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Jazz, la musica della libertà che è sopravvissuta all’Urss

Nulla farebbe pensare ad una tradizione locale di jazz in Azerbaijan. Eppure è un genere che si è sviluppato, dagli anni ’20 in poi, nonostante il periodo sovietico e le ristrettezze della transizione

18/09/2020, Sheyda Allahverdiyeva -

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(Pubblicato originariamente da Chai Khana )

Sembra improbabile. Nato negli Stati Uniti con profonde radici nella tradizione musicale africana, il jazz è raramente associato all’Azerbaijan. Eppure, una fusione di jazz tradizionale americano e musica popolare locale ha una lunga storia nello stato caucasico ed è diventata parte della cultura nazionale.

Dalla fine degli anni ’20 il jazz aveva conquistato il mondo della musica, ma in Unione Sovietica fu messo al bando per decenni, poiché i musicisti jazz erano considerati controrivoluzionari e antisovietici. Gli anni ’60 portarono un po’ di sollievo: a quel punto Baku era diventata un centro focale del jazz nello spazio sovietico insieme a Mosca, Tallinn e Vilnius, e i musicisti azerbaijani avevano sviluppato un proprio sound.

Salman Hüseyn oğlu Gambarov, nato nel 1959 da una famiglia di musicisti e cantanti, è una delle leggende viventi del jazz dell’Azerbaijan. La musica è il suo pane quotidiano sin dalla più tenera età. Pianista classico e laureato in musicologia e composizione presso il Conservatorio di Stato dell’Azerbaijan, sviluppa la sua passione per il jazz a latere, in quanto studiare il genere è un privilegio per pochi. Il primo riconoscimento come compositore arriva negli ultimi anni dell’Unione Sovietica: nel 1987 la sua prima composizione per pianoforte, "Variazioni per fortepiano", vince un concorso pansovietico a Mosca.

"Questo è stato il mio primo pezzo in assoluto e ha avuto un grande successo, mi ha dato una forte motivazione", ricorda. All’inizio non è stato facile. Proprio come molti suoi contemporanei, Gambarov trascorreva ore ad ascoltare la radio e riprodurre la musica al pianoforte. “Voice of America trasmetteva sessioni di jazz ogni mercoledì, venerdì e sabato dalle 22 all’una. Rimanevo sveglio fino a tardi e ascoltavo tutti i loro programmi jazz".

"E i vinili ovviamente", aggiunge. “Arrivavano dai paesi socialisti, come l’Ungheria, la Germania dell’Est, la Bulgaria e soprattutto la Polonia, che vantava la più forte tradizione jazz dell’Europa orientale. Il primo jazz contemporaneo che ho ascoltato era polacco. Quelli che di tanto in tanto arrivavano dall’America venivano venduti sottobanco ed erano molto costosi, tipo 80 rubli per vinile; allora erano tanti soldi [lo stipendio medio era di 150 rubli]. Poi c’erano i registratori. Ho avuto il mio molto tardi; è stato un regalo di mio padre il primo anno di università. Ecco perché le mie informazioni [sul jazz] erano così limitate".

Rafiq Babayev e Vagif Mustafazadeh erano ampiamente considerati i padri della tradizione jazz azera; avevano lo stesso approccio: "Ascoltavano e riproducevano il sound dei jazzisti americani".

Tuttavia, Gambarov crede fermamente nell’importanza di studiare la musica accademica, la storia della musica e le sue diverse forme e direzioni per capire come la musica contemporanea abbia raggiunto la sua forma attuale.

Le fortune della musica jazz in Urss cambiavano a seconda del clima politico: se da un lato rappresentava la classe oppressa degli afroamericani e poteva quindi essere vista come "un’arte proletaria", dall’altro evocava la libertà e la spontaneità personali legate ad una delle sue caratteristiche principali, l’improvvisazione. Pertanto, i funzionari sovietici lo consideravano una minaccia, ma spesso erano indecisi se vietarlo o meno.

Il jazz si insinuò nel mondo musicale dell’Urss negli anni ’20, e nel 1928 la band di Alexander Tsfasman, l’AMA-jazz con sede a Mosca, fu invitata a suonare in uno studio radiofonico per la prima trasmissione jazz dell’Urss. L’ensemble di Tsfasman fu un’ispirazione per i primi musicisti jazz azerbaijani. Negli anni ’30, Niyazi Zulfigar oglu Tagizade Haijbeyov, conosciuto semplicemente come Niyazi, e Tofig Guliyev crearono la prima band jazz locale a Baku. La censura crebbe negli anni ’30 e ’40, Maxim Gorky definì il jazz la "musica delle persone grasse". È interessante notare che anche Hitler aveva bandito il jazz nella Germania nazista, considerandolo una forma d’arte inferiore.

Allo stesso tempo, i funzionari erano preoccupati che il jazz potesse spostarsi underground e danneggiare il sistema, quindi furono fatte alcune concessioni. Nel 1936 fu fondato lo State Jazz Ensemble sotto la diretta responsabilità di Stalin, mentre gli stipendi dei musicisti jazz furono aumentati per non incentivarli a spiare per l’Occidente.

