Kosovo e Serbia: voci da terre di confine
Cosa si prova a vivere in aree considerate merci di cambio? La questione dello scambio di territori tra Serbia e Kosovo vista da alcuni abitanti della zona. Reportage
(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 17 febbraio 2019)
Il 17 febbraio scorso ricorreva l’undicesimo anniversario dell’indipendenza del Kosovo; il 17 febbraio 2008 i rappresentanti eletti nell’Assemblea del Kosovo votarono all’unanimità a favore della Dichiarazione d’indipendenza, giurando di difendere l’integrità territoriale dello stato più recente d’Europa.
Appena un decennio dopo, hanno preso piede diverse discussioni sulla possibilità di un cambiamento dei confini di questo territorio. Negli ultimi mesi, parole come “correzione” e “aggiustamento” di confini e “scambio” di territori sono entrate nelle conversazioni quotidiane, dopo che il Presidente kosovaro Hashim Thaçi ed il Presidente serbo Aleksandar Vučić – nel corso di un dialogo mediato dall’Unione europea tra i due stati al fine di normalizzarne i rapporti – hanno iniziato a parlare apertamente dell’idea di ridisegnare i confini.
La natura esatta di ogni potenziale cambiamento del confine preso in considerazione non è ancora stata spiegata in maniera esplicita, lasciando i cittadini ed i cronisti alle loro conclusioni; l’opzione più discussa è lo scambio della regione a maggioranza serba a nord del Kosovo con la valle di Preševo, a maggioranza albanese e nel sud della Serbia.
Con poche informazioni disponibili, molte domande rimangono senza risposta: le risorse-chiave (come il lago Ujman/Gazivoda nel nord del Kosovo) faranno parte dello scambio? La parte nord della città di Mitrovica sarà ceduta alla Serbia? Sarà l’intera municipalità di Preševo ad unirsi al Kosovo? Che ne sarà di Bujanovac, una città a maggioranza albanese con una percentuale significativa di serbi?
L’idea è stata accolta da reazioni molto forti, sia in Kosovo e nella regione, che da parte di leader stranieri; gli oppositori l’hanno definita una minaccia per l’integrità del Kosovo e la stabilità dell’intera regione, mentre i suoi sostenitori hanno affermato che potrebbe finalmente offrire una soluzione per la fine delle ostilità tra Pristina e Belgrado.
Sebbene il quadro generale (cioè la geopolitica, le ripercussioni a livello regionale e il precedente che un passo di questo tipo potrebbe stabilire) è stato ampiamente discusso, è stata data poca attenzione a coloro che in realtà vivono nelle due aree soggette a questo dibattito.
Cosa ne pensano i cittadini della valle di Preševo e del nord del Kosovo? Com’è vivere nell’incertezza, con pochi dettagli disponibili su ciò che effettivamente viene preso in considerazione? Che impatto effettivo potrebbe avere questo scambio nelle loro vite?
Kosovo2.0 lo ha chiesto a sette residenti, nella valle di Preševo e nel nord del Kosovo. Persone che, come molte altre, ne stanno parlando ma a cui viene raramente data la possibilità di parlare per esprimere la loro opinione sulla vicenda. Mentre alcuni vedono nel cambiamento dei confini un’opportunità di ricongiungersi con il paese dove sono maggioranza etnica, altri pensano che questo cambiamento non riuscirebbe a risolvere le battaglie quotidiane, indipendentemente dal paese di cui si fa parte.
Milica Andrić Rakić, professione giornalista – Zubin Potok
Personalmente – e credo che questa sia l’opinione di molti – ho sentimenti contrastanti sulla possibilità di uno scambio di territori. Non credo che esista qui una persona che voglia dire, "No, non mi piacerebbe avere delle istituzioni serbe su questo territorio", e che non vorrebbe che l’Accordo di Bruxelles venisse riscritto, riportando indietro il periodo precedente al 2013.
Ciononostante, come altre persone, mi sembra che se c’è stato un momento in cui si poteva farlo, quello era appunto il 2013, perché avevamo praticamente solo istituzioni serbe qui. Di fatto non appartenevamo al resto del Kosovo, nessuna decisione presa dal governo di Pristina aveva effetti vincolanti per noi.
