Tipologia: Intervista

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Jens Woelk: lo status quo in Bosnia Erzegovina è un’illusione

La Bosnia Erzegovina non può più aspettare. Deve far propria la costituzione, che non può più essere solo un "annesso" degli Accordi di pace di Dayton. L’opinione del giurista Jens Woelk

22/03/2021, Lejla Gačanica -

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(Pubblicato originariamente da Women Citizens for Constitutional Reform il 27 dicembre 2020)

Il mese di dicembre 2020 è stato caratterizzato da numerosi dibattiti, conferenze e riflessioni sull’Accordo di pace di Dayton e sulla Costituzione della Bosnia Erzegovina. Il dibattito sulla Costituzione è quindi andato oltre il ristretto quadro etno-nazionalista, consentendo un più ampio dibattito sulla riforma costituzionale e sul futuro della Costituzione. Siamo liete di avere avuto una conversazione con il professor Jens Woelk sulla riforma costituzionale: gli aspetti sociali, formali e internazionali, le condizioni per il cambiamento e perché lo status quo costituzionale non è la soluzione.

Jens Woelk è professore ordinario di Diritto costituzionale comparato all’Università di Trento (Italia), alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Scuola interdisciplinare di studi internazionali. Dopo aver conseguito il dottorato in Scienze giuridiche presso l’Università di Regensburg (Germania) ha lavorato all’Eurac di Bolzano (1994-2000). Tra i suoi interessi di ricerca figurano federalismo/regionalismo, diritto costituzionale comparato e diritto dell’Unione europea, diritti delle minoranze e processi di trasformazione costituzionale nell’Europa sud-orientale. Nei Balcani occidentali Woelk ha partecipato a vari progetti e missioni come esperto per l’Unione europea e il Consiglio d’Europa e come esperto legale internazionale senior sull’integrazione UE presso l’High Judicial Council della Bosnia Erzegovina (Sarajevo, 2018- 2019).

In occasione dei 25 anni dall’Accordo di pace di Dayton, la questione costituzionale ha recentemente preso spazio nel discorso politico. Come ha influito sul destino della Carta il fatto di fare parte dell’Accordo di pace? Nei suoi 25 anni di esistenza, ha avuto la possibilità di essere vista come documento indipendente dagli accordi di pace e come il più alto atto giuridico di questo stato?

La Costituzione era, ed è ancora, vista soprattutto come parte dell’accordo di pace, e colpisce il fatto che ancora non ci sia una traduzione nelle lingue locali. Ufficialmente esiste ancora solo in inglese, fatto che già ci dice qualcosa. Il fatto che faccia parte di un ‘pacchetto’ dell’Accordo di pace di Dayton è stato da un lato un punto di forza, soprattutto all’inizio, ma dall’altro è diventato una scusa per non toccarla affatto, perché sembra che non ci sia modo di coordinarsi almeno con la comunità internazionale.

L’OHR (Ufficio dell’Alto rappresentante) con i poteri di Bonn non è intervenuto direttamente sulla costituzione dello stato, ma solo sulla conformità delle costituzioni delle entità a quella di Dayton. Ovviamente, usando il potere di imporre la legislazione, l’OHR ha interferito con l’ordine costituzionale. C’è sempre questa ambiguità. Per me, uno dei primi motivi per cui è necessario un cambiamento, è la necessità di una sorta di costituzione fatta in proprio, un "rimpatrio”, come si dice nella dottrina canadese, il che significa che la costituzione è propria. Per il presente e il futuro abbiamo bisogno di una costituzione della Bosnia Erzegovina e non di un documento imposto o concordato a livello internazionale.

Il progresso della Bosnia Erzegovina, compresa la riforma costituzionale, sembra essere bloccato – nel dopoguerra –  tra l’intervento internazionale e il funzionamento del sistema politico interno. Che cosa è necessario affinché il paese si appropri pienamente della costituzione e del suo processo di trasformazione?

