Kosovo: design di protesta
Rrezeart Galica, uno tra i nomi emergenti nel panorama artistico kosovaro, ha utilizzato le proprie opere per denunciare l’azione della comunità internazionale e quella di chi, secondo lui, sta remando contro il bene del suo popolo. Il design grafico è diventato così un efficace strumento di protesta. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Traduzione dall’albanese di Brunilda Ternova
Rrezeart Galica – Giqi nasce il 25 settembre del 1981a Pristina. Durante gli anni 2000-2005 conclude i suoi studi presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università di Pristina in Disegno Grafico. Sempre presso la stessa Università, nel Dipartimento Multimediale, conclude anche il Master in Graphic Design nel 2008. Rrezeart ha partecipato a sei mostre collettive, nazionali e internazionali, esponendo le proprie opere a Pristina, Skopje, Tirana e Tetovo.
Perché la scelta del design grafico?
Perché offre le opportunità migliori per esprimere quello che sento e che mi stimola. Credo che la tecnologia moderna dia un grande contributo per trasformare l’ispirazione in arte, imponendo un approccio ancora più preciso nell’articolazione artistica. Il disegno grafico racchiude in sé alcune discipline, come il logotipo, la tipografia, i poster, la preparazione del libro, la fotografia, ecc. Con questa varietà di discipline, ogni artista trova con facilità se stesso.
Nel catalogo della Pinacoteca di Tetovo, dove hai esposto quest’anno, l’illustre professor Kujtim Buza riporta con riconoscenza il tuo talento paragonandoti ai grandi nomi della nostra arte nazionale, come Muslim Mulliqi, Tahir Emra, Rexhep Ferri, Agim Çavdërbasha, Shyqri Nimani – tutti membri dell’Accademia delle Arti e delle Scienze del Kosovo. E’ un peso grande da portare?
Mi sento onorato e privilegiato quando un illustre professore come Kujtim Buza riporta nei miei confronti tali valutazioni. Ovviamente mi fa sentire obbligato a dare il massimo, dedicandomi e impegnandomi ad essere sempre al meglio della mia creatività artistica.
I nomi citati sono il fiore all’occhiello dell’arte del Kosovo, hanno onorato gli albanesi e il nostro Paese in tutto il mondo. La società kosovara sta facendo molto poco per loro, di essi dovremmo celebrare i compleanni ed onorare gli anniversari di morte. La negligenza in tal senso e la mancanza di rispetto nei confronti di chi ci ha onorato è un’infamia per l’intera società, soprattutto per gli artisti del Kosovo.
Come comunichi con gli appassionati del tuo genere d’arte?
Il ponte di comunicazione è costruito attraverso le idee e i temi affrontati nel mio lavoro. Penso che la maggior parte delle mie opere vada a toccare quello che i cittadini e gli appassionati d’arte vivono e vogliono trasmettere alle varie potenze collocate in Kosovo.
L’artista dev’essere un idealista e un antagonista di ogni potere, soprattutto in Kosovo, dove abbiamo più potere che Stato e dove le autorità si disinteressano sia dello Stato che dei suoi cittadini. Forse in questo senso l’opinione pubblica si è identificata con il mio lavoro, creando un’empatia che ha reso più facile la comunicazione tra me e loro.
Cosa pensi della situazione attuale del linguaggio figurativo delle arti – in questo caso del disegno grafico – oggi in Kosovo e in Albania, in confronto con altre forme artistiche?
In Kosovo il disegno grafico ha una certa tradizione, dato che esisteva già da tempo un dipartimento presso la Facoltà delle Arti di Pristina. Durante il passato regime, nella ex-Jugoslavia, a differenza dell’Albania, noi non siamo stati assoggettati al principio del realismo socialista artisticamente inteso. A quel tempo, a Belgrado, esisteva un dipartimento delle arti applicate (il termine ‘design’ è stato utilizzato in seguito), dove si recavano a studiare artisti che provenivano da tutta la Federazione e anche dal Kosovo.
Dopo la laurea, tanti di questi artisti hanno frequentato in diversi Paesi occidentali la specialistica in aree specifiche del design. Io ho avuto l’occasione di analizzare attentamente il design di quell’epoca, i loghi, i manifesti, i libri, i giornali, gli opuscoli, e sono rimasto impressionato da quanto è stato fatto al tempo in Kosovo. Nel passato gli artisti venivano incoraggiati molto di più e il loro valore veniva riconosciuto sulla base di criteri di merito.
Oggi ci sono molti grafici diplomati, ma non c’è una vera arte del ‘design’ perché in molti pensano di conoscere quest’arte con o senza un diploma. Alcuni, che in un tempo non troppo lontano si distinguevano per la loro creatività, oggi si sono trasformati in uomini d’affari che vedono l’arte allo stesso modo di come i politici vedono il potere e la politica, calpestando egocentricamente chiunque rappresenti una minaccia concorrenziale.
Prendiamo ad esempio il concorso che si è svolto per la bandiera e l’emblema della Repubblica del Kosovo. Le autorità hanno giocato sporco con gli artisti kosovari, facendo credere che si sarebbe svolta un’equa selezione ma, nel contempo, la bandiera veniva ricamata in Turchia. Questo gioco, questo degrado, sta incominciando dall’alto e si sta diffondendo in tutta la società.
Il design del libro riveste un capitolo a parte nell’arte della grafica. Qual è lo stato del design del libro in Kosovo e in Albania?
In accademia si studia la “Preparazione del libro”, ma se si va a vedere il quadro selezionato per l’insegnamento di questa materia, si capisce che la sua importanza è stata svalutata già in partenza.
In Kosovo ogni persona che possiede un computer pensa che il design sia una cosa facile da realizzare, basta cliccare sul mouse. Se i progettisti creassero un’associazione, le cose andrebbero diversamente, poiché verrebbero sanzionati gli studi e le tipografie che non lavorano con progettisti formati professionalmente.
Successivamente si potrebbe concedere la licenza ad ogni artista. Penso che qualsiasi libro che merita di essere pubblicato dovrebbe essere curato meglio anche sotto il profilo aspetto artistico. In questo caso, l’autore del libro dovrebbe essere più rigoroso nella selezione di un professionista, per finalizzare il lavoro artistico dell’immagine della sua opera.
Il pubblicista Gëzim Krasniqi ha affermato che le tue opere artistiche criticano una realtà politica e giuridica che ha svantaggiato e continua a mettere in una posizione sfavorita il cittadino comune del Kosovo. Puoi offrire ai lettori un tuo parere in merito?
La frase menzionata si riferiva alla situazione quando l’UNMIK era il sovrano assoluto in Kosovo. Noi, come giovani, ci siamo sentiti soffocati in quella realtà di gestione internazionale dove trovavi situazioni assurde; per esempio il caso del poliziotto ricercato per crimini in Ruanda che era diventato responsabile dell’ordine e della legge in Kosovo, oppure il caso del responsabile delle ferrovie – una persona che aveva lavorato nei porti marittimi – che proveniva da uno Stato in cui le ferrovie non erano funzionanti da 40 anni.
Esempi di tali anomalie ce ne sono a decine, a centinaia. Noi siamo un popolo europeo, gli abitanti del continente della democrazia, ma anche vittime dei sistemi totalitari. Quindi eravamo desiderosi del diritto e dell’ordine occidentale. E invece, dopo la guerra, siamo stati trasformati in una popolazione sperimentale. Quel che è peggio è che anche EULEX sta sperimentando, e in particolare lo sta facendo l’attuale governo del Kosovo.
Io non voglio credere che solo il collasso totale dello Stato del Kosovo porterà alla fine degli esperimenti con il popolo kosovaro, ma lo temo. Forse solo allora andrà tutto per il meglio? La mitologia greca ci dice che dall’ordine nasce il caos. Forse!
Sei conosciuto per il coraggio che trasmetti attraverso il tuo lavoro artistico, per l’opposizione e la resistenza contro le missioni internazionali in Kosovo (ONU, EULEX). Cosa pensi di questa fama?
Come cittadino albanese del Kosovo, e come artista, non posso rimanere indifferente a quanto va contro gli interessi del mio Paese. Allo Stato del Kosovo è stato imposto il protettorato delle Nazioni Unite, l’Unmik, che ancora oggi continua con un ruolo periferico, ma che è indifferente verso il benessere e le ambizioni del mio popolo.
Sono indignato da un’amministrazione internazionale che pensa più al suo staff che non al Paese. La mia rabbia accumulata in questi anni è causata da un sistema straniero che non ha visione e che continua a soffocare senza pietà, spingendomi a realizzare nel 2004 il poster “tUNg” (“ciao”, nel gergo della lingua albanese), ma che è anche eufemismo per “lamtumirë” (“addio”), “ik e the qafën” (“vattene e che ti si spezzi il collo”), esprimendo così le mie convinzioni e i miei sentimenti. Più tardi ho realizzato: “EUSEX” che ironizza sulla missione EULEX, nota più come spettacolo televisivo che per il lavoro concreto; il Governo Ladro (in albanese “H-Qeverisja”) che sta terrorizzando i cittadini; L’Invasione dei Media (“Pushtimi i mediave”) che sta soffocando l’opinione libera.
Purtroppo queste opere non hanno perso la loro attualità. Fortunatamente, parlando come artista, molte di queste opere sono oggi analizzate e prese come oggetto di specializzazione da studenti dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, in Italia.
Quali sensazioni hai ricavato dalle tue due mostre di Scutari e di Tetovo?
Ho avuto una precedente esperienza con gli albanesi di Macedonia, grazie all’esposizione a Skopje, ma l’accoglienza a Tetovo è stata più ampia e abbracciava sia i semplici cittadini che gli artisti e i media. Per quanto riguarda Scutari, ho potuto vedere i paesaggi naturali meravigliosi del nord-est dell’Albania, che non conoscevo. Entrambe sono comunque state occasioni per creare nuovi legami con artisti provenienti dall’Albania e dalla Macedonia.
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