaneva però in una fase di transizione dato che tutti i funzionari nominati dal supervisore internazionale, l’ICO, avrebbero continuato a “portare avanti le loro funzioni nelle istituzioni sino a scadenza di mandato”. Questa previsione (art.161 della costituzione) si applica anche ai tre giudici della corte costituzionale, nominati dall’ICO.

Ritengo che l’estensione del mandato sia illegale e si basi su poteri che il presidente Atifete Jahjaga, ex capo di polizia elevato alla presidenza del paese dall’allora ambasciatore Usa, ha tirato fuori dalla propria fantasia. Ritengo anche che questa decisione giustifichi un processo per impeachment.

La decisione presa da Atifete Jahjaga si basa esplicitamente su un recente scambio di lettere tra il Kosovo e l’Unione europea riguardanti il mandato di Eulex, la missione europea sullo stato di diritto in Kosovo. Lo scambio di lettere – che si può leggere qui come annesso alla legge con la quale il parlamento kosovaro lo ha ratificato il 23 aprile – contiene previsioni dettagliate sulla nomina da parte di Eulex di giudici e pubblici ministeri e che sono esplicitamente intese come abroganti le previsioni legislative presenti nelle leggi del Kosovo e nella costituzione relative alla selezione degli amministratori della giustizia.

Lo scambio di lettere non riguarda la Corte costituzionale. Ciononostante vi è un riferimento ai suoi giudici: in un paragrafo, il settimo, nel quale il presidente “conferma” sia i giudici nominati da Eulex in uno scambio precedente di lettere che quelli costituzionali nominati dall’ICO. Questa non può essere letta che come una conferma di quanto il parlamento aveva già deciso nel 2012: letteralmente, che i tre giudici costituzionali internazionali sarebbero rimasti in carica “sino a termine di mandato”. In aprile, mese dello scambio di lettere, il loro mandato non era scaduto e non vi è alcuno spazio per interpretare quel “conferma” come un’estensione del loro mandato o come fondamenta di un supposto potere presidenziale di estendere il loro mandato.

Al contrario il riferimento alla conferma intende solo chiarire che i “giudici e pubblici ministeri” già in carica di Eulex – nominati attraverso una procedura leggermente differente da quella prevista nello scambio di lettere – sarebbero rimasti in carica. Il paragrafo relativo alla “conferma” è infatti seguito da un altro paragrafo dove si afferma che Eulex – che non ha alcun mandato o potere relativo alla nomina di giudici costituzionali – rimane libera di rimpiazzare gli attuali “giudici o pubblici ministeri” ma dovrà farlo secondo la nuova procedura stabilita.

Questo rende chiaro che la conferma riguarda in realtà solo i giudici Eulex e non quelli costituzionali, anche solo per il fatto che lo scambio di lettere riguarda una nuova procedura di nomina dei giudici Eulex e non di quelli costituzionali. Il collegamento logico e funzionale tra la “conferma” e la nuova procedura è chiaro e più volte ripetuto e non lascia spazio ad altre interpretazioni. Il riferimento ai giudici costituzionali è stato probabilmente aggiunto come retropensiero per rendere chiaro che nulla era cambiato per quanto li riguardava.

Vi è un ulteriore argomento forte che corrobora questa interpretazione. Dato che lo scambio di lettere di fatto si sovrappone alla costituzione, è da interpretarsi in modo restrittivo, per limitare il cambiamento della costituzione al minimo necessario all’implementazione delle nuove previsioni.

Nello scambio di lettere non vi è alcun esplicita delega né ad Eulex, né all’Ue o al presidente per nominare i giudici costituzionali: vi è solo una delega di poteri ad Eulex che riguarda la selezione dei propri giudici e pubblici ministeri. Di conseguenza lo scambio di lettere non può essere letto come deroga alle regole costituzionali in merito alla nomina dei giudici costituzionali.

Per chiudere la discussione basta portare all’estrema conseguenza un’eventuale contro-argomentazione. Si dovrebbe infatti affermare che, nascosto da qualche parte dello scambio di lettere, vi sia la delega al presidente del Kosovo di nominare tre giudici costituzionali: una delega senza limiti, dato che nulla si scrive a proposito. E sarebbe stupefacente dato che garantirebbe ad un presidente non eletto direttamente e non dotato di poteri esecutivi un potere simile a quello del presidente degli Stati uniti: data l’importanza della Corte costituzionale la delega di tale potere andrebbe radicalmente nella direzione di cambiare gli equilibri nel sistema costituzionale del Kosovo. Dato che, per l’elezione del presidente del Kosovo è sufficiente infatti una maggioranza assoluta in parlamento, una semplice maggioranza parlamentare sarebbe in grado di eleggere un governo, un presidente e quindi, indirettamente anche tre giudici costituzionali. E questo indebolirebbe il sistema di controlli ed equilibri. Può un potere solo supposto da uno scambio di lettere burocratico tra istituzioni kosovare e l’Ue implicare tutto questo? Sarebbe completamente assurdo.

Possiamo quindi concludere che lo scambio di lettere non ha cambiato nulla rispetto alla nomina dei giudici costituzionali. La previsione di legge da applicare è l’art. 114 della costituzione secondo il quale i giudici – tutti, non vi è infatti alcuna formale necessità di averne tre internazionali e nessuna procedura speciale per quelli internazionali – vengono nominati dal presidente a seguito di una proposta del parlamento votata con una maggioranza dei due terzi. Il presidente potrebbe probabilmente rigettare la proposta del parlamento ma certamente non può fare una nomina senza aver prima ricevuto quest’ultima. Quindi la decisione presa da Atifete Jahjaga è totalmente illegale: ha semplicemente fatto qualcosa senza avere il potere per farlo.

