Jugoslavia: “Anche se non è successo è vero”
Intervista con Boštjan Virc sceneggiatore di ‘Houston, abbiamo un problema’, una docu-fiction slovena sulla (non) esistenza del programma spaziale jugoslavo
Tra i documentari della 28-esima edizione del Trieste Film Festival (20-29 gennaio), c’era anche un film girato senza pretesa di raccontare la verità – l’acclamatissimo ‘Houston, we have a problem’ – una docu-fiction slovena sulla (non) esistenza del programma spaziale jugoslavo. Il film, che a detta degli autori invita gli spettatori a un consumo più consapevole del materiale mediatico, è stato presentato in più di 40 festival, è stato scelto dalla Slovenia come candidato nazionale per gli Oscar, è stato acquistato da Netflix, sostenuto da HBO Europe oltre ad aver avuto un grande successo su tutto il territorio dell’ex Jugoslavia. Abbiamo incontrato Boštjan Virc, sceneggiatore, produttore e zio del regista Ziga Virc.
Una domanda d’obbligo per il vostro film: cosa è docu e cosa fiction?
Come in tutte le cose, non è possibile fare una distinzione netta. Se in una storia mettete il 99% di verità e 1% di bugia, quella storia non è più vera.
C’è da dire che il programma spaziale jugoslavo così come lo abbiamo presentato noi non esiste – ci è servito più come una metafora per l’ascesa e la dissoluzione della Jugoslavia e per il suo curioso rapporto con gli Stati Uniti nella seconda metà del secolo scorso.
Detto questo, nel montare questa storia, il nostro strumento principale non è stato la bugia nel senso formale. Piuttosto, ci siamo serviti continuamente delle tecniche di manipolazione e di un approccio tendenzioso – nel modo in cui abbiamo usato il materiale storico, nel montaggio – le stesse pratiche che vengono usate dai media oggi e che purtroppo sono state utilizzate da tutte le parti coinvolte nel conflitto jugoslavo per fomentare l’odio.
Durante il film, ci sono diversi indizi che fanno capire allo spettatore attento che non si tratta di un vero e proprio documentario. Alcuni capiranno, altri no. C’è da chiedersi come uno possa seguire quotidianamente le notizie, quando l’intenzione di lasciar intuire la manipolazione viene meno. Questo è il messaggio principale dietro il nostro film, che abbiamo sempre dichiarato come docu-fiction.
Come nasce l’idea di trattare questo argomento?
Inizialmente Ziga (regista) ha avuto l’idea di fare un film sul programma spaziale jugoslavo come pura fiction. Ha chiesto a me di fare un po’ di ricerca e trovare dei fatti realmente accaduti intorno a questo tema e abbiamo trovato una serie di fatti interessanti che non erano al 100% confermabili ma che ci davano abbastanza indizi per poter creare la nostra storia, che non è altro che un tipico mito balcanico. E la grammatica di un mito balcanico vuole che parti da un piccolo fatto realmente accaduto, lo manipoli, lo ingrandisci, lo gonfi, poi lo dai in pasto al popolo e via. Ci è stato di aiuto il fatto che il mito di Tito come genio di pragmatismo esistesse già sul territorio di tutti i Balcani.
Prima di partire con il lavoro vero, abbiamo provato a lanciare questo mito, come un esperimento, per vedere come avrebbero reagito le persone. Lo abbiamo fatto con un teaser lanciato su Youtube esattamente 5 anni fa, ottenendo più di un milione di click e un interesse enorme da parte di numerosi media.
Si è trattato di un classico caso virale, o gli avete in qualche modo dato una spinta tramite i canali tradizionali dato che lavorate da anni nell’industria delle pubbliche relazioni e del marketing?
In quella fase non vi è stata alcuna promozione, Ziga e io abbiamo pubblicato il video ciascuno sul suo profilo Facebook a mezzanotte, la mattina successiva avevamo 100-150 click, 24 ore dopo più di 200 mila. In quel momento abbiamo capito che l’interesse intorno a quel tema è enorme, e, soprattutto, che c’è poca chiarezza su cosa è vero e cosa no. Da lì siamo partiti con il lavoro serio, che è durato cinque anni.
Il film parla di un presunto programma spaziale jugoslavo venduto agli USA durante la guerra fredda per una cifra spropositata, e delle conseguenti pressioni da parte di Washington. Vogliamo dire a chi non vedrà il film – o a chi lo vedrà senza una conoscenza approfondita della storia locale – quali sono i fatti veri in merito ai temi trattati nel film – in particolare il programma spaziale jugoslavo e la transazione economica tra gli Stati Uniti e Tito?