Dal 2013 e dall’Accordo di Bruxelles, questo non rappresenta più la realtà. Molte persone ora dipendono dalle istituzioni kosovare, metà di loro sono integrati, solo il sistema educativo e la sanità funzionano secondo il sistema serbo. Uno scambio di territori significherebbe un periodo di reintegrazione nel sistema istituzionale serbo, con anche episodi di violenza, soprattutto a Mitrovica.
Credo che fino al 2013 la maggioranza delle persone qui pensava che, ad un certo punto, questa parte sarebbe diventata parte della Serbia, mentre il resto sarebbe rimasto in Kosovo.
Dopo anni e anni di sconvolgimenti verso diverse direzioni, non credo che le persone qua abbiano più energie per ulteriori cambiamenti. A questo punto la comunità è talmente esausta che accetterebbe qualsiasi soluzione, e in qualsiasi modo la presentino.
Qualsiasi soluzione che non implichi la violenza sarebbe accettata perché credo che loro – e con "loro" intendo i politici in Serbia e in Kosovo – ci abbiano calpestati. Siamo stati sconfitti e perciò accetteremo qualsiasi cosa ci venga presentata.
Alle persone della valle di Preševo non viene chiesto se sono pronti ad adeguarsi agli aspetti pratici a cui può portare un cambiamento dei confini. Perché i governi di Serbia e Kosovo non si interessano delle persone ma solo a che tipo di accordo si può fare per far sì che l’indipendenza kosovara venga riconosciuta e, allo stesso tempo, si renda possibile che ciò accada senza che vi siano moti di protesta in Serbia.
È trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui sono stati chiesti i desideri e gli interessi della gente del posto. Se fosse stato chiesto loro nel 2013, molti non avrebbero mai accettato un’integrazione nelle istituzioni kosovare. La cosa più importante è, e credo anche sia stato l’errore più grande del governo kosovaro, la percezione che si ha sull’Associazione delle municipalità a maggioranza serba.
Poiché le questioni riguardanti la sanità e il sistema educativo erano i primi a rischio, esse costituivano delle "linee rosse" per le comunità serbe in termini di integrazione delle istituzioni, soprattutto per motivi pratici: l’idea di dover andare dal dottore e pagare ci fa paura. Nel sistema serbo tu paghi, ma lo fai attraverso le tasse e non ci pensi – è una grossa differenza dover pagare attraverso un sistema sanitario privato.
Abbiamo sempre chiesto vi fosse un organismo che potesse coordinare la creazione di un sistema sanitario in cui avremmo dovuto pagare in un modo a noi famigliare – in modo che fosse simile al modello serbo, senza però infrangere la legge kosovara.
La pressione doveva essere anche sulla Serbia, ma non è stato così perché dal momento in cui l’Associazione delle municipalità a maggioranza serba non stava funzionando, Vučić ha argomentato che "noi ci siamo messi d’accordo, ma loro non vogliono implementare quanto deciso. Non riesco a parlarci e non ho intenzione di dare il riconoscimento in cambio di qualcosa che ho già negoziato, mi serve qualcosa in più". In questo modo ha mostrato il Kosovo come inaffidabile e lo ha fatto apparire come non volenteroso di occuparsi delle comunità serbe. Penso quindi che questo sia stato l’unico grave errore da parte dei negoziatori kosovari ed ha dato modo a Vučić di poter chiedere qualcosa in più, facendolo passare da una situazione in cui aveva sottoscritto gli Accordi di Bruxelles che andavano solo implementati ad un’altra in cui si dice "Ok, ma a Vučić va concesso qualcosa in più".
Le persone qui sono davvero stanche, soprattutto nel nord. quando i politici vogliono raccattare qualche voto in più, vengono qua. Che si tratti dell’arresto di Marko Đurić nel 2018 o l’invio del treno da Belgrado verso Pristina con la scritta "il Kosovo è Serbia" nel 2017, accade sempre qualcosa.
