Jeep, spranghe e diritti umani
In Georgia attivisti dell’opposizione sono vittima di aggressioni e subiscono violenze anche da parte delle forze dell’ordine. Il governo minimizza le accuse e parla di una Georgia che procede decisa sulla via della democrazia
Lo scorso 15 settembre si è concluso il mandato di Sozar Subari, l’uomo che per cinque anni ha occupato la posizione di difensore civico in Georgia. In questo periodo, Subari ha condannato duramente l’operato del governo e ha denunciato numerose violazioni dei diritti umani avvenute nel suo Paese. Aveva cominciato denunciando la situazione in cui versavano prigioni e ospedali psichiatrici, ma sempre di più si è dovuto occupare di casi di persecuzione politica ai danni di rappresentanti dell’opposizione e partecipanti a manifestazioni di protesta.
"Quando nel mio primo rapporto ho denunciato la situazione negli ospedali psichiatrici, ci sono state delle reazioni da parte delle autorità competenti, le cose sono cambiate in meglio" dichiara Sozar Subari, intervistato da Osservatorio nel mese di agosto. "Ai tempi di Shevardnadze c’erano molte violazioni dei diritti umani, ma non avevano carattere sistemico…semplicemente lo Stato non era in grado di controllare la situazione, era una situazione di caos. Ora invece lo stato controlla tutto, e le violazioni hanno carattere sistemico e sistematico."
La denuncia di Subari trova riscontro nella realtà. Negli ultimi mesi, rappresentanti dell’opposizione e partecipanti a manifestazioni anti-governative sono stati frequentemente vittime di attacchi fisici da parte di gruppi organizzati di picchiatori. Decine di questi casi sono stati resi pubblici proprio dal difensore civico georgiano. La dinamica degli eventi raccontata dalle vittime è piuttosto simile. Un piccolo gruppo di persone spesso mascherate ed armate di manganelli o spranghe attacca la vittima prescelta che viene picchiata, minacciata verbalmente e in alcuni casi addirittura caricata in macchina (spesso jeep o fuoristrada di lusso) per essere liberata in un’altra parte della città dopo ulteriori violenze.
Un esempio registrato dalle telecamere è quello di Vakhtang Laghidze, vice direttore di "Coca Cola Georgia", che è stato fermato mentre tornava in casa in auto da una manifestazione dell’opposizione. Le immagini registrate dalle telecamere di sicurezza della sede della Banca Mondiale mostrano un’azione rapida e ben organizzata (guarda il video). "I volti dei responsabili sono ben visibili nelle registrazioni. Ciononostante, non sono stati individuati gli aggressori, e non solo in questa occasione; fino ad ora neppure un caso di aggressione ad un attivista dell’opposizione si è concluso con l’arresto del colpevole", dichiara Subari
Vi sono anche testimonianze di violenze commesse direttamente dalle forze di polizia. Il caso più noto è quello dello scorso 15 giugno. Un gruppo di attivisti dell’opposizione si era riunito davanti alla sede centrale delle polizia per protestare pacificamente contro precedenti episodi di violenza. La polizia è intervenuta disperdendo con la forza la manifestazione, trattenendo 38 persone, cinque delle quali sono state successivamente condannate a 30 giorni di prigione. Uno di questi è Dachi Tsaguria, tra i fondatori del movimento giovanile "7 novembre", nato in protesta alla repressione delle manifestazioni antigovernative del 7 novembre 2007.
"I poliziotti ci hanno attaccato all’improvviso e ci hanno portato all’interno della centrale di polizia, ci spingevano e ci hanno fatto sdraiare per terra nella hall" racconta Tsaguria, intervistato da Osservatorio. "Camminavano sopra di noi, saltavano sopra di noi, ci picchiavano con manganelli e spranghe… alcuni erano in divisa, altri no, qualcuno aveva il volto coperto. Mi hanno riconosciuto perché avevo partecipato a molte altre azioni di protesta, e allora hanno iniziato a picchiarmi con più decisione, mi hanno rotto un osso della mano, mi facevano delle fotografie, probabilmente per mostrarle a un loro superiore, poi ho perso conoscenza. Poco dopo mi hanno portato davanti a un giudice. Ero ancora molto sporco di sangue ma quando ho cercato di spiegare perché mi trovavo in questo stato, il giudice mi ha zittito e mi ha condannato a 30 giorni di reclusione. Per 30 giorni sono rimasto in una stanza di 8 metri quadri, senza finestre, con una panca di legno e un lenzuolo per dormire e una toilette alla turca in un angolo. Per un intero mese non mi hanno fatto uscire all’aria aperta, non ho potuto lavarmi."
Anche un rappresentante del difensore civico era presente in quell’occasione e conferma la dinamica dei fatti avvenuti nella hall della centrale; anche lui è stato arrestato, insultato e picchiato, nonostante fosse presente in veste ufficiale e portasse un’uniforme, come sottolineato nel rapporto dell’Ombudsman dedicato agli eventi del 15 giugno.
"È molto negativo ciò che è accaduto alla stazione di polizia il 15 giugno, e infatti so che alcuni poliziotti sono stati redarguiti ufficialmente, ed è giusto che tali eventi vengano indagati", ha commentato il parlamentare del partito di governo Irakli Kavtaradze, intervistato da Osservatorio. "D’altra parte dobbiamo chiederci quali siano i diritti di chi protesta. Essere un manifestante non significa avere l’immunità. L’opposizione ha bloccato per mesi la via principale della capitale e l’abbiamo consentito, anche se per legge una strada può essere bloccata solo se è davvero necessario. Per via delle proteste mi è stato impedito di raggiungere il mio ufficio qui in parlamento, anche se ne avevo diritto. Dobbiamo tutelare i diritti di tutti."
"Certo, sono stati redarguiti. Ma non basta", ribatte l’Ombudsman Suzari. "Il 15 giugno stava avendo luogo una dimostrazione pacifica e legale. Ciò che è avvenuto deve essere definito come un episodio di tortura e i responsabili dovrebbero stare in prigione. In altri casi i dimostranti hanno infranto la legge, certo, ma questo comunque non giustifica un tale comportamento da parte della polizia".
Secondo Irakli Korzaia, tra i fondatori del movimento giovanile antigovernativo "Ratom?" ("Perché?"), gli attivisti dell’opposizione sono costantemente sotto osservazione, anche quando sono lontani da azioni di protesta. "Qualche tempo fa ero in macchina con degli amici, attivisti anche loro. Una jeep ci ha tagliato la strada, sono scesi dei giovani e hanno iniziato a prendere a manganellate la nostra auto… siamo riusciti a scappare per un pelo, ma l’amico che guidava la nostra macchina è finito in carcere per aver danneggiato un furgone durante la fuga", racconta Korzaia. "Un’altra volta mi aspettavano sotto casa, e sono riuscito a cavarmela solo perché i vicini mi hanno avvertito in tempo. In altri casi la polizia mi ha fermato per fare dei ‘controlli’ mentre ero per i fatti miei, lontano da manifestazioni… mi hanno tenuto in centrale per qualche ora, senza spiegare il perché, poi mi hanno rilasciato. Mi hanno fatto le analisi del sangue… forse speravano di incastrarmi per uso di droghe o qualcosa del genere. Ma ciò che mi da davvero fastidio è pensare che la polizia ci segue e ascolta ogni nostra parola, e lo fa con i soldi di noi cittadini."
Il ciclo di proteste iniziato lo scorso 9 aprile si è concluso, e il presidente Saakashvili è ancora saldo al governo. L’opposizione rimane divisa, e anche tra gli attivisti giovanili la coordinazione rimane a livello informale. "Non sosteniamo uno specifico candidato e partito dell’opposizione", dice Korzaia. "Vogliamo che ci siano media liberi, che i diritti umani vengano rispettati in Georgia. Ed è importante che chi ha commesso reati contro la propria gente, siano essi poliziotti, giudici o politici, vengano processati per ciò che hanno fatto. Solo in questo caso saremo pronti a sostenere chi sostituirà Saakashvili al governo".
Giovani come Dachi Tsaguria e Irakli Korzaia cercano di riorganizzarsi per l’autunno e pianificano nuove forme di protesta, anche predisponendo gruppi di lavoro dedicati a temi specifici, come l’istruzione o la questione dei rifugiati, per mettere in discussione il governo anche su aspetti concreti. Sozar Subari si è unito all’opposizione: sarà candidato alle elezioni municipali di Tbilisi fissate per il maggio 2010. Nel frattempo il presidente Mikheil Saakashvili minimizza le accuse e non perde occasione per parlare dei grandi passi avanti che la Georgia sta compiendo nel suo percorso di democratizzazione. "Stiamo realizzando le promesse fatte in passato di rafforzare la nostra democrazia, sostenere il pluralismo ed espandere le libertà individuali", ha dichiarato con orgoglio lo scorso 26 settembre parlando all’Assemblea Generale dell’ONU. Ma parole come queste, pronunciate con convinzione al palazzo di vetro di New York, suonano inevitabilmente vuote per le strade di Tbilisi.
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