Si può argomentare che la presidente ha meramente "esteso" il mandato di tre giudici già in carica per due anni, ma non ha fatto una vera e propria "nomina". Non è così: questo equivale ad una nuova nomina, perché quello che conta è che la presidente ha dato a tre giudici il potere di operare come giudici costituzionali oltre la durata del mandato originario. Dopo la scadenza del mandato, i tre giudici sono diventati potenziali candidati a quella posizione esattamente come tutti gli altri rispettabili esperti costituzionali in Kosovo e nel resto del mondo. Su quale base li ha scelti? E’ stata una scelta solitaria, arbitraria, non trasparente. La costituzione non indica questo, ma che i giudici costituzionali siano proposti dal parlamento dopo un dibattito pubblico e con il voto di una maggioranza dei due terzi, che di fatto consente il veto all’opposizione.

Si può argomentare che la presidente ha proceduto in questo modo perché le istituzioni kosovare sono in stallo dall’8 giugno, quando si sono tenute le elezioni. In effetti il parlamento non è ancora neanche riuscito a nominare il suo presidente, e di conseguenza non è in grado di operare (e dunque di proporre tre nuovi giudici costituzionali). Questo ha minacciato un blocco parallelo della corte, che per legge non può operare con meno di sette giudici ma ne avrebbe avuti in carica solo sei (9 meno 3).

Questa argomentazione non è corretta. Primo, la presidente stessa ha invocato, come base per la sua decisione, lo scambio di lettere , e non qualche potere implicito di risolvere le crisi istituzionali (per la semplice ragione che questi poteri non sembrano esistere). Secondo, il mandato di due anni affidato a questi giudici va ben oltre lo scopo di risolvere quello stallo. Terzo, anche se l’estensione fosse più limitata nel tempo, e intesa soltanto a superare il blocco, il problema della corte doveva essere risolto dalla corte stessa, e non dal presidente.

Infatti, poiché il quorum di sette giudici è indicato in una legge, non in costituzione, e poiché la costituzione presumibilmente richiede alla corte di essere costantemente funzionale, i giudici restanti avrebbero potuto, per esempio, decidere che in quelle circostanze il quorum debba essere ridotto a cinque (o quattro) giudici per poter rispettare un principio costituzionale imperativo. Questa sarebbe stata una soluzione più economica, non ci si sarebbe immischiati nella composizione della corte e non si sarebbe lesa la costituzione. La differenza cruciale è che i tre giudici stranieri sono adesso di fatto i giudici del presidente: così come li ha nominati per decreto, sulla base di un potere inventato e senza limiti, così può rimuoverli per decreto, sulla base dello stesso potere (logicamente, se discrezionalmente la presidente poteva fare qualcosa, allo stesso modo discrezionalmente può revocare quella decisione). In una tale situazione di incertezza, non regolata, questi giudici de facto sono al servizio della presidente e non indipendenti come dovrebbero essere.

Dunque, non ci sono dubbi che la presidente abbia violato la costituzione. Questo giustificherebbe l’impeachment come previsto dall’articolo 113.6 della costituzione, che sancisce che il presidente può essere rimosso nel caso commetta "una grave violazione della costituzione". La violazione è "grave" sia sulla base della sua natura che sulla base dei suoi effetti. Nominando illegalmente tre giudici costituzionali, Atifete Jahjaga ha screditato la presidenza, la corte, e la stessa nozione di stato di diritto. E collocando nella corte tre persone scelte arbitrariamente, la presidente ha alterato la composizione di un organo cruciale dello stato che potrebbe influenzare tutte le decisioni future. Si tratta di una delle più gravi violazioni che un presidente possa fare.

Quelli che hanno ragione ad opporsi a questa decisione, o che hanno a cuore lo stato di diritto in Kosovo, possono reagire: come previsto dall’articolo 113.6 della costituzione, 30 o più deputati possono portare il caso di fronte alla corte costituzionale – ironia di questa storia – chiedendo la rimozione del presidente.

Sarebbe un caso interessante, perché la corte potrebbe essere incapace di decidere. La corte opera infatti con un quorum di sette giudici: ma a uno degli attuali nove giudici è stato vietato di trattare casi "politici" in quanto ha partecipato ad una manifestazione politica; mentre i tre giudici stranieri hanno un conflitto di interesse – che per legge impedisce loro di prendere parte alla decisione in quanto il caso riguarderebbe la loro stessa nomina.

Ogni esito possibile sarebbe cosa buona per il Kosovo. Se la corte scegliesse di non decidere, per assenza di quorum, probabilmente le pressioni politiche forzerebbero la presidente ad annullare la sua decisione. Se la corte scegliesse di rimuovere la presidente, questa decisione potrebbe rafforzare in modo significativo lo stato di diritto. Se, al contrario, la corte decidesse di salvare la presidente, come è più probabile, questo la screditerebbe ancora di più. E questo potrebbe accelerare il processo alla fine del quale il Kosovo arriverebbe a dire "è abbastanza!", e si darebbe finalmente una corte costituzionale imparziale.

L’ultimo aspetto che resta da evidenziare è che l’estensione di quei tre giudici è davvero una cattiva decisione: essi hanno approvato numerosi giudizi manifestamente sbagliati, e non hanno fatto niente per evitare che la corte venisse "catturata" dall’élite politica kosovara, che adesso la usa come uno strumento per le proprie strategie. Per cui se è vero che la delegazione UE ha sostenuto la decisione della presidente, è stato davvero un cattivo consiglio. Tanto cattivo che non riesco a credere che un tale consiglio possa davvero essere stato dato.

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