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Jovo Martinović, se il giornalismo d’inchiesta finisce dietro le sbarre

In Montenegro – paese membro Nato e candidato Ue – gli attacchi contro la stampa sono numerosi e un giornalista può subire il carcere per il suo lavoro di indagine. E’ la storia di Jovo Martinović, attualmente sotto processo. Nostra intervista

04/12/2017, Francesco Martino - Pristina

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Jovo Martinović è un giornalista investigativo freelance in Montenegro, che lavora per numerosi e prestigiosi media internazionali (National Public Radio, BBC, VICE, CBS, Canal Plus, The Economist, TIME, Global Post, BIRN) e noto per le sue inchieste su criminalità organizzata in Europa e criminali di guerra nei Balcani. Le sue indagini lo hanno portato a stretto contatto con persone coinvolte nel traffico di droga e con i membri delle "Pink Panthers", una rete internazionale di ladri di gioielli.

Nell’ottobre 2015 è stato arrestato con l’accusa di traffico di droga e partecipazione ad associazione a delinquere. Le accuse della procura montenegrina e la lunga e ingiustificata detenzione preprocessuale sono state fortemente criticate dalle organizzazioni internazionali che si occupano di libertà dei media e diritti umani, dato che Martinović dichiara la propria innocenza e può sostenere, da noto giornalista investigativo, che i contatti incriminati facevano parte della sua indagine.

Martinović è stato rilasciato all’inizio del 2017 dopo 14 mesi di prigione, ma è ancora sotto processo e rischia fino a dieci anni di reclusione. Il nostro corrispondente lo ha incontrato a Pristina durante una conferenza internazionale organizzata da "Le Courrier des Balkans".

Pensi che il tuo sia un caso unico o lo vedi come parte di una strategia generale per minare la libertà di stampa in Montenegro?

In Montenegro, in questi ultimi anni, sono stati registrati diversi casi di attacchi fisici contro giornalisti e nel 2013 è stata attaccata la sede del principale quotidiano indipendente "Vijesti". Quindi, sì, i media e i giornalisti sono sotto pressione in Montenegro. Il mio caso personale era in qualche modo diverso, probabilmente perché ho sempre lavorato per media occidentali. L’approccio adottato contro di me è assolutamente unico: nessun altro giornalista in Montenegro ha trascorso in carcere quattordici mesi e mezzo. Casi come il mio sono stati registrati invece in paesi come la Russia, la Turchia e il Venezuela, dove l’anno scorso il giornalista investigativo Braulio Jatar è stato accusato di riciclaggio di denaro e imprigionato dopo essere apparso come oppositore del presidente venezuelano Nicolás Maduro.

In passato, sei mai stato "avvertito" di interrompere le tue indagini da parte di rappresentanti del potere politico?

Sono stato avvertito – per così dire – diverse volte in passato, quando ho lavorato ad alcune indagini che non erano state, diciamo, particolarmente ben accolte. A volte, sono stato persino sospettato per inchieste apparse sui media stranieri con cui non avevo nulla a che fare.

Come sei stato trattato durante la tua lunga prigionia?

Sono stato trattato in modo corretto. Durante le riprese di un documentario sull’imputato principale nel mio caso, Duško Martinović, sono stato più volte in carcere per intervistarlo, quindi mi conoscevano già nell’ambiente carcerario. Ho ricevuto un trattamento equo e nessuna pressione dal personale carcerario.

Come spieghi la tua incarcerazione? Perché così tanto tempo dietro le sbarre?

Quando sono stato arrestato, stavo lavorando ad un documentario per il canale francese "Canal Plus" sul contrabbando di armi dai Balcani – Albania e Bosnia Erzegovina in particolare – in Francia, armi che sono finite nelle mani di gruppi terroristici. Allora stavo lavorando al caso bosniaco e filmando in Serbia, quindi la nostra indagine non era direttamente collegata al Montenegro. Trovo difficile metterla in relazione diretta alla mia incarcerazione, a meno che non si tratti di pura paranoia da parte degli apparati di potere a Podgorica. Credo piuttosto che abbiano usato il documentario come un’opportunità per punirmi per la mia "insubordinazione" in episodi precedenti.

Hai sempre lavorato per i media internazionali invece che per quelli locali. Pensi che questo ti metta in una posizione più delicata?

Sì, certo. I governi dei Balcani sono molto più spaventati e preoccupati per quanto riportato dai grandi media internazionali rispetto a quelli locali. Quindi, lavorare per i media internazionali ti mette sotto una pressione più forte, perché se i governi o i servizi di sicurezza non gradiscono il modo in cui è stata trattata una certa questione, la cosa più semplice è vendicarsi sul corrispondente locale.

Qual è stata la reazione delle organizzazioni dei giornalisti e dei media montenegrini al tuo arresto? Hai ricevuto solidarietà concreta?

Inizialmente, i media locali hanno ripreso la notizia dalle organizzazioni internazionali, che avevano scritto al governo montenegrino per sostenermi. All’inizio, la reazione è stata piuttosto tiepida, forse perché non ero realmente percepito come parte della comunità dei media del Montenegro poiché, come ho già sottolineato, non ho mai lavorato per i media del posto. Ma quando la mia detenzione è stata prolungata, i media montenegrini indipendenti hanno iniziato a concentrarsi sul mio caso e sono stati di grande aiuto, mentre i media controllati dallo stato hanno sostanzialmente ignorato la mia vicenda.

Pensi che giornalisti e media in Montenegro siano desiderosi di sostenersi a vicenda nel difendere la libertà di parola nel paese?

Il Montenegro è un paese piccolo con un mercato dei media limitato, quindi le piccole rivalità tra giornalisti sono piuttosto comuni. Tuttavia, quando si tratta di questioni serie come la tutela della libertà dei media, penso che prevalgano la solidarietà e il sostegno reciproco.

C’è un vero spazio per il giornalismo investigativo in Montenegro? Esistono opportunità concrete per denunciare la corruzione, i legami tra potere politico e criminalità organizzata e canali efficaci per raggiungere il pubblico?

Certo, la libertà di espressione esiste e negli ultimi anni alcuni media locali hanno svolto un ottimo lavoro. Ci sono state molte buone storie, scoop, che però non hanno ancora prodotto grandi cambiamenti nella società. Naturalmente, come in molti altri paesi in transizione, le opportunità per un buon giornalismo in Montenegro sono accompagnate da rischi e sfide. Quel che è peggio, tuttavia, è che le buone indagini di solito non hanno alcun impatto, anche se sono corroborate da fatti e documenti. Nei Balcani, e in particolare in un paese così piccolo come il Montenegro, non si ha la stessa risposta del pubblico alle notizie che criticano il governo che nell’Europa occidentale. Penso che ciò possa essere in parte spiegato da una più debole tradizione democratica.

Il Montenegro è attualmente uno stato candidato UE: pensi che il monitoraggio europeo legato ai negoziati di adesione contribuisca a migliorare la libertà dei media nel paese?

È difficile dare una risposta univoca, ma credo che l’UE stia generalmente svolgendo un ruolo positivo. Proclamare a parole un sistema di valori occidentale nel quadro del processo di adesione all’UE è relativamente facile, è però molto più difficile attuare concretamente tali valori e consolidare nei paesi balcanici un vero stato di diritto.

La libertà di stampa in Montenegro

Per approfondire il tema consulta il dossier tematico che OBCT ha realizzato sulla base dei materiali catalogati nel Resource Centre sulla libertà dei media

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