Kosovo del nord: Bruxelles è sempre lontana
Con il Kosovo ancora in crisi istituzionale e senza governo, nella comunità serba delle municipalità a nord del fiume Ibar regnano i dubbi sul reale impatto a lungo termine degli Accordi di Bruxelles, che rimangono ancora ampiamente non implementati. Il punto della situazione della nostra corrispondente
E’ diventato difficile scrivere articoli sul rompicapo del Kosovo del nord, perché tutti gli avvenimenti sono impacchettati all’apparenza come un modesto e semplice dolce biscotto, mentre per chi ci vive rappresentano spesso pasti amari.
Al momento regna la bonaccia politica. Il recente incontro avvenuto a Bruxelles tra le due delegazioni – serba e kosovara – si è svolto senza sussulti, così come la conferenza sui Balcani occidentali tenuta il 28 agosto a Berlino e la presentazione della relazione trimestrale del Segretario generale delle Nazioni Unite.
A Bruxelles è stato raggiunto l’accordo sulla gestione dei valichi di frontiera, a Berlino sono state issate con pari diritti e dignità le bandiere di Serbia e Kosovo, mentre i premier serbo e kosovaro, dedicandosi al tema dei collegamenti infrastrutturali, si sono immersi nello studio della mappa geografica insieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel. A New York Ivica Dačić e Hashim Thaçi hanno di nuovo confermato i loro impegni relativi all’Accordo di Bruxelles, firmato l’anno scorso. Il nord del Kosovo, nel frattempo, sta sviluppando gli organi di amministrazione locale.
Municipalità costituite
Sono passati quattro mesi dalle elezioni politiche in Kosovo e non è ancora stato formato il nuovo governo. L’indiscussa vittoria di Hashim Thaçi – leader del Partito democratico del Kosovo (PDK) non l’ha aiutato a formare un governo per la terza volta consecutiva, mentre anche Ramush Haradinaj, dell’ Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK) spinge per l’incarico a premier. I partiti di opposizione si sono coalizzati per formare un esecutivo alternativo, e un ruolo importante l’hanno giocato anche i deputati serbi quando a metà a luglio hanno votato a favore del candidato della Lega democratica del Kosovo (LDK), Isa Mustafa a presidente del parlamento di Pristina. In quel giorno le manovre politiche hanno evitato l’elezione dell’uomo di Thaçi e in seguito è avvenuto il voto a favore del candidato del LDK, elezione poi dichiarata illegittima dallla Corte costituzionale.
Una nuova seduta di insediamento del nuovo parlamento è per il prossimo 18 settembre. L’ambasciata americana ha già rivolto un appello ai leader dei partiti affinché si formi quanto prima il governo, aggiungendo però che “non considera necessario che le missioni internazionali si inseriscano nell’attuale processo politico interno”. Come ha scritto la stampa kosovara è ormai realtà un accordo tra i partiti di opposizione già coalizzati e il movimento Vetëvendosje (“Autodeterminazione”) che sembra aver ottenuto un posto alla guida del processo negoziale con la Serbia – richiesta che sembrava irricevibile – e il blocco delle privatizzazioni. Un’intesa che, vista la storica opposizione di Vetëvendosje a dialogare con Belgrado, preoccupa non poco proprio i rappresentanti della minoranza serba. I deputati serbi hanno quindi chiesto (e ottenuto) che la seduta inaugurale fosse spostata al 18 settembre (era inizialmente prevista per oggi).
I deputati serbi
La comunità serba del Kosovo – tramite il voto – non è riuscita a ottenere alcun mandato a causa della scarsa partecipazione degli elettori (solo 38mila), ma può fare affidamento sui dieci seggi assicurati alla minoranza dalla costituzione. Nel nord del Kosovo i deputati non avranno però particolare legittimità politica. I quattro deputati serbi del nord sono tutti provenienti dal comune di Leposavić e sono politicamente anonimi. I serbi del nord del Kosovo hanno boicottato le elezioni di giugno, in un’atmosfera relativamente tranquilla. I seggi per il voto sono stati aperti senza incidenti e – sebbene le urne alla fine della giornata fossero praticamente vuote -. allo spoglio sono state contate ben 16 mila schede elettorali.
Votando la candidatura a presidente del parlamento un uomo del LDK, sebbene deboli, i deputati serbi hanno giocato una mossa politica decisiva, conducendo il Kosovo al quarto mese di crisi parlamentare.
Effetti contrari
L’assenza di un esecutivo in carica è chiaramente indicato come ostacolo al progresso della società kosovara, così come della Serbia. Il Kosovo è colpito da diversi problemi, incluse le conseguenze del rafforzamento dell’Islam radicale, innanzitutto visibile nella partecipazione degli albanesi nelle fila dell’Isis. Nonostante le smentite, è chiaro come l’Occidente si sia diviso rispetto al prossimo governo, e le attività di alcune ambasciate vengono oggi viste anche dai kosovaro-albanesi come di disturbo nel processo post-elettorale. La Serbia ha fretta di proseguire nel processo di integrazione europea e l’avanzamento è direttamente correlato al compimento dell’Accordo di Bruxelles. Per proseguire con il dialogo politico, però, è necessario che a Pristina si formi un governo.
Nonostante ciò, agli abitanti del Kosovo del nord conviene il silenzio politico sui fragorosi avvenimenti di giugno e luglio. Il fatto che il Kosovo sia senza governo sottintende che da Pristina, ma soprattutto da Belgrado, viene fatta minor pressione. La valvola della pentola a pressione è un po’ alzata e il nord va in decompressione, almeno fino alla prossima crisi.
Punto nevralgico
Sul ponte principale dell’Ibar è partita la violenza dieci giorni prima delle elezioni. Lo spettacolo di una folla di kosovaro-albanesi che sfilano con le loro bandiere, scandendo “UÇK!”, ha ricordato la necessità di risolvere la questione nel nord del Kosovo, dove invece dell’attuazione dell’accordo di Bruxelles c’è bisogno che si lavori sulla profonda stabilizzazione delle comunità locali di cui tutti si sono dimenticati, al fine di creare le condizioni per un reale processo di dialogo.
Tra il mese di giugno e luglio si sono sviluppati alti livelli di tensione sulle due rive dell’Ibar. Il 18 giugno scorso Belgrado, come previsto dall’accordo di Bruxelles, ha rimosso la barricata sul ponte principale tra le due rive, esistente da tre anni. Ma all’aumento della tensione, nella mattinata dello stesso giorno, le autorità politiche del nord, in coordinamento il governo serbo, al posto della barricata hanno sistemato il cosiddetto “Parco della pace” con terra e fiori. Dalla parte opposta, naturalmente, il parco è stato subito visto come una nuova barricata.
Sono seguiti l’ultimatum del sindaco di Mitrovica sud affinché il ponte venisse “sgomberato” e la reazione violenta partita dalla parte meridionale del ponte (a larghissima maggioranza albanese) che ha provocato il ferimento di una decina di persone tra poliziotti delle forze internazionali e cittadini, oltre a due giornalisti, mentre diversi mezzi – non solo della polizia – sono stati dati alle fiamme. Solo grazie all’eccezionale intervento di difesa del ponte da parte della polizia speciale kosovara, di soldati americani e tedeschi della Kfor, di Carabinieri italiani e del corpo speciale di polizia Eulex, si sono evitate conseguenze più gravi.
Il dito messo sul ponte nevralgico ha dimostrato che il paziente viene curato da anni con la terapia sbagliata, perché la reazione è stata identica a quella di 15 anni fa.
Comunità di autogoverno
L’autogoverno del nord è costituito dalle municipalità serbo-kosovare e dai sindaci, così come dall’Organo provvisorio e dal Team attuativo dell’Associazione delle municipalità serbe che il governo della Serbia ha eletto l’anno scorso dopo aver fatto decadere le autorità locali serbe in preparazione delle elezioni amministrative, contro il volere delle stesse. Questi servizi lavorano sul territorio in modo parallelo.
L’opinione pubblica del nord del Kosovo si chiede ora quale sia l’istituzione principale tra queste. Sebbene nei mesi successivi alle elezioni i sindaci kosovari abbiano operato come sinonimo di autorità locali, la situazione ora è cambiata. L’organo provvisorio e il Team attuativo vengono ora percepiti alla guida dell’intero processo, considerato inoltre che il sindaco di Leposavić è allo stesso tempo presidente dell’organo provvisorio, mentre il sindaco di Zubin Potok non si presenta nel suo ufficio dal giorno in cui si è tentato il suo arresto, a fine di luglio.
A Mitrovica nord esiste ancora l’Ufficio amministrativo, previsto a suo tempo dal piano Ahtisaari come struttura temporanea fino alla creazione dell’autogoverno. Questo ufficio, che per anni nel nord del paese è stato largamente impopolare, non solo non è chiuso ma, in collaborazione con il sindaco e il comune – e il sostegno di alcune cancellerie estere – funziona da sostegno tecnico alle municipalità. Per cui da questo ufficio vengono emessi i pagamenti degli stipendi ai membri della giunta comunale, mentre le municipalità del nord non hanno ancora un proprio budget.
Lavori edili
Nel nord del Kosovo si sistemano strade, le aree verdi, le facciate degli edifici, gli ingressi, si gettano fondamenta. Non si tratta di investimenti grandi e sistematici, quanto piuttosto di cambiamenti veloci e di facciata. I progetti passano attraverso il bilancio kosovaro, serbo e dell’UE.
I lavori per ampliare le zone verdi del ponte principale, dopo le violenze dei mesi scorsi, si sono trasformati nella realizzazione di una zona pedonale su tre vie che si incrociano al ponte e formano la piazza “principe Lazar”. Allo stesso tempo nelle aree a etnia mista di Mitrovica nord, per le strade sono comparsi cartelli che recitano “piazza UÇK” e “piazza Adem Jashari”.
Durante i due incontri di Bruxelles lo scorso luglio, la delegazione kosovara ha chiesto nuovamente la rimozione del "Parco della pace". Ci si è accordati per un "approccio graduale" nella soluzione della spinosa questione, che per la parte kosovara significa rimozione delle barricate, mentre per la parte serba permanenza del parco stesso.
Il tavolo volante di Bruxelles
Le due parti, serba e kosovara, si accusano reciprocamente della mancata applicazione degli accordi stabiliti a Bruxelles e della scarsa implementazione dei capitoli dove qualche passo avanti è stato fatto: dall’accordo sulla polizia e il catasto, fino alla formazione della Comunità dei comuni serbi, l’accordo sul tribunale, l’educazione superiore, le telecomunicazioni, la libertà di movimento.
L’accordo di Bruxelles non sembra più così articolato e chiaro come appariva all’inizio a chi prese parte alla sua ideazione. Su cosa ci si sia accordati veramente a Bruxelles, per i semplici cittadini resta perlopiù un’informazione vaga e invisibile, almeno fino a quando non si procede ai tentativi di mettere in pratica quelle decisioni. Purtroppo, però, la disarmonia tra le soluzioni proposte e la realtà concreta sul campo è la prima cosa che balza agli occhi.
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