La scorsa estate ci sono state queste voci sulla messa in scena di episodi che avrebbero reso possibile questo scambio di territori. La mia paura è che le persone siano stanche di questi finti episodi politici e che se inizia ad esserci qualche traccia di violenza le persone semplicemente facciano i bagagli e se ne vadano: abbandonando le loro case, e non penso che qualcuno tornerebbe indietro.
Nel 2011, quando le forze speciali della polizia kosovara hanno provato ad impossessarsi dei posti di frontiera per imporre un embargo commerciale, e i serbi hanno iniziato a fare delle barricate, c’erano anche le sirene di un attacco aereo, e quando le persone le hanno sentite sono scappate tutte all’esterno per capire cosa stesse succedendo, con un senso di terrore.
Le ultime due volte che queste sirene sono suonate a Mitrovica è stato per l’arresto di Marko Đurić e per il tentativo di arresto di Milan Radojičić (nel 2018) – e nessuno è più uscito dalle proprie case. Ormai nessuno crede più in questi segnali. Le persone non vogliono far parte di questo cabaret politico, ci hanno semplicemente rinunciato.
Ecco perché dico che la prossima volta, se qualsiasi piano [dei politici] include anche un incidente che implica l’utilizzo delle sirene e l’alzata di barricate da parte dei serbi, non avrà più nessun effetto nella popolazione: semplicemente quest’ultima se ne andrà, perché non vuole più far parte di questo tipo di messinscena.
Liburn Mustafa, professore di sociologia in una scuola superiore – Preševo
Dopo anni di discussioni e dialogo tra lo stato kosovaro e quello serbo, la due parti hanno finalmente raggiunto un punto in cui "la normalità e la pace sono possibili solo se le due parti sono disponibili a discutere, ridisegnare e correggere i confini degli stati". Mi riferisco qui alla posizione degli attori internazionali, rispettivamente l’Unione Europea e gli Stati Uniti, per cui le due parti coinvolte devono accordarsi e andare oltre questo conflitto congelato, in modo da raggiungere uno stato di riconoscimento reciproco.
Se si considerano le posizioni dei due presidenti, il presidente Vučić crede che il momento di una soluzione finale per il problema del Kosovo sia arrivato, e ciò lo crede anche il presidente Thaçi, per cui, come previsto da un accordo (futuro e potenziale), la valle di Preševo è considerata una questione centrale e imprescindibile. Il presidente Thaçi ha affermato che la correzione dei confini non comporta la divisione del Kosovo, piuttosto l’unificazione della valle di Preševo con la Repubblica del Kosovo.
In riferimento a tutti questi fattori, posso dire che gli albanesi che vivono in queste aree non sono mai stati così vicini dal realizzare i loro ideali di lunga data di unirsi al Kosovo. Stiamo infatti assistendo ad un entusiasmo senza precedenti, in quanto la possibilità di unirsi al Kosovo sembra molto vicina e possibile.
Gli albanesi dalla valle di Preševo hanno sempre espresso il loro desiderio politico in vari periodi quando gli è stato richiesto, attraverso alcuni atti politici rilevanti. Per capirlo, voglio sottolineare le numerose proteste, dimostrazioni, scioperi e la partecipazione degli albanesi che vivono lì alle ultime due guerre. In particolar modo voglio ricordare il referendum dell’1 e 2 marzo (1992), dove gli albanesi hanno espresso la loro volontà di unirsi al Kosovo. Questa loro intenzione è stata espressa in maniera onesta e libera, e non come riflesso di pressioni arrivate da altre regioni o comunità.
Ma se dobbiamo accettare uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, visto che questo è il massimo a cui si può aspirare durante queste negoziazioni politiche e considerando che entrambe le parti devono lasciar andare qualcosa per ottenere qualcos’altro, penso che ciò dovrebbe essere deciso da politici pan-albanesi con rappresentanti dell’interesse nazionale (sia serbo che kosovaro), visto che questa decisione non può essere presa solamente dagli albanesi che vivono nella valle di Preševo, accecati dalla loro aspirazioni di unirsi al Kosovo.