Fu una prosperità di breve durata. Con la Guerra Fredda, il jazz tornò ad essere "un americanismo", fu inserito nella lista nera, il sassofono venne bandito e i musicisti jazz iniziarono a scomparire. Letteralmente. Tra le vittime ci fu Parviz Rustambekov, talentuoso sassofonista azero incarcerato per presunti legami con gli Stati Uniti e morto nel 1949, all’età di 27 anni, in circostanze ad oggi ancora poco chiare.

La morte di Stalin nel 1953 portò ossigeno fresco. Il "disgelo" vide l’economia crescere e la magia della televisione diffondersi rapidamente.

“Era come una nuova alba, dopo lunghi anni di limitazioni le persone erano affamate di jazz. Tuttavia, le organizzazioni private non erano autorizzate a organizzare eventi jazz, era prerogativa dei Komsomol [organizzazione giovanile controllata dal Partito Comunista]”, ricorda Gambarov. Le autorità dettavano il modo in cui il genere avrebbe dovuto svilupparsi, ma il jazz fu introdotto al Conservatorio di Stato di Mosca, nascevano gli ensemble, si moltiplicavano i club e i festival.

A Baku, affermatasi come un rifugio sicuro per i musicisti jazz, i musicisti svilupparono un sound unico che fondeva il jazz con il mugham, una forma musicale tradizionale azera caratterizzata da un ampio grado di improvvisazione nel canto e nel suono. Negli anni ’60, ensemble di 3-5 membri sostituirono gradualmente le grandi band. Fra di loro c’era il Qaya, un quartetto fondato nel 1961 con Rauf Babayev, che suonò per circa 25 anni.

In questa rinascita emerse il talento di Vagif Mustafazadeh, virtuoso pianista, compositore e conoscitore della musica popolare azera. Mustafazadeh divenne famoso nel 1967 vincendo il Tallinn Jazz Festival, per poi raccogliere elogi da leggende come B.B. King e Dizzy Gillespie. Mustafazadeh morì di infarto dopo un concerto a Tashkent, in Uzbekistan: era il 1979, la vigilia di un decennio che vide il jazz fiorire in tutta l’Urss.

Poi arrivarono ​​gli anni ’90 e improvvisamente l’Unione Sovietica non c’era più, e le difficoltà presero il sopravvento sulla vita delle persone.

"Ma non ho mai smesso di suonare, anche nei momenti più difficili", ricorda Gambarov. “Molti musicisti hanno abbandonato la musica e sono passati agli affari. Ma io non l’ho mai fatto, la musica è rimasta il mio obiettivo principale in tempi difficili. La musica, e il jazz in particolare, non perdona mai il tradimento, come se dicesse ‘se mi lasci una volta, non tornare mai più’". Nel 1994 stavo per trasferirmi in Turchia, i miei documenti si sono persi per strada e non sono potuto andare. È stata una fortuna, perché l’anno successivo è cambiato tutto. Non appena abbiamo firmato il ‘contratto del secolo’ [per l’esplorazione petrolifera nel Mar Caspio], molti stranieri hanno iniziato a venire a Baku".

Il boom petrolifero che seguì cambiò il volto del paese e diede al jazz un nuovo impulso. “Ricordo che tutti i club erano pieni sette giorni su sette, i musicisti venivano pagati 25 dollari l’ora, allora erano un sacco di soldi. In un giorno potevi guadagnare abbastanza per mangiare una settimana". Nel 1996 Gambarov ha fondato l’ensemble Bakustik.

I tempi sono cambiati, ma come in epoca sovietica e negli anni ’90 il jazz non è un genere per tutti.

"Non è un genere per le masse, ma piuttosto la musica degli intellettuali, una musica molto intima". È difficile guadagnarsi da vivere con il jazz, così i musicisti jazz si orientano a generi più popolari e oltre a esibirsi nei jazz club suonano a cerimonie, matrimoni e spettacoli televisivi.

Ospite fisso nei festival jazz di tutto il mondo, Gambarov è un fautore del sostegno statale per le arti e la musica: il Baku International Jazz Festival, un evento annuale che dal 2002 attira migliaia di appassionati di jazz e musicisti da tutto il mondo, ha smesso di ricevere fondi statali nel 2015. Nel 2016 varie ambasciate hanno unito le forze, invitando musicisti dai loro paesi. Tuttavia, la mancanza di un’organizzazione centrale per la definizione dei criteri per l’invito ha influito sulla qualità complessiva dell’evento.

“Quando l’economia è in difficoltà, l’arte è la prima a soffrire. Questa era un’opportunità unica per i musicisti azerbaijani, che avevano la possibilità di scegliere ed esibirsi con qualsiasi musicista, compresi grandi nomi come Jeff Ballard. Il Ministero [della cultura e del turismo] invitava musicisti di prim’ordine, immagina che carica di energia era per noi, perché solo quando ti esibisci insieme a musicisti eccezionali puoi crescere. Storicamente i musicisti più forti in Azerbaijan sono i pianisti, come Babayev e Mustafazade, ma i pianisti da soli non bastano. Anche per la band più piccola servono almeno un percussionista e un bassista".

Gambarov rimane cauto nell’etichettare troppo rapidamente Baku come capitale del jazz.

"C’è un grande potenziale, ma ci servono più jazz club e più concerti al di fuori dell’ambito del festival per poter chiamare Baku una città del jazz".

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