Kosovo: crisi al Plazma
L’embargo sui beni importati dalla Serbia, i tentativi della autorità di Pristina di riprendere il controllo dei punti di confine nel Kosovo del nord, i negoziati con Belgrado. Come i kosovari guardano al nord del Paese
Non si mangiano più i biscotti “Plazma”. E’ così che la maggioranza dei cittadini del Kosovo spiega le conseguenze dell’embargo sull’importazione di prodotti dalla Serbia.
E se sono in molti a ritenere che il gusto unico dei Plazma, uno dei prodotti serbi più famosi nella regione e oltre, non possa essere rimpiazzato, un’azienda di Prizren va controcorrente. Ed ha già immesso sul mercato dei biscotti simili ai Plazma, accompagnando il tutto da una vigorosa campagna pubblicitaria.
E’ forse presto per valutare i risultati di quest’operazione, ma la camera di commercio kosovara afferma che i produttori interni hanno già incrementato la loro presenza del mercato del 10%.
Intanto gli economisti kosovari spiegano però come sia molto naïve credere che i problemi del Kosovo dipendano dai biscotti che arrivavano dalla Serbia. “Il problema non sono certo i biscotti o gli alcolici, ma piuttosto il frumento, che non coltiviamo, l’olio, lo zucchero e l’energia elettrica” afferma in un suo editoriale Lumir Abdixhiku, direttore dell’Istituto per lo sviluppo e la ricerca RIINVEST.
Import per 400 milioni di euro
Il Kosovo ogni anno importa dalla Serbia beni per 400 milioni di euro. La cifra comprende anche quelli importati dai punti di confine 1 e 31, a Mitrovica nord, quelli che le autorità kosovare hanno tentato a fine luglio inutilmente di portare sotto il proprio controllo.
Prima dell’azione della polizia kosovara del luglio scorso, bloccata dalla comunità serbo-kosovara, i beni “Made in Serbia” importati da questi punti di confine di fatto non erano soggetti ad alcuna tassazione alla dogana. Dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, nel febbraio 2008, i serbi di Mitrovica nord mantennero il controllo di questi passaggi di confine, di fatto garantendo che continuassero ad essere dei paradisi del contrabbando.
Da Mitrovica Nord entravano in Kosovo beni per milioni di euro, in modo incontrollato, danneggiando il mercato interno, la concorrenza e quindi l’economia locale in generale. E’ per questo che il governo kosovaro ha deciso di intervenire, tentando di prendere il controllo di questi punti di confine immediatamente dopo aver posto un embargo sui prodotti importati dalla Serbia. Dal 20 luglio scorso nessun bene prodotto in Serbia è infatti entrato in Kosovo.
Per Mimoza Kusari-Lila, ministro per il Commercio e l’Industria, questi provvedimenti non sono stati presi per danneggiare la Serbia, ma per porre entrambi i Paesi sullo stesso piano. Il riferimento è all’embargo posto dalle autorità serbe su tutti i prodotti kosovari all’indomani della dichiarazione di indipendenza del 2008, nonostante entrambi i Paesi facciano ora parte del CEFTA (Central European Free Trade Agreement).
Conflitto latente
L’intera vicenda va comunque letta tenendo presente la continua battaglia diplomatica che vede coinvolte le autorità di Pristina e Belgrado in merito al Kosovo. L’ultima mossa è stata di Pristina, quella di riprendere il controllo dei punti di confine settentrionali dove, fin dal 1999, non ha alcuna presenza.
Augustin Palokaj, analista politico, ritiene che la situazione attuale sia frutto di un riposizionamento di Pristina e Belgrado prima che vengano avviati i negoziati sul futuro del Kosovo del nord. Intanto i negoziati mediati dall’Ue su “questioni concrete” dovrebbero riprendere a settembre.
