Korça, il bazar delle serenate
Korça è una città albanese al confine tra Albania, Grecia e Macedonia. E’ conosciuta per il suo bazar che però purtroppo ora si trova in uno stato di quasi-abbandono. Continuano i nostri approfondimenti sui mercati d’origine ottomana nei Balcani
I libri di storia la definiscono come una delle più belle çarshije * dei Balcani. Nella memoria collettiva degli albanesi più anziani è rimasto come il vecchio Pazar o più romanticamente il Bazar delle serenate. Viene infatti spesso associato alla musica che per secoli è stata composta e cantata camminando con una chitarra in mano sulle pietre rotonde del kalldrëm, il ciottolato, o al caldo degli han e dei kafené.
E’ situato nella città di Korça, nella storia albanese nodo urbano importante dal punto di vista economico e culturale, grazie soprattutto al suo carattere multiculturale e all’apertura con l’estero. Si trova infatti al confine tra l’Albania, la Grecia e la Macedonia.
Il bazar rispecchia tuttora il variegato paesaggio culturale della città: l’eredità ottomana, la mescolanza armoniosa di albanesi, valacchi, macedoni e rom, il tutto con un tocco di cultura occidentale dovuta ai continui scambi con Venezia, Parigi e le terre d’Oltreoceano. Attualmente sembra però una brutta copia di quanto è rimasto nei ricordi degli anziani e nei diari dei viaggiatori che si sono avventurati da queste parti.
Ai limiti esterni del Pazar l’asfalto lascia il posto al kalldrëm, il ciottolato. Uomini e donne si affrettano per le stradine. Sembrano noncuranti dell’architettura ottomana intrecciata con quella occidentale di inizio ‘900, dei portoni secolari, del paesaggio urbano che resiste alle onde del tempo da ben tre secoli. E il Pazar non sembra più uno spazio dove farsi accogliere per passarvi delle ore, chiacchierare, incontrare amici, vivere parte della giornata, ma solo un luogo dove immergersi tra la folla e nella merce dai colori sgargianti, acquistare, salutare e allontanarsi in fretta. Ma è proprio questo il Bazar delle serenate, il cuore della città più romantica e progredita del Paese? La risposta arriva pragmatica da una venditrice di spezie, povera e malvestita, schiacciata dal peso della sopravvivenza: “Cosa vuole comprare?”.
Il bazar di Korça è ora un mercato, come tanti altri in Albania: bancarelle improvvisate coperte da teli in plastica, mercati chiamati tuttora “mercati dei rifugiati”. Il termine si riferisce agli emigrati dei primi anni ’90, che quando ritornavano in patria spesso portavano con sé beni di consumo occidentali che poi rivendevano. Ora non è più così, ma il termine è rimasto.
Le porte dei negozi del vecchio bazar si intravedono dietro a pile di vestiti, stoviglie, piccoli elettrodomestici. Sono perlopiù sbarrate. L’attività del bazar avviene infatti quasi tutta tra le bancarelle. La maggior parte dei negozi sono ritornati ai legittimi proprietari, quelli che sono riusciti a dimostrarne la proprietà prima delle nazionalizzazioni del regime di Enver Hoxa. Ma in pochi hanno deciso di investirvi, recuperandone l’identità perduta durante il regime e la lunga transizione.
Degli artigiani è rimasto solo qualche fabbro, a lui si rivolgono molti contadini del circondario, per acquistare strumenti utili per un’agricoltura che spesso è ancora solo di mera sussistenza.
Tra ciò che ancora sopravvive vi è un han, antico caravanserraglio ottomano, che ha mantenuto in parte la sua funzione originaria. Dall’ingresso si scorgono colonne neoclassiche costruite a fine ‘800. Vi si affittano ancora stanze, molto modeste, per un paio di euro a notte. “Ospitiamo per lo più clandestini, passano qualche giorno in questa città, incrocio di confini”, racconta sottovoce il personale di servizio.
Un altro han, una struttura a due piani, con un cortile interno pensato per i cavalli, un pozzo e vari spazi commerciali chiusi, ospita un caffè. Il proprietario è della famiglia Ballauri, una delle più influenti del bazar. “Cerco di raccogliere un po’ di soldi con il caffè, per poter investire poi nel resto della struttura, nell’han”, afferma. Le migliorie da fare sono evidenti. Come altri edifici del bazar anche questo è tutelato dai beni culturali, ogni intervento di ristrutturazione dev’essere attentamente monitorato. Lo stato però finora ha investito solo marginalmente nel recupero di questi beni architettonici e culturali.
Nel corso del 2010, il bazar di Korça è diventato oggetto di acceso dibattito tra le autorità locali e un gruppo di architetti. Le autorità comunali avevano deciso di investire circa 5 milioni di lek, 36mila euro, nel ristrutturare le facciate di una decina di edifici del bazar. “La ricostruzione è avvenuta nel giro di pochi giorni, da parte di muratori non specializzati – afferma Maks Velo, noto architetto e artista, originario proprio di Korça – i quali hanno danneggiato completamente le facciate, eliminando gli ornamenti originari e tutti quegli elementi che contraddistinguono l’architettura del bazar di Korça dal resto dei Balcani”. Per le autorità locali, quanto avvenuto è però solo un primo passo: “Il bazar va ristrutturato per intero, ma la presenza dei commercianti con le loro bancarelle e l’occupazione degli edifici da parte dei rom, lo rendono impossibile”.
La situazione è probabile cambi nei prossimi anni. “Il turismo è una priorità per la città” affermano le autorità locali, e annunciano che è già a disposizione un finanziamento di dieci milioni di euro da parte europea per rivitalizzare il bazar. Per ora del progetto sono noti solo alcuni elementi: il restauro delle facciate e interventi strutturali sugli edifici in modo che i venditori possano esporre la loro merce all’interno.
Nessuno ad oggi sembra essersi però posto il problema di come rivitalizzare la tradizione artigianale di questa zona. Korça era molto conosciuta per la lavorazione del metallo e per la tessitura. Con l’arrivo del comunismo, della nazionalizzazione dei negozi e dell’economia pianificata, l’artigianato è stato messo in ginocchio. La modernizzazione degli stili di vita ha fatto il resto.
Il regime di Hoxha, in nome della modernizzazione, non ha risparmiato nemmeno una buona parte della struttura architettonica del bazar. L’asfalto si è sostituito in molti casi al kalldrëm, i boulevard e gli edifici in cemento armato si sono sostituiti ai vicoli intimi a misura d’uomo. Dei 700 negozi, che gli anziani ricordano, ne sono rimasti meno di 200.
Di turisti se ne vedono perlopiù d’estate. Non si fermano a Korça, fanno solo una piccola sosta. Alcuni provengono dall’Europa del nord, ma la maggior parte sono balcanici: bulgari, greci, serbi, croati…
Nonostante i tempi difficili, il bazar di Korça rimane comunque un luogo di incontro tra lingue e culture: l’albanese viene parlato con vari accenti, in un angolo un macedone parla male l’albanese, un albanese parla male il macedone, ma interloquiscono aiutandosi a vicenda. Al posto della musica delle çarshije, scandita dal battito degli attrezzi degli artigiani che lavorano, a riempire l’atmosfera sono le canzoni tradizionali, con la gente che le canticchia in albanese, macedone, greco e, qualche anziano, in valacco.
Il Bazar delle serenate si svuota come tutti i mercati albanesi dopo pranzo. Nel vuoto delle bancarelle chiuse su se stesse si notano le serrande, i balconi, i portoni, sopravvissuti agli anni. Un viaggio nel passato, quando questo era il Bazar delle serenate e un connubio di çarshija ottomana e quartiere latino trapiantato in quella che negli anni ’20 veniva chiamata la Parigi d’Albania. La borghesia e gli intellettuali più d’avanguardia del Paese, che vivevano proprio qui, avevano fatto di Parigi il loro punto di riferimento. Le serenate suonate nelle caffetterie del bazar sono, per molti versi, la reinterpretazione albanese delle chansons di quegli anni, una tradizione che continua tuttora.
I lavori per la ristrutturazione del bazar dovrebbero iniziare nel corso del 2011. Molto probabilmente le facciate e i negozi recupereranno la loro identità perduta. Ma la vera salvezza è riuscire a rivitalizzare l’intero bazar. Questo avverrà solo quando gli artigiani riprenderanno a lavorare i qilim (tappeti tipici) e a produrre souvenir, i pittori a dipingere quadri; i ragazzi a suonare la chitarra agli angoli dei vicoli e la gente passeggerà anche al tramonto, sostando in qualche han per gustare le kërnacke, piatto locale a base di macinato di carne, la birra “Korça” o una grappa.
* Per facilitare la lettura si è scelto di usare il termine in versione ‘bchs’ (čaršija) nei testi riguardanti la Bosnia Erzegovina e la Serbia; in quelli sull’Albania, l’ortografia albanese (çarshija); invece per i bazar in Kosovo e Macedonia vengono usate indifferentemente entrambe le diciture.
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