La situazione è sicuramente bloccata. Da un lato, direi che nell’ultimo decennio è stato addirittura un tabù parlare di costituzione o della sua riforma. Ricordo che quando sono arrivato a Sarajevo, nel 2018, c’era ancora l’idea di non toccare questo argomento. Qual è il punto? Il punto è che non siamo sicuri che vi sia sufficiente accordo su uno stato comune in Bosnia Erzegovina. Penso che questa sia la questione più profonda dietro il tabù sulla riforma costituzionale: il timore che un dibattito sulla riforma crei di nuovo spaccature e divisioni che metterebbero in discussione l’esistenza stessa dello stato in quanto tale.

Questo in realtà ci mostra ancora una volta quanto sia fragile questa situazione da guerra fredda a 25 anni dalla fine del conflitto. D’altra parte, esiste ancora una sorta di comodo compromesso tra la comunità internazionale e persino l’UE, da un lato, e dall’altra le élite politiche interne che hanno creato un sistema spesso descritto come "stabilitocrazia", fatto di semi-autoritarismo, clientelismo e dipendenza dall’assistenza e dagli aiuti esteri. Tuttavia, la comunità internazionale lo accetta perché fornisce un minimo di stabilità e prevedibilità. Sfortunatamente, in confronto a Russia, Cina e Turchia, questo atteggiamento passivo per ragioni geopolitiche contrasta con l’agenda ufficiale dell’UE, in particolare con l’obiettivo di trasformare il paese in qualcosa di più democratico.

Ecco un paradosso tra due obiettivi non facili da conciliare: come inserire nel quadro geopolitico la trasformazione verso la gestione democratica del paese. E questa è la vera sfida, perché dovrebbe essere l’obiettivo dell’UE. Semplicemente non è possibile, in termini formali, che la BiH divenga membro dell’UE con la costituzione così com’è ora, e in termini più sostanziali non è possibile con un sistema politico etno-nazionalista e semi-autoritario come l’attuale. Siamo tutti a conoscenza della controversia con l’Ungheria e la Polonia sullo stato di diritto: è pessima poiché tocca le fondamenta stesse dell’integrazione europea. Dobbiamo affrontarla come stati membri: è una situazione molto grave che solleva molte questioni importanti, anche per la Bosnia Erzegovina e il processo di allargamento. Ma ovviamente è diverso quando si tratta di uno stato candidato.

E qui arriva di nuovo la questione della proprietà, perché penso a questa famosa transizione che ora sembra quasi permanente, a causa del compromesso di cui ho parlato prima. Questa transizione deve essere conclusa, e l’unico modo per farlo è che la popolazione in BiH (e dico popolazione per includere tutti) dimostri effettivamente la sua volontà di essere uno stato. Penso che questo sia il punto. E poi dobbiamo discutere di quale tipo di stato, e questo può essere solo uno stato multinazionale, in cui la dimensione di gruppo è in una certa misura rispettata, riconosciuta e garantita. Ma deve essere chiaro che non si discute di separazione o secessione. In un certo senso, questo era anche il presupposto per la riunificazione della Germania. La Germania ha dovuto rinunciare a tutto il territorio che aveva perso dopo la Seconda guerra mondiale. C’erano associazioni di ex rifugiati, attive e fortemente influenti nella vita politica tedesca, che nei primi decenni dopo la guerra si opposero a qualsiasi idea del genere. Nel caso dell’Alto Adige, vicino a dove risiedo nel Nord Italia, il compromesso ha garantito un’autonomia molto migliore e normative molto diverse rispetto al resto d’Italia in cambio della rinuncia della popolazione germanofona all’indipendenza o all’adesione all’Austria. Punto. I confini devono essere rispettati. Ed è proprio quello che serve anche nel caso della BiH.

Qui, ovviamente, è necessario includere anche i paesi vicini (Serbia e Croazia) per fermare le interferenze distruttive dall’esterno. Attualmente ci sono chiare interferenze negative per guadagni politici a buon mercato, e questo deve finire. Darei priorità alla Croazia, non perché debba essere trattata in modo diverso dalla Serbia, ma solo perché ha una responsabilità ancora maggiore in quanto stato membro dell’UE. Per me questo è assolutamente chiaro. La Serbia sarà eventualmente punita con il prolungamento del processo di integrazione se continua a comportarsi in modo negativo. La Croazia è già nell’UE, come Polonia e Ungheria, e dovrebbe esserci chiarezza: non si può permettere che uno stato membro dell’UE metta in discussione i confini o interferisca profondamente negli affari interni di un altro stato (non UE). È una dinamica simile a quella tra la stessa Croazia e la Slovenia sulla disputa sui confini marittimi, tempo fa. In qualità di stato membro dovrebbe comportarsi responsabilmente nei confronti di un potenziale candidato (e, si spera, presto futuro candidato). Questo mi porta al punto successivo: non si tratta di proibire qualsiasi tipo di interferenza o interesse. È utile e ci sono molte situazioni (come Austria-Italia, Irlanda del Nord-Regno unito e Irlanda) in cui un altro stato interferisce, ma questo deve essere fatto in modo costruttivo, con l’obiettivo di migliorare la situazione su entrambi i lati del confine e in particolare attraverso la cooperazione transfrontaliera e altri strumenti concordati bilateralmente. Questo migliorerà molto quando la BiH diventerà membro dell’UE, ma qui c’è un grande potenziale che dovrebbe essere usato in modo costruttivo anche in termini geopolitici.

Tuttavia, spesso sembra che la mancanza di volontà politica e di un processo di riforma contribuisca a creare la speranza che la comunità internazionale intervenga nuovamente nella modifica della costituzione della Bosnia Erzegovina. Quanto è dannoso e pericoloso questo discorso?

È pericoloso perché terrebbe sicuramente la BiH a distanza dall’UE. Con questo pensiero non è possibile entrare nell’UE. Questo è il pericolo. Il secondo pericolo è sopravvalutare lo status quo. Probabilmente per molti in questo momento sembra l’opzione migliore, ma è un’opzione a breve termine poiché le cose cambiano, in particolare il mondo cambia fuori dalla BiH. Guardiamo, ad esempio, chi governa a Belgrado e Zagabria, e questo è cambiato negli ultimi 25 anni. Vediamo le conseguenze di questi cambiamenti, e sono solo piccoli cambiamenti rispetto a molti cambiamenti più ampi nel mondo. Non è garantito che questi cambiamenti esterni non avranno conseguenze importanti per la situazione interna in BiH. Quindi lo status quo è comunque un’illusione, perché se ti aggrappi allo status quo non c’è capacità di adattarsi a situazioni più ampie. Questa è una capacità importante: l’adattamento come stato a un ambiente internazionale; se non ce l’hai, non puoi garantire attivamente la situazione che vuoi preservare.

Quasi tutte le discussioni sulle modifiche alla costituzione della BiH sono condotte all’interno di categorie etniche. Possiamo, come società e stato, andare oltre queste ristrette strutture? È possibile conciliare i principi di "cittadinanza" come uguaglianza tra tutti gli uomini e le donne in Bosnia Erzegovina e i principi multietnici con i principi "costitutivi"?

Sono assolutamente sicuro che sia possibile conciliare queste due dimensioni, se non le vediamo come necessariamente antagonistiche. Esiste in primo luogo un regime legale internazionale che protegge i diritti individuali, ma ci sono molte situazioni in cui questo viene "corretto" per rispettare e attuare non solo altri principi costituzionali, ma anche altri interessi pubblici, tra il rispetto dei diritti o degli interessi di gruppo. La mia risposta è in una parola: dinamica. La riconciliazione di valori contrastanti è possibile solo se vediamo la costituzione come qualcosa di dinamico. Non è statica, scritta nella pietra. È importante che la costituzione, come dice la dottrina canadese, sia un albero vivente. Quindi hai alcuni principi di base, che sono il tronco dell’albero, e molti dettagli che implementano questi principi, sempre a livello costituzionale, che potrebbero essere paragonati ai rami e alle foglie. Questi ultimi cambiano. Alcuni addirittura cadono o vengono tagliati, altri cresceranno, e questa è la vita ed è importante per qualsiasi organismo sociale. È artificiale congelare queste cose.

Quindi dobbiamo vedere le due dimensioni, diritti individuali e interessi e diritti di gruppo, da una prospettiva dinamica. Penso che questo sia quanto ha affermato nel 2005 la Commissione di Venezia nel suo parere sulla situazione costituzionale in Bosnia Erzegovina, poi ripreso nel caso Sejdić-Finci del 2009 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e confermato nelle sentenze seguenti, fino ad ora con il caso Pudarić nel dicembre 2020. Penso che questo sia un messaggio importante, e ce lo insegna la legge costituzionale: è legato al principio di proporzionalità. Ciò che era giustificabile e giustificato subito dopo la guerra, non è, almeno non automaticamente e definitivamente, giustificato anche 25 anni dopo. Quindi, di tanto in tanto, dobbiamo rivalutare le situazioni, perché le cose cambiano.

C’è stata una guerra fra comunità – so che semplifico troppo – quindi abbiamo dovuto dare a queste comunità garanzie per fermare la guerra. Il problema dei diritti dei singoli cittadini non appartenenti a queste comunità semplicemente non si poneva all’epoca, perché la legge costituzionale si occupa del contenimento del potere. Tuttavia, a distanza di 25 anni, in un’atmosfera molto più rilassata – anche se di solito la chiamo guerra fredda – è chiaro che non si possono continuare a tralasciare i diritti individuali di tutti a favore delle garanzie per alcuni gruppi. Dal rapporto regola-eccezione instaurato 25 anni fa – a favore dei gruppi – dobbiamo passare a nuovi equilibri, senza dimenticare l’importanza della dimensione di gruppo. Se mi lasciate fare un esempio molto concreto, contesterei il fatto che possono esserci veti assoluti. Direi che se devono esserci veti, allora dobbiamo anche disporre di un meccanismo di risoluzione dei conflitti che possa garantire l’interesse di tutte le parti coinvolte, ma che possa anche superare questo veto. Quindi, da un veto assoluto passerei ad un veto sospensivo. Questo è un esempio di come oggigiorno i diritti di gruppo non debbano essere garantiti in termini assoluti.

Il teorico potenziale trasformativo di una costituzione di solito è qui oscurato da discorsi su un "divieto" quasi sacro di cambiamento e riforma. Lei ha esperienza di lavoro in Bosnia Erzegovina e conosce bene la nostra attualità politica e legale. Secondo lei, perché la riforma costituzionale è così difficile da ottenere qui, per non dire impossibile? Come superare lo status quo?

Non è difficile cambiare la costituzione in BiH. Sulla carta è facilissimo. Basta una maggioranza di due terzi nell’assemblea parlamentare, facile in confronto a molti altri paesi. La domanda ovviamente rimane, perché finora non è successo?

Sono cresciuto nella Germania divisa. Era già divisa quando sono nato e sono cresciuto pensando che lo sarebbe rimasta per sempre. Diamo per scontate troppe cose che caratterizzano la nostra vita di tutti i giorni, ma che in realtà possono cambiare. E ricordo la mia stessa emozione il 9 novembre 1989, quando il muro di Berlino si aprì e la gente passò. Cosa assolutamente impossibile due giorni prima, avrebbero rischiato le fucilate. Invece stavano attraversando, come se il Muro non esistesse, anche se era ancora lì. Allora ho capito che queste sono spesso profezie che si autoavverano, molto spesso narrazioni che vengono create e che accettiamo perché abbiamo bisogno di orientamento, abbiamo bisogno di certezza, e quindi è meglio non fare domande, non chiedere.

E qui torniamo a ciò che ho detto prima: lo status quo è comodo, anche per l’UE e la comunità internazionale, almeno in una certa misura. Il cambiamento creerebbe incertezza. Iniziando un processo costruttivo, tuttavia, si può indurre il cambiamento con certezza, dando a questo cambiamento una direzione, un orientamento. Non deve necessariamente essere un processo caotico, una rivoluzione. Quindi: la costituzione si può cambiare, può anche essere avviato un processo di cambiamento che dia delle garanzie.

Alla conferenza accademica "25 anni dopo: quale futuro per la generazione di Dayton?", tenutasi nel dicembre 2020, una delle conclusioni è stata la necessità di mobilitare i cittadini per avviare o realizzare la riforma costituzionale, o almeno un accordo sulla riforma costituzionale. Un altro punto molto interessante è stato creare uno slancio per il cambiamento. Come creare questo slancio in BiH, è davvero possibile?

Non credo che ai cittadini piaccia impegnarsi in dibattiti sulla riforma costituzionale, tanto meno se il risultato è incerto. Primo, per creare un tale slancio ci devono essere molte persone che lo ritengono possibile e desiderabile. Devi creare un ambiente in cui questo è qualcosa che è visto come imminente, che accadrà. E poi puoi mobilitare le persone, e questo è anche compito, direi, della comunità internazionale. Si spera che il fatto che Joe Biden sia il nuovo presidente americano contribuisca alla cooperazione tra l’UE e gli Stati Uniti piuttosto che all’antagonismo. E nel 2021 non ci saranno elezioni in Bosnia Erzegovina. Quindi ci sarà una finestra di opportunità, il che non significa che dobbiamo avere una nuova costituzione entro la fine del 2021, ma è almeno una situazione in cui tale slancio può accumularsi.

Per rompere il monopolio delle élite nazionaliste si potrebbe sperimentare con assemblee di cittadini come in Irlanda, dove le persone discutono non l’intera costituzione, ma singoli elementi importanti precedentemente individuati. E quando si pensa all’Irlanda, nessuno pensava che si sarebbe riusciti a cambiare il divieto di aborto nella costituzione, ma in realtà è stato fatto dopo un processo simile. Quindi, credo che sia possibile discutere una serie di questioni costituzionali in tali assemblee per ottenere indicazioni dai cittadini, che poi saranno discusse da esperti, e ovviamente anche in parlamento.

Nel caso della BiH, è probabilmente più facile procedere con un cambiamento costituzionale tramite emendamenti piuttosto che con un’assemblea costituente che riscriva completamente la costituzione. Comincerei dal Pacchetto di aprile (2006), dai suoi principi, perché era già ampiamente concordato come denominatore comune, aggiungendo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte costituzionale.

In BiH sono presenti in costituzione requisiti di parità di genere. Durante le transizioni politiche è importante porre l’accento sui diritti delle donne e sull’uguaglianza di genere per cogliere l’opportunità di correggere la storica esclusione delle donne dalla sfera politica. Esiste un "modo giusto" per costituzionalizzare l’uguaglianza di genere?

La mia risposta è: più donne. Semplicemente servono più donne nel processo. E anche più persone giovani, anche se secondo i risultati di un recente sondaggio i giovani non sono necessariamente più democratici nelle loro preferenze. Però hanno interesse per il futuro. È molto importante che questi due gruppi siano adeguatamente rappresentati e forse anche sovrarappresentati. Ciò può essere garantito da algoritmi, che selezionano casualmente i cittadini, ma assicurano anche che donne e giovani siano equamente rappresentati o addirittura sovrarappresentati.

Inoltre, come ho detto prima, ho l’impressione che il compromesso, culturalmente, non conti molto in Bosnia Erzegovina e nei Balcani, ma il compromesso è la base stessa del diritto costituzionale in una democrazia pluralista. In quest’ultima non si tratta mai, o quasi mai, di scelte radicali ma più spesso di riconciliazione, alla ricerca di un equilibrio tra valori e principi diversi per valorizzarli tutti. Questo è il compromesso.

Per quanto riguarda una disposizione costituzionale sulla rappresentanza delle donne, ci sono molti esempi. Questo dipende molto dalla cultura, ma se un’eccessiva dipendenza dalla cultura è un ostacolo alla partecipazione femminile, questo potrebbe effettivamente essere un motivo per cui si introduce una disposizione del genere nella costituzione. Anche in Italia, dove esistono simili problematiche culturali, esiste una clausola sulla rappresentanza delle donne nelle cariche elettive e nelle istituzioni. La mia unica precauzione sarebbe quella di non sovraccaricare la rappresentanza delle quote, ma questa può essere anche un utile e interessante contrappeso alla rappresentazione etnica. Il problema spesso è che quando si assegnano le posizioni, e questa è la mia esperienza concreta nel Consiglio della Magistratura (HJPC), che la combinazione di criteri etnici e di genere limita fortemente la scelta del candidato, spesso a discapito dei meriti.

Come creare uno slancio affinché la Bosnia Erzegovina possa sancire i diritti delle donne, l’uguaglianza di genere e il principio di non discriminazione basata sul genere nella costituzione, quindi riconoscere alle donne uno status di parità e consentire modifiche legislative che contrastino la discriminazione? Quanto è importante la gerarchia degli atti giuridici qui, ovvero che questi principi siano contenuti nella costituzione e che tutti gli atti giuridici inferiori siano armonizzati con essi?

È molto comune nel sistema federale che ci siano "clausole di omogeneità", non nel senso di omogeneità etnica ovviamente, ma nel senso di omogeneità dei principi fondamentali. Non possono esserci contraddizioni in termini di decisioni di valore tra il livello federale e il livello subnazionale. Ciò può includere un trattamento speciale delle donne e questioni di uguaglianza e persino azioni affermative. Le clausole di omogeneità garantiscono uno standard minimo comune, poi se vuoi puoi andare oltre, ma questo vale anche per il diritto comunitario. Se posso esprimere un’opinione personale, a volte sono un po’ sorpreso dal positivismo giuridico che è ancora molto frequente nei paesi dell’ex Jugoslavia. Penso che derivi dalla mentalità e dal formalismo socialisti, dal positivismo, dal non essere familiari o dal non essere disposti a interpretare la legge in modo dinamico o orientato all’obiettivo. Tra l’altro, il metodo di interpretazione teleologico, verso il raggiungimento di un obiettivo, è tipico del diritto dell’UE.

Qual è la tua opinione sulla democrazia diretta in paesi e società come la Bosnia Erzegovina? La democrazia diretta è un’opzione per noi?

Penso che possa essere molto utile, come possiamo vedere nel caso svizzero, ma anche in alcuni altri. È però un rischio in società divise, perché si basa sul principio maggioritario, un plebiscito. Di solito questo non è il modo giusto di decidere in società divise, poiché servono meccanismi più lenti, più inclusivi e che non contrappongano un gruppo all’altro, in particolare dove ci sono minoranze strutturali che non potranno mai diventare una maggioranza politica. Direi che la democrazia diretta è piuttosto rara in queste situazioni, ma non impossibile.

L’integrazione UE è uno slancio importante per la Bosnia Erzegovina: lungo il percorso è prevista l’armonizzazione della legislazione, l’adozione di standard pertinenti. La determinazione delle autorità della Bosnia Erzegovina a volte non sembra sufficiente. Lo si legge dall’ultimo parere espresso dalla Commissione europea, nonché dalle precedenti relazioni sullo stato di avanzamento. Dove si colloca, in quel processo, il cambiamento della costituzione della BiH (definita discriminatoria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo)? Cosa, secondo lei, si dovrebbe fare?

Dove si colloca? Nel parere della Commissione europea sulla domanda di adesione della BiH. Il cambiamento costituzionale è molto importante, è tra le 14 priorità chiave. E penso che ci siano due dimensioni: una riguarda i valori e l’altra la funzionalità. Per quanto riguarda i valori, si deve far riferimento sicuramente alla sentenza Sejdić-Finci e alle altre sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quindi, qui sono necessarie alcune correzioni a favore dei diritti individuali. Il che, ancora una volta, non significa cambiamento totale contro ogni riconoscimento della dimensione collettiva, ma correzione. Penso che questo sia chiaro ora.

L’altra questione è la funzionalità: si tratta della frammentazione territoriale e istituzionale, ma soprattutto della certezza del diritto. Per le istituzioni giudiziarie a livello statale che interferiscono con i diritti fondamentali delle persone, è importante ricevere lo status costituzionale. Aggiungerei un terzo elemento, che è una clausola di integrazione. Questo è già stato inserito nel Pacchetto di aprile (proposta di riforma costituzionale che però non è stata approvata dal parlamento della BiH nell’aprile 2006, ndr). È molto importante che la Bosnia Erzegovina in futuro parli con una sola voce nel processo decisionale a livello dell’UE e garantisca inoltre all’UE la condivisione della responsabilità per la mancata attuazione o gli insuccessi nell’attuazione, facendo comprendere alle Entità la loro responsabilità in questo processo.

 

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