“La situazione nel nord del Kosovo è gestita da Belgrado, stimolata da Bruxelles e tollerata dalla NATO… che, assieme a EULEX ha fallito nel riprendere il controllo di una popolazione di 40.000 abitanti”, afferma Palokaj. “L’uccisione di un poliziotto, spari contro la KFOR e l’incendio dei passaggi di confine non sono l’atto di balordi ma di strutture ben organizzate sostenute dal ministero degli Interni serbo”, continua l’analista in un editoriale pubblicato qualche giorno dopo che un membro delle forze speciali della polizia del Kosovo era stato ucciso da ignoti durante l’operazione nella quale le autorità kosovare tentavano di prendere il controllo dei posti di confine.
Opinioni simili quelle espresse da un altro analista politico, Veton Surroi, che ha sottolineato come i rappresentanti politici serbi, tra i quali Borislav Stefanovic, a capo della delegazione serba nei negoziati con Pristina, hanno spinto la popolazione locale a bloccare le strade per impedire l’azione delle autorità kosovare. Le strade sono rimaste bloccate anche dopo il raggiungimento di un accordo mediato dalla KFOR tra Pristina e Belgrado per porre alcuni elementi fissi in una situazione che rischiava di finire fuori controllo.
Il comandante KFOR, Erhard Bühler, ha infatti ottenuto il consenso di Belgrado per la rimozione delle barricate, garantendo l’arrivo nel Kosovo del nord di beni umanitari, mentre Pristina aveva accettato di permettere il passaggio di veicoli sino alle 3.5 tonnellate dopo il controllo dei loro contenuti da parte di KFOR e EULEX. “I due passaggi di confine per ora rimangono chiusi per motivi di sicurezza e sono considerati area militare”, si legge nel documento KFOR.
Surroi sottolinea come, nonostante la situazione ora appaia più tranquilla, tra Kosovo e Serbia sia in corso un conflitto ancora irrisolto e che l’unica via d’uscita sia rappresentata dal tavolo negoziale.
Quest’ultimo non sembra però essere la preoccupazione principale del primo ministro kosovaro Thaci che ha più volte ribadito il successo delle azioni intraprese e i vantaggi del recente accordo con la KFOR. Thaci si è detto convinto che a breve saranno la polizia e i doganieri albanese-kosovari a controllare i passaggi di confine e che l’accordo con la KFOR non fa che confermare il pieno rispetto per la reciprocità con la Serbia, la fine dei contrabbandi e il pieno controllo dell’intero territorio del Kosovo.
I partiti di opposizione hanno comunque attaccato il governo per non aver continuato le azioni per “sconfiggere il crimine” e prendere il pieno controllo del nord del Paese. Tra questi il movimento Vetevendosje che ha ricordato come sia in vigore un piano di 6 punti negoziato tra Belgrado e le Nazioni Unite secondo il quale il Kosovo continuerà a funzionare come area doganale unica ma i proventi delle dogane al confini 1 e 31 “devono andare a vantaggio delle comunità locali”. Le autorità di Pristina non hanno mai affermato che il piano di 6 punti, risalente all’autunno 2008, andasse implementato, rientrando nel cosiddetto Piano Athissari poi superato di fatto dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza del febbraio 2008.
A questo proposito Adriatik Kelmendi, analista politico, ha sottolineato come nessun politico kosovaro e nessun diplomatico straniero abbiano mai nominato il Piano Athissari durante i disordini nel Kosovo del nord: “Questi accordi hanno tutti una data di scadenza. Il primo accordo serve solo a negoziarne un secondo e via dicendo”, nota l’analista.
Determinazione
Una cosa è certa, il governo kosovaro continuerà a premere per un maggiore controllo del nord del Paese, un’area nella quale la criminalità è molto più forte delle istituzioni.
Nonostante l’Unione europea abbia invitato le parti a ritornare alla situazione precedente ai tentativi di intervento della polizia kosovara le istituzioni del Kosovo sono intenzionate ad implementare misure di reciprocità con la Serbia. E l’uccisione di un membro delle forze speciali fa sì che vi sia ancora più determinazione in questo. Gli albanesi-kosovari sono stati infatti molto colpiti dalla vicenda. Nelle ultime settimane si è assistito ad un risorgere di sentimenti nazionali e una via nel centro di Pristina verrà presto dedicata al poliziotto.
Per un po’ di tempo i biscotti Plazma non ritorneranno sugli scaffali dei negozi in Kosovo.
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