Basandoci da quanto espresso sinora dalle due parti, non abbiamo ancora avuto accesso a nessun dettaglio, scenario o piano che possa darci un’idea dei confini futuri tra Serbia e Kosovo. È però importante ricordare che ogni cittadino della regione crede che essa dovrebbe essere unita al Kosovo, vista l’omogeneità della popolazione e del territorio. Le tendenze alla frammentazione della regione non saranno ben accette.
Non posso dire che questa soluzione di ridisegnare i confini sia la migliore per il Kosovo e gli albanesi in generale, ma attualmente è la più ragionevole, soprattutto se riuscissimo a preservare le risorse per lo sviluppo dello stato del Kosovo. Ora abbiamo un’idea di "correzione" di confini e dell’Associazione delle municipalità a maggioranza serba molto negativa, in quanto prevede delle competenze per la comunità serba in Kosovo e comporta un’autonomia politica e territoriale per i serbi kosovari. Ciò porterebbe in futuro ad una comunità serba molto più forte e ora nessuno può garantire che essa non chiederà la secessione dal Kosovo in futuro.
Inoltre, basandoci sulle ondate migratorie nella valle di Preševo, in pochi anni la comunità albanese in Serbia sarà pressoché inesistente, e ciò significa che in futuro perderemmo da entrambe le parti.
Se l’iniziativa finisce senza l’unificazione della valle di Preševo con il Kosovo sarà una grande delusione per gli albanesi che vivono qui, e sfocerà in una maggiore migrazione dei cittadini di questi territori perché la pressione e le discriminazioni da parte dei serbi sono diventate intollerabili. Ma se si metteranno d’accordo su altre iniziative oltre a quella sui confini, spero che queste prevedano simili diritti per gli albanesi in Serbia e per i serbi in Kosovo.
Suzana & Zoran Stojković, ingegnere agronomo disoccupato e commerciante – Preševo
Suzana: Per noi serbi di Preševo, cosa cambierebbe una modifica dei confini? Noi viviamo già insieme agli albanesi, il mio vicino di casa è albanese, il mio vicino di negozio è albanese, quello dall’altra parte della strada è albanese. Noi siamo, in generale, integrati con i nostri vicini, con le persone con cui lavoriamo, e viviamo vicino a contesti in cui la realtà è anche lì eterogenea.
La mia opinione su qualsiasi scambio di territorio è negativa. Ci sono menzogne da parte dei leader di entrambe le parti. Secondo ciò che ho letto sulla costituzione kosovara e l’ottenimento dell’indipendenza kosovara sulla base dei confini del 1999, questi non possono essere cambiati; non c’è altra possibilità. Se questo scambio di territori o questo spostamento di confini accade, il Kosovo perde la sua indipendenza. Secondo me tutto ciò non avrà luogo.
Non ho paura dove vivo, che sia Kosovo o Serbia, o in qualsiasi modo tu voglia chiamarlo – voglio avere i miei diritti, il diritto di vivere, di lavorare, di muovermi liberamente. Non mi è stato negato in precedenza e perciò spero non mi sarà negato neanche in futuro.
Il problema che ho attualmente nel mio paese è che, nonostante io sia serba, faccio fatica a trovare lavoro. Ho completato due università, un master, e me ne sto qui senza un lavoro. Ciò perché in Serbia bisogna essere vicini alla maggioranza di governo per ottenere un lavoro, non devi avere determinate conoscenze e capacità. Perciò, se per caso finiremo di unirci al Kosovo, forse loro avranno bisogno di persone competenti.
Non vorrei che qualcuno mi spostasse da qui; possono fare ciò che vogliono ma io non mi muoverò. Nessuno riuscirà a farmi lasciare questo posto, dicendomi che devo andare a Mitrovica, che qualcun altro prenderà il mio posto – non accadrà mai.
Zoran: il Kosovo non avrebbe mai chiesto la secessione dalla ex Jugoslavia o dalla Serbia se gli fosse stata data la possibilità di prosperare economicamente. È stato reso povero intenzionalmente, e quando qualcuno è povero, protesta.
Per esempio, sono stato a Gnjilane [Gjilan] quando ero giovane e c’era ancora la Jugoslavia, ed era in un grave stato di sottosviluppo. Avevano solo una fabbrica di tabacco, le strade erano vuote, più o meno come Preševo ora. E oggi Gnjilane si è evoluta pienamente, hanno costruito palazzi nuovi e hanno investito molto dopo quegli anni.
Quando una madre lascia andare il suo bambino ed il bambino cresce, deve imparare a gestirsi da solo. Ciò è successo al Kosovo. La Serbia lo ha buttato via e ora lo sta chiedendo indietro – beh, ciò non accadrà!
La cosa peggiore è che molte persone sono morte per il Kosovo, loro sono state delle vittime. Chi ne uscirà perdente? La povera gente. I potenti e gli abbienti, che siano serbi o albanesi, ora sono tutti coinvolti in politica e nel governo.
Suzana: È vero, e i politici passano per ogni città durante le elezioni; per il Kosovo non ne sono sicura, ma qui in Serbia tutti vengono – funzionari, i loro segretari – e mentono alle persone: "Vota per me e otterrai questo, vota per me!". E dopo non tornano più fino alle elezioni successive. Lasciano il loro numero di telefono ma non rispondono mai.
Zoran: Sai quale sarebbe la soluzione migliore per lo status del Kosovo, per l’intera regione? Una confederazione di qualche tipo, "ogni uomo a sé, ma tutti insieme." Ora, per esempio, diciamo che "il Kosovo è Serbia." Ci credo, è Serbia. I serbi sono vissuti qui, sono morti qui, i serbi hanno combattuto delle guerre, ma ora sono arrivati i nostri fratelli albanesi, hanno abitato l’area e ora loro vivono qui.
Visto che gli albanesi sono la maggioranza della popolazione, bisogna lasciar loro prendere le decisioni per il loro territorio, ma come parte di un’unica Jugoslavia. Chiamala come ti pare, una confederazione. Dovremmo far parte dell’Unione Europea insieme. La Jugoslavia come parte dell’UE. Bisogna aprire i confini, bisogna firmare l’accordo dei 30 anni.
Vedi, se la Serbia fosse davvero quel paese così forte che dice di essere, perché si lamentano dell’introduzione della tassa del 100% in Kosovo? Basterebbe starsene zitti ed iniziare a commerciare con la Macedonia se si è davvero così forti. Ma non possono perché sono gli imprenditori di Belgrado ad esportare e importare e sono loro al potere.
Suzana: dopo il bombardamento del 1999, quando tutto è finito, la Serbia è stata la prima ad introdurre un regime doganale nella valle di Preševo, al valico di Mučibaba. Abbiamo stabilito il nostro personale confine e dopo abbiamo detto "oh, il Kosovo si è separato." Serbia, cosa pensi di ottenere da ciò? Hai messo tu stessa il confine. Perché lo hai messo? Il Kosovo ha introdotto un regime doganale solo due anni più tardi.
E poi, se la Serbia crede che il Kosovo debba essere parte del suo territorio, perché non riconosce l’universalità delle lauree di Pristina? Ho un amico albanese che è venuto a mancare e la cui figlia ha finito i suoi studi di medicina a Pristina. Visto che abbiamo lavorato insieme in ufficio, lui mi ha chiesto "per favore, chiedi qua in giro come convalidare una laurea." Sul sito dell’Autorità Coordinatrice c’è una voce che parla della convalida delle lauree kosovare. Ho chiamato il numero per chiedergli il procedimento ma la risposta è stata che "non si può fare." Se il Kosovo è Serbia, perché non ne riconoscono le lauree?
E un’altra cosa: chi ci può garantire che tu sei un albanese "puro" e che io sia una serba "pura"? I turchi hanno governato questo territorio per 500 anni, hanno preso le donne più belle, hanno dato alla luce dei bambini e li hanno lasciati qui.
Zoran: Come mi ha detto un ragazzo bosniaco: "Sono nato musulmano, ma so che il mio bisnonno era serbo…" Lui sa chi è.
Suzana: Dovremmo tutti rispettare le varie religioni. Tu sarai un buon albanese, io sarò una buona serba; rispettiamoci. Non c’è nessuno stato etnicamente puro. Perché dovremmo esserne noi l’esempio? Invece, dovremmo essere un buon esempio di sviluppo economico.
Emir Azemi, ex vicepresidente dell’Assemblea Municipale del Nord Mitrovica – Mitrovica Nord
Inizialmente lo scambio di territori per me – ma credo anche per tutte le persone nel Nord – rimane un caso di speculazione in quanto non è ancora stato formalmente presentato dalle parti coinvolte nei negoziati. È difficile prendere posizione sul tema, ma come cittadino – ed anche in quanto esperto della questione politica del nord – stiamo monitorando il problema dello scambio territoriale con preoccupazione, perché non ci piace ciò che questo scambio rappresenta. Resta chiaro tuttavia che le persone del nord non sono d’accordo con il modo in cui è stato disegnato il confine sul fiume Ibër.
La sicurezza è migliorata esponenzialmente negli ultimi anni. C’è libertà di movimento e coesistenza tra le comunità. Gli albanesi devono essere sostenuti maggiormente nell’ambito dell’occupazione, costruzione e ritorno alle loro proprietà, anche se in questi ultimi anni ci sono stati considerabili miglioramenti in questi ambiti.
Un’Associazione [delle Municipalità a maggioranza serba] con potere esecutivo rappresenterebbe un cancro per la Repubblica del Kosovo e porterebbe alla divisione interna. Il Kosovo deve fare un’analisi dettagliata su quali siano i suoi interessi e tra i due mali dovrebbe scegliere il male minore. Il Kosovo deve considerare i suoi interessi economici, politici e strategici – oltre che internazionali – prima di firmare definitivamente un accordo.
L’abolizione della Risoluzione 1244 e la condizione di membro dentro l’Onu "completerebbe" lo status del Kosovo. La Serbia e il Kosovo dovrebbero finire questa guerra centenaria con un accordo di pace accettabile per entrambi le parti perché porterebbe ad interessi comuni di lungo termine. Qualsiasi accordo dev’essere vincolante legalmente.
Miljana Dunđerin, artista, direttrice del centro culturale "Aquarius" – Mitrovica Nord
Il Kosovo – o meglio il Kosovo e Metohija, come lo chiamiamo e percepiamo noi serbi – non ha mai fatto parte di una politica della quotidianità, ma è una questione che affonda le sue radici nell’anima storica, spirituale e culturale di diversi gruppi etnici che hanno vissuto su questo territorio per secoli. Con il tempo, ogni persona oggettiva ed onesta ha notato il susseguirsi di diverse culture, lingue e identità – prima quella serba, poi quella turca e, recentemente, quella albanese – che cercano di dominare e sbarazzarsi dell’altra, e ogni volta questi tentativi falliscono: finiscono per mischiarsi all’interno della bellezza di questo luogo.
Questa non è una leggenda – la cattedrale di Nostra Signora di Ljeviš e la moschea di Sinan Pascià possono essere viste, toccate, esistono e sono una di fianco all’altra, nella stessa città [Prizren]. Penso che ogni scambio di territori possa mettere in pericolo l’identità personale, culturale e spirituale di qualsiasi gruppo etnico che vive su questo territorio.
Nonostante ciò, un’altra precisazione cruciale dev’essere fatta per ciò che riguarda questo argomento. Il destino del Kosovo – e Metohija, come diciamo noi – non può essere deciso da persone con una data di scadenza, specialmente non dai fantasmi del passato. Per arrivare ad una qualsivoglia soluzione prima di tutto l’élite scientifica, culturale e intellettuale (sia serba che kosovara) deve iniziare a parlare, usando argomentazioni e rispettando il punto di vista differente dell’altra parte. Bisogna parlare di tutto – liberamente. Queste discussioni devono includere anche le comunità religiose – ortodossa, musulmana e cattolica. È un processo lungo e difficile.
Le opinioni delle persone qui sono divise, opinioni spesso definite per loro da Belgrado, Pristina o altri poteri decisionali esteri. Le persone che vogliono esprimere la loro opinione personale sono rare.
Siamo troppo piccoli per essere liberi. Questo perché gli albanesi ed i serbi sono stati, per lungo tempo, burattini tenuti alla corda da Belgrado, Pristina ma anche da grandi capitali mondiali: Bruxelles, Londra, Berlino, Washington e Mosca.
Né i serbi né gli albanesi hanno deciso il loro destino negli ultimi due decenni, soprattutto perché non comunicano tra di loro. Questo è il motivo per cui il destino delle persone che vivono qui – che siano serbi, albanesi, bosniaci, gorani, rom o ebrei – sarà deciso in altri centri decisionali che non conoscono la loro mentalità, la loro eredità culturale e spirituale, tantomeno le vere sfide che le persone qui hanno affrontato per secoli vivendo e sopravvivendo insieme.
Chi possiede questo posto non è mai dipeso né dipenderà mai da chi lo governa, bensì dalla misura in cui le nostre anime possiedono ogni angolo di questa terra. I veri proprietari di questi luoghi sono coloro che hanno il "genoma" di questa eredità culturale e spirituale e possono passarlo alle prossime generazioni. Forse il Kosovo è davvero la seconda Gerusalemme.
Medina Qerimi, laureata in Scienze politiche – Preševo
L’argomento dello scambio territoriale è discusso a Preševo dal periodo della Jugoslavia. Il desiderio di unificazione è stato espresso anche nel 1992 attraverso un referendum, in cui gli albanesi della valle hanno votato all’unanimità in favore dell’unificazione – ma lo stato serbo lo ha ignorato. Il desiderio dei cittadini di riunificarsi al Kosovo è stato espresso anche successivamente.
Nel 2001, dopo il conflitto [in cui l’insurrezione albanese ha cercato di portare a termine la secessione di tre municipalità a maggioranza albanese dalla Serbia e unirle al Kosovo], quando Preševo ha fallito nel raggiungimento dei suoi obbiettivi, un processo di integrazione è cominciato con l’aiuto della comunità internazionale. Questo processo d’integrazione non è tuttavia riuscito ed è rimasto solo sulla carta, mentre i giovani hanno iniziato ad emigrare in grandi numeri verso diverse parti del mondo.
Gli albanesi a Preševo hanno molti problemi – per esempio, per quanto riguarda l’istruzione, gli studenti albanesi non possiedono ancora i loro libri in lingua albanese, e non c’è nessun ospedale e siamo obbligati ad andare a Vranje per ricevere delle cure.
Benché l’idea dell’unificazione con il Kosovo è sempre stata ben apprezzata, ora rappresenta un problema perché non ne conosciamo i dettagli. Per esempio, mentre Preševo è abitata prevalentemente da albanesi, Medvedja è in maggioranza (e Bujanovac in parte) abitata dai serbi. Perciò mentre Preševo diventerebbe automaticamente parte del Kosovo, le altre due città sarebbero a rischio di rimanere parte della Serbia. E ciò non avrebbe senso.
Sono personalmente a favore di questa idea, ma bisogna considerare soprattutto i giovani. Per me, è più importante avere libertà di istruzione a Preševo e utilizzare libri in albanese, piuttosto che Preševo si trovi in Kosovo o in Serbia.
Sarebbe problematico inoltre dover abbandonare un passaporto che ci permette di viaggiare nell’Unione europea e altri paesi nel mondo (come ho fatto io). Ma se il Kosovo riuscisse ad ottenere la liberalizzazione dei visti, decideremmo di unirci al Kosovo. Oltre a questi benefici, gli albanesi della valle hanno ora diversi problemi, e sono favorevoli all’idea dello scambio.
Penso che i serbi stessi siano divisi e abbiano posizioni differenti. Per coloro che non sono coinvolti in politica, le persone normali, lo scambio di territori non sarebbe un problema. Tuttavia ci sono coloro che sono più nazionalisti e se provi a spiegare loro quest’idea, potresti pagarne le conseguenze.
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