Kemal Monteno, cantare la vita
In questi giorni, nel 2015, moriva Kemal Monteno uno dei principali protagonisti della scena musicale jugoslava
Oriente e Mediterraneo, melodica italiana e Sevdah. Tutto racchiuso in un ragazzo dal nome bosgnacco e dal cognome friulano.
Kemal Monteno nacque nel 1948 Sarajevo. Un binomio, tra lui e la sua città di nascita, indissolubile. Non lasciò Sarajevo nemmeno durante i difficili anni dell’assedio. A causa di un forte diabete si trasferì nel 1995 a Zagabria con la famiglia dove morì il 21 gennaio 2015. Qualcuno ha scritto: “Zagabria poteva solo desiderare che uno come Kemo nascesse proprio lì”. E in effetti tante città jugoslave invidiavano a Sarajevo Kemal Monteno. Altro grande amore è stata la moglie Branka, di cui si innamorò da diciottenne. Lei ne aveva sedici e mezzo. Con lei visse per per 44 anni ed ebbero due figli, Adriana e Djani (Gianni).
I monfalconesi
Vi sono vari articoli e servizi giornalistici d’epoca che ricostruiscono la storia della famiglia di Kemal Monteno. In una delle rare interviste rilasciata dalla famiglia Monteno nel loro modesto appartamento, situato nel complesso dello stadio calcistico “Koševo” a Sarajevo, alla belgradese “Tv Novosti” del 1980, si racconta come il giovane friulano Osvaldo, padre di Kemal, finì dalla natia Monfalcone a Sarajevo.
Osvaldo Monteno da giovane finì reclutato nell’esercito italiano e mandato nella Jugoslavia occupata, anche in Bosnia Erzegovina. Dopo l’8 settembre del 1943 e la capitolazione italiana tornò a Monfalcone dove si avvicinò alle cellule partigiane organizzate tra i metalmeccanici del cantiere navale. Lui stesso, di professione, era fabbro tornitore. A seguito della fine della Seconda guerra mondiale Osvaldo decise di lasciare la sua città e trasferirsi nel territorio controllato dai partigiani jugoslavi. Non si sa però perché proprio la Bosnia e perché proprio Sarajevo.
Sia Osvaldo che la futura moglie Bahrija avevano alle spalle un matrimonio, lei aveva un figlio e lui una figlia e Kemo in più di un’occasione ha raccontato della comprensione dei militari alla frontiera italo-jugoslava quando negli anni sessanta lasciavano lui e la sorella trascorrere ore nella “terra di nessuno”, anche senza esibire passaporti.
Calcio e musica
Kemo nacque il 17 settembre del 1948 nell’ospedale Jezero, vicino allo stadio “Koševo” dove suo padre immigrato, con scarsissima conoscenza della lingua di quella terra straniera, trovò impiego come tutto fare: manutentore, magazziniere e custode. Quel luogo per Osvaldo divenne tutto e fu una figura molto conosciuta tra tutti i giocatori dell’epoca che lo vedevano occuparsi di loro come se fossero suoi figli. Anche la moglie Bahrija era dipendente della società sportiva, si occupava delle pulizie e della lavanderia. Oltre allo stipendio, alla coppia fu offerta anche la sistemazione in una struttura fatiscente presso lo stadio: al primo piano loro, al piano terra una famiglia di rom bosniaci. Kemo crebbe lì, spesso ospite della famiglia rom. “Da loro si cantava sempre e c’era sempre qualche motivo per ridere”, raccontò in più di un’occasione. Li adorava.
Kemo durante l’infanzia e la prima adolescenza fece poco altro se non rincorrere un pallone. Poi, in terza media, iniziò a cantare. Un’insegnante lo iscrisse ad un concorso per cantanti dilettanti a Sarajevo e lui vinse. Fu l’inizio della sua carriera. Qualche anno dopo il brano “Lidija”, vera hit del 1967, lo portò al successo.
Unico ed inimitabile
Kemal Monteno è conosciuto tanto per i brani che ha cantato quanto per quelli scritti per altri. Autore di moltissime canzoni era amico ed ha scritto per Arsen Dedić, Gabi Novak, Davorin Popović, Tereza Kesovija, Zdravko Čolić, Oliver Dragojević, Ibrica Jusić, Rade Šerbedžija e tanti altri nomi della scena musicale jugoslava. Alcuni dei suoi brani più famosi sono: ”Pamtim samo sretne dane” (Ricordo solo i giorni felici), "Bacila je sve niz rijeku” (Ha gettato tutto nel fiume), "Moja posljednja i prva ljubavi” (Il mio ultimo e primo amore).
In merito al suo talento gli interpreti concordano sul fatto che Kemo impersonava una rara e preziosa fusione tra la canzone italiana e la sevdalinka, il canto delle antiche borgate bosniache.
Tra i suoi pezzi da ricordare anche "Jedne noći u decembru" (In una notte a dicembre) – dedicata alla moglie Branka quando era incinta e “Zemljo moja” (Terra mia), un capolavoro cantato da Ismeta Dervoz Krvavac davanti a delegazioni provenienti dal mondo intero in visita alla Jugoslavia.
Resterà poi per sempre ricordato il brano “Pismo prijatelju” (Lettera all’amico) composta durante l’assedio di Sarajevo che contribuì a far sentire la voce dei sarajevesi, assediati nel cuore dell’Europa. Per questo brano venne realizzata anche una clip video, molto essenziale ma dal forte significato, con Kemo seduto insieme agli amici di una vita davanti al leggendario punto d’incontro presso il club “FIS”.
Kemo davanti al pubblico
Kemo Monteno cantava con estrema facilità, con gli occhi chiusi e la testa leggermente sollevata, spesso accompagnato dalla sua chitarra acustica. La sua voce era seducente e aveva grandi doti interpretative. Come persona era modesto e riservato, sempre disponibile e pronto alla battuta. Questa sua apertura verso il prossimo e la sua generosità artistica hanno aperto le porte del mondo dello spettacolo a tanti di coloro i quali si sono esibiti insieme a lui oppure hanno interpretato le sue canzoni.
Pubblicò il suo primo album nel 1973 e l’ultimo quarant’anni dopo. In questo periodo scrisse circa 250 canzoni e ne interpretò la metà.
Quando verso la fine della guerra, decise di trasferirsi da Sarajevo a Zagabria – si pensava allora solo temporaneamente per curare il diabete e uno stato di salute carente in generale – al “Dom Sportova” della capitale croata – che era la più grande struttura che potesse ospitare eventi – promosse sette concerti di fila, con il tutto esaurito.
La sua eredità è ben esplicitata nel testo di “Hvala svima” (Grazie a tutti):
“A ciascuno di voi ho donato una canzone
Molte sono tristi e piene di ricordi
Vi diedi l’amore senza chiedere nulla
Vi regalai il mio cuore come un bambino
Ref.
Grazie a tutti dei tempi delle rose
Le mie poesie non vi giudicano per niente
Tutti coloro che dalla mia vita se ne sono andati via
Nelle mie canzoni vivranno per sempre”.
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