Un fatto vero è che numerosi ingegneri dell’ex Jugoslavia hanno lavorato per la NASA in quegli anni. Un altro fatto realmente accaduto è che nel ’67 si tenne il primo incontro mondiale dedicato all’esplorazione dello spazio a Belgrado, e solo successivamente a New York. È vero anche che l’equipaggio dell’Apollo 11 portava anche la bandierina della Jugoslavia, insieme a diverse altre. È vero che negli anni ’60 gli USA versarono alla Jugoslavia l’equivalente di 3 budget annuali della NASA. Interi quartieri come Nuova Belgrado, Nuova Zagabria e l’industria del paese nacquero proprio in quegli anni.
Un altro fatto storicamente documentato è che Tito visitò gli Stati Uniti nel ’63 dove vi fu un attentato contro la sua persona non riuscito, eseguito da una persona di origini slave e attribuito alla CIA, e che un mese dopo l’attentato a Kennedy avvenne con successo.
Anche nel territorio dell’ex Jugoslavia manca chiarezza sugli argomenti che avete trattato. Come è stato ricevuto il film fuori dall’ex-YU, dove le persone hanno ancora meno strumenti per discernere tra vero e falso?
Inizialmente abbiamo temuto che gli americani percepissero il film negativamente, come una provocazione e presa in giro sul loro conto, ma ciò non è accaduto. Negli USA il pubblico lo ha percepito come un’osservazione su come le cose vanno regolarmente: si individua uno stato, lo si finanzia e lo si tiene a galla finché è utile. Esattamente quel che è successo con la Jugoslavia.
C’è da dire anche che noi nei Balcani diamo molto più peso a questi argomenti, mentre fuori dai Balcani la gente si gode il film senza farsi troppe domande.
Il vostro mito balcanico ha le caratteristiche di una teoria del complotto con la differenza che voi siete consapevoli, e lo dite apertamente, che non è tutto vero. Chi lavora per smontare le bufale applica il criterio secondo il quale la correlazione tra fatti non equivale a causalità tra di loro. Forzando apertamente le correlazioni tra fatti noti, avete messo in risalto quanto sia facile percepire un fatto falso come vero solo perché presentato abilmente.
Appunto, noi non vogliamo che le persone credano nel nostro film. Noi vogliamo che siano critici. È possibile guardare il nostro film su due livelli. Il primo, analizzandolo, cercando di capire cosa è vero, cosa no. L’altro livello, che è stata la chiave del successo del nostro film in tanti festival, prevede la percezione del film come un invito a un consumo più critico del materiale mediatico di cui siamo inondati.
Oltre a lei e Ziga che vi siete occupati della regia, della produzione e della sceneggiatura, come direttore della fotografia appare un altro Virc, Andrej. Questo film è un affare di famiglia?
Sì, il film nasce dal nostro studio di famiglia, Studio Virc, in cui lavoriamo io e mio fratello Andrej e suo figlio Ziga. Siamo quasi tre generazioni dato che Andrej è del ’62, io del ’72 e Ziga dell’87. Ma c’è da dire anche che questo film è stato realizzato grazie a una co-produzione tra cinque paesi e che proprio in questo siamo riusciti a superare il limite che la maggior parte delle aziende familiari ha: quello di non riuscire a portare il proprio lavoro a un livello più ampio.
Il film tratta molti episodi famosissimi della storia, come la morte di Kennedy o quella di Tito. Ho notato che non avete fatto uso delle immagini facilmente reperibili che siamo abituati a vedere ogni volta che questi eventi vengono citati: la convertibile di John e Jackie Kennedy prima della sparatoria, o l’annuncio solenne sul Tg nazionale: “È morto il compagno Tito”. Questo significa anche molto lavoro di ricerca negli archivi.
È vero, durante i 5 anni di preparazione del film abbiamo lavorato molto, in 7-8, sulla ricerca degli archivi, in collaborazione con la RTV slovena e con Filmske novosti.
L’unico cliché che abbiamo usato nel film è quello del carro armato che travolge una Zastava 500 che simboleggia l’inizio della guerra. Quell’immagine è stata molto usata ma rimane potente perché non mostra i cadaveri e il sangue ma è tutto chiaro.
Per la morte di Tito invece delle solite immagini abbiamo scelto di mostrare solo i primi piani delle persone che piangono sinceramente, per come la vediamo noi, non tanto per la sua scomparsa ma per quello che sarebbe successo a loro, alla Jugoslavia e a tutti noi pochi anni